Poca organizzazione e troppa politica, i motivi del blocco delle erogazioni
Troppa politica, difficoltà organizzative e, in ultima istanza, aziende che non sono in grado di gestire le procedure più complesse. Per comprendere in pieno le motivazioni della lentezza con la quale i bandi per le imprese fanno arrivare i loro soldi a destinazione, Fasi.biz ha intervistato un tecnico ministeriale, che chiede di rimanere anonimo. Ma che spiega nel dettaglio cosa non funziona nella macchina della pubblica amministrazione.
“In un discorso di prima approssimazione – dice - ci sono due tipologie di fattori: interni ed esterni all’amministrazione”. Partiamo dai primi. “C’è un turn over micidiale di personale e direttori generali nelