L’impact investing e i social bond spiegati dai tecnici dell’AICS
Intervista a Rosario Centola, esperto di “impact investing” dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), sulla natura, il funzionamento e le prospettive future degli investimenti ad impatto sociale, la nuova forma di finanza agevolata che dai paesi anglosassoni si è ormai estesa in tutto il mondo, Italia inclusa.
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Nata nel mondo anglosassone verso il 2010, l’impact investing è una forma innovativa di attività di investimento caratterizzata da tre elementi che la distinguono da altre forme di finanza: l’intenzionalità di produrre un impatto sociale, la misurabilità del risultato prodotto e la sua compatibilità con un rendimento economico.
Il suo funzionamento si basa sull’impiego di social bond che, più che essere titoli obbligazionari, hanno invece la forma e la natura di un vero e proprio contratto, spiega Rosario Centola dell'AICS, l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
Che cosa sono gli investimenti ad impatto sociale?
L’impact investing è uno strumento finanziario che permette al settore pubblico di raccogliere finanziamenti privati per la realizzazione di progetti di impatto sociale, che saranno rimborsati e remunerati solo al raggiungimento, misurabile, del risultato sociale che si era stabilito.
Il meccanismo dell’impact investing può essere impiegato in tutti i settori - dalle infrastrutture alla sanità, all’educazione fino all’energia - dato che alla base del rimborso e della remunerazione del capitale investito resta sempre il conseguimento, misurato, dell’impatto sociale prodotto dall'investimento.
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Quali sono e cosa fanno i soggetti coinvolti nell’impact investing?
Gli investimenti a impatto sociale sono realizzati da una pluralità di soggetti, ognuno dei quali - in base alla propria natura - svolge un ruolo ben definito ma fortemente connesso con quello degli altri attori coinvolti.
Di base nell’impact investing si possono trovare fino a sette diversi attori:
- il Governo, che stabilisce le priorità politiche da perseguire e i risultati da raggiungere a cui attribuisce un valore economico, senza però entrare nel merito delle modalità di conseguimento dei risultati. Così facendo stabilisce anche il beneficio di cui potranno godere gli investitori, in caso di realizzazione del progetto. Esso, inoltre, seleziona lo “special purpose vehicle”, il soggetto incaricato di gestire materialmente tutta l’operazione
- il finanziatore/donatore, ovvero quel soggetto che, una volta concluso l’investimento, si impegna a restituire e a remunerare il capitale investito dall’investitore. Mentre nei paesi più avanzati il governo spesso è anche il finanziatore, nei paesi in via di sviluppo il finanziatore è spesso un paese estero e/o una banca per lo sviluppo
- l’investitore, in genere un privato, che anticipa il capitale per la realizzazione del progetto e, alla sua conclusione, sarà non solo rimborsato ma anche remunerato dal finanziatore
- lo “special purpose vehicle” (SPV) che assume il ruolo di pivot del meccanismo attorno a cui ruotano tutti i soggetti coinvolti e che finalizza concretamente i contratti con gli altri attori presenti. In genere nei paesi in via di sviluppo è un organismo internazionale. Lo SPV è un vero e proprio ente di garanzia, capace di attrarre donatori e investitori ed è incaricato di stipulare i contratti con gli altri altri attori coinvolti a cominciare dall’investitore e dal finanziatore
- il service provider, ovvero quel soggetto - selezionato su base competitiva dallo special purpose vehicle - incaricato di realizzare materialmente le attività del progetto. Nei paesi in via di sviluppo si tende, in genere, a privilegiare service provider locali, ferma restando la possibilità di servirsi anche di player internazionali laddove le attività da realizzare richiedano expertise non presenti nel paese.
- un soggetto indipendente di audit, capace di determinare la percentuale di outcome raggiunta. La presenza di un audit indipendente non è obbligatoria. Tuttavia essa contribuisce a garantire trasparenza e imparzialità nell’analisi dei risultati, favorendo la riuscita del progetto.
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Tutti i soggetti siedono nel Consiglio di Amministrazione che ha l'obiettivo di monitorare costantemente il progetto.
Come si misura l’impatto sociale dell’investimento?
La misurabilità dell’impatto sociale prodotto dall’investimento è uno degli aspetti più complessi dell’impact investing.
In genere si utilizzano tabelle redatte sulla base della tipologie di outcome che ci si è prefissati e che attengono al profilo della sostenibilità sociale, ambientale, finanziaria dell’operazione, come ad esempio la riduzione del tasso di mortalità infantile o il miglioramente della salute delle popolazioni nelle aree rurali grazie all’accesso all’acqua o all'energia elettrica.
