Decreto Sviluppo: con i project bond più infrastrutture e tassazione uguale ai Bot
La più europea di tutte le misure contenute nel decreto sviluppo. Sono i project bond che, dopo la cura portata dal decreto liberalizzazioni a inizio anno, subiscono un’ulteriore serie di correttivi che puntano a renderli pienamente applicabili. Drenando così risorse per un mercato che in Italia, stando alle stime dell’Associazione nazionale dei costruttori, vale qualcosa come 12 miliardi di euro ogni anno.
Ma partiamo dalla descrizione dello strumento. I project bond non sono altro che obbligazioni destinate alla realizzazione di specifiche infrastrutture. In pratica: le imprese, per quelle opere non finanziabili completamente da parte delle stazioni appaltanti pubbliche, vanno sul mercato a chiedere prestiti ai risparmiatori.
I problemi del Dl liberalizzazioni
Si tratta di uno strumento previsto dal nostro Codice appalti (Dlgs n. 163/2006) e innovato dal decreto liberalizzazioni (Dl n. 1/2012) che, però, aveva una serie di limiti da rimuovere per permettere la sua piena diffusione. Come si legge nella relazione tecnica che accompagna il decreto sviluppo: “L’art. 41 del Dl n. 1/2012, riformulando l’art. 157 del Codice dei contratti pubblici, non ha previsto agevolazioni di carattere fiscale, in assenza delle quali lo strumento appare di difficile utilizzo; inoltre l’attuale formulazione dell’art. 157 potrebbe non rendere possibile l’emissione di obbligazioni di progetto per rifinanziare un debito già contratto dalla società per la realizzazione dell’opera. Anche tale inconveniente limita l’appetibilità dello strumento obbligazionario in quanto lo stesso è più agevolmente collocabile sul mercato una volta che l’opera è completata ed entrata in esercizio”.
I correttivi del decreto
Detto in altre parole, il Dl sviluppo ha individuato una serie di limiti applicativi alla diffusione delle obbligazioni e li ha rimossi in maniera sistematica. Anzitutto, viene previsto per i project bond un regime fiscale identico a quello dei titoli di Stato (aliquota al 12,5%). Un modo per introdurre un “incentivo fiscale alla sottoscrizione di obbligazioni di progetto”.
A questo si aggiungono altri accorgimenti di carattere più tecnico. In primo luogo il trattamento fiscale degli interessi pagati dall’impresa sui project bond viene equiparato a quello degli interessi pagati sui finanziamenti bancari. Inoltre, si limita al massimo l’imposizione indiretta applicabile a questo tipo di operazioni.
Ma soprattutto si chiarisce che “l’emissione di obbligazioni di progetto può essere diretta anche a consentire operazioni di rifinanziamento di precedenti debiti prima della relativa scadenza”. In questo modo si dà, di fatto, la possibilità alle imprese di procedere con prestiti ponte a valle dei quali strutturare e collocare project bond.
All'avanguardia in Europa
Attraverso queste misure l’Italia mira a diventare la punta più avanzata dell’Ue in materia di finanziamento delle infrastrutture. La relazione, infatti, spiega ancora che “la proposta deve essere inquadrata nel più generale contesto europeo che prevede lo sviluppo di forme di finanziamento delle infrastrutture pubbliche volte ad attrarre capitale privato”. In questo senso, va ricordato che il Parlamento europeo ha di recente elaborato un primo schema per l’utilizzo dei project bond su scala comunitaria, attraverso le garanzie della Bei, e che la Commissione europea li ha esplicitamente proposti come possibile antipasto di un’altra forma di obbligazioni emesse su scala comunitaria: gli eurobond.
Links
Il via libera del Parlamento Ue
Il progetto della Commissione