Poca ambizione e un testo ‘annacquato’: cosa c’è, e cosa no, nell’accordo finale della COP26
Ambientalisti e analisti concordano nel considerare quello raggiunto alla COP26 di Glasgow un accordo sul clima al ribasso, se non una mezza delusione. Lo stesso Alok Sharma, il presidente della conferenza, sabato notte si è commosso dicendosi “profondamente frustrato”.
Cosa prevede il pacchetto europeo Fit for 55
L’accordo, al ribasso rispetto alle aspettative iniziali, si chiama Glasgow Climate Pact e indica un set di regole che aprono la strada al mercato globale delle emissioni di CO2, un capitolo chiave dell’accordo di Parigi.
Ai grandi inquinatori si chiede di presentare impegni più forti di riduzione dei gas serra entro la fine del 2022.
Uno dei risultati migliori delle due settimane di vertice sul clima riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra: si punta a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Il documento fissa anche l'obiettivo minimo di decarbonizzazione per tutti gli stati firmatari: un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto al 2010, e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. E invita i paesi a tagliare drasticamente anche gli altri gas serra (metano e protossido di azoto) e a presentare nuovi obiettivi di decarbonizzazione entro la fine del 2022.
Quel che manca - e rappresenta un motivo di grande delusione - è un accordo sugli aiuti ai Paesi a basso reddito, per finanziare la transizione energetica e coprire i danni già causati dal cambiamento climatico. Non si è riusciti a centrare l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari l’anno, una promessa fatta nel 2009 e scaduta lo scorso anno.
Il patto di Glasgow prova a riparare alla brutta figura proponendo di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2025.
Gli aiuti concordati riguardano invece lo stanziamento di 19,2 miliardi di dollari fra fondi pubblici e privati per fermare la deforestazione. Un impegno sottoscritto da oltre 100 Paesi al mondo, tra cui la Cina e soprattutto il Brasile di Bolsonaro.
Restando nel Vecchio Continente, la Commissione europea ha annunciato un finanziamento supplementare da 100 milioni di euro per il Fondo di adattamento ai cambiamenti climatici, il fondo nato nel 2001 per finanziare progetti e programmi concreti di adattamento nei paesi in via di sviluppo aderenti al Protocollo di Kyoto, particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Dal 2010 il Fondo per l'adattamento ha impegnato quasi 868 milioni di dollari per progetti e programmi di adattamento ai cambiamenti climatici e resilienza, inclusi 126 progetti concreti e localizzati nelle comunità più vulnerabili dei paesi in via di sviluppo in tutto il mondo con 31,5 milioni di beneficiari totali.
La strategia europea di adattamento al cambiamento climatico
Quanto all’Italia, fra gli impegni presi figurano: raggiungere l’obiettivo emissioni nette pari a zero entro il 2050, creare almeno sei corridoi verdi entro la metà di questo decennio, aumentare la produzione di energia pulita per accelerare la transizione energetica, incentivare lo sviluppo sostenibile agricolo delle foreste e di altri ecosistemi.
Nel corso della COP26 l’Italia ha anche aderito al Beyond Oil and Gas Alliance (Boga) come "friend". Ad annunciarlo da Glasgow è stato direttamente il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. “L’ho comunicato al ministro danese. L’Italia su questo programma è perfino più avanti e abbiamo le idee chiare: il grande piano per le rinnovabili con 70miliardi di watt per i prossimi 9 anni per arrivare al 2030 con il 70% di energia elettrica pulita”.
L'Alliance, promossa da Danimarca e Costarica, prevede una serie di impegni, senza deadline, nel solco della decarbonizzazione, obiettivo che è prioritario per l'Italia e che si sta già perseguendo, in linea con il PNRR.
Photocredit: UNclimatechange - Flickr account