Tuttavia, data la tipologia di outcome di cui si parla, spesso è molto complesso individuare criteri e indicatori capaci di mappare il raggiungimento di questi risultati - in un lasso di tempo compatibile con quello di un investimento privato - soprattutto in progetti meno business-oriented. In questi casi si fa ricorso a “stratagemmi” che valutano anche la bontà degli output impiegati, invece che i soli outcome raggiunti.
Che differenze ci sono rispetto ad altre forme di intervento che prevedono fondi pubblici?
La principale differenza dell’impact investing rispetto ad altre forme di erogazione di fondi pubblici - che siano contributi o progetti infrastrutturali che prevedono anche gare d’appalto - risiede nell’effettivo e provato raggiungimento dell’outcome stabilito.
L’impact investing, infatti, prevede l’erogazione di fondi pubblici solo una volta raggiunto il risultato (misurato sulla base di indicatori identificati in anticipo) e non, invece, al completamento delle attività che si prevede, solamente, genereranno quello stesso risultato.
Il limite degli strumenti finora utilizzati, infatti, risiede fondamentalmente in questo. Anche nel migliore dei casi, laddove i progetti prevedono l’identificazione di outcome di natura sociale o ambientale, i fondi pubblici sono comunque erogati a conclusione delle attività e mai al raggiungimento dei risultati effettivi.
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Quali sono i vantaggi dell’investitore?
Partendo dal presupposto che un investitore che decide di investire in questo tipo di finanza lo fa con l’obiettivo ultimo di generare anche un impatto sociale, la natura business-oriented dell’investitore resta comunque intatta. Pertanto anche il meccanismo dell'impact investing deve comunque prevedere non solo il rimborso ma anche la remunerazione del capitale.
Per convincere soggetti privati ad investire in attività socialmente utili, l'impact investing prevede tre vantaggi per l'investitore:
- una garanzia della restituzione del capitale emessa da una paese donatore e che, pertanto, ha natura sovrana. La restituzione avviene a fronte del conseguimento dell'outcome, misurato sulla base di tabelle stabilite in anticipo. In alcuni settori di intervento particolarmente rischiosi, come ad esempio quello umanitario ma non solo, le tabelle possono arrivare a garantire la quasi totale restituzione del capitale anche in caso del raggiungimento di risultati pari a “zero”
- le percentuali di remunerazione del capitale che, pur variando in base al settore, sono comunque alte
- il controllo passo passo dell'impiego del capitale investito da parte dell'investitore che siede nel Consiglio di Amministrazione e che pertanto, può monitorare sia le attività del service provider che, eventualmente, quelle del governo in cui si sta realizzando l’intervento. Si tratta di un livello di controllo dell'investimento molto maggiore rispetto a quello garantito da altre forme di investimenti.
Quali sono i principali vantaggi per lo stato che eroga fondi pubblici?
I vantaggi per un paese donatore, come ad esempio l’Italia, che decide di impiegare le proprie risorse nel rimborso e nella remunerazione del capitale investito da investitori privati in progetti ad impatto sociale, sono due:
- consentire la realizzazione dell'investimento senza la necessità di anticipare fondi;
- garantire l'erogazione dei fondi solo al raggiungimento dell'outcome stabilito e non al semplice completamento delle attività (output).
In questo modo i governi garantiscono una razionalizzazione dell'impiego di fondi pubblici, grazie al rapporto inscindibile che si instaura tra l’outcome e le risorse finanziarie pubbliche. Quindi, il finanziatore/donatore si espone gradualmente verso l'investitore perchè eroga i fondi pubblici solo quando c’è un ritorno misurabile.
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Quali sono i principali limiti dell’impact investing e che futuro avrà?
Sono tre i principali limiti di questo strumento finanziario:
- l’architettura finanziaria complessa;
- la difficoltà di trovare attori capaci di gestire il meccanismo;
- il problema della misurazione dei risultati, su cui a livello internazionale si sta comunque lavorando per la messa a punto di nuovi indicatori.
Nonostante ciò, un numero crescente di paesi e di enti internazionali si stanno strutturando con proprie unità interne capaci di governare questo tipo di interventi.
Che opportunità ci sono per le imprese italiane?
Le imprese italiane - ma nel caso di interventi di cooperazione allo sviluppo anche le organizzazioni della società civile - potranno partecipare a progetti di impact investing in due modi:
- in qualità di investitore;
- come service provider che viene identificato su base competitiva.
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Le prossime attività dell’AICS
L’Agenzia si sta orientando sempre più verso l’impiego anche di questa forma di intervento. Attualmente è in corso un progetto in collaborazione con la Croce Rossa internazionale che agisce sia da SPV che da service provider.
In futuro, tuttavia, si pensa di aumentare il numero di attività realizzate in questo modo e, a tal fine, inizierà a breve l’attività formativa presso le venti sedi AICS all’estero che, una volta formate, definiranno e gestiranno per proprio conto progetti di impact investing.
> Consulta la presentazione dell'AICS sull'impact investing
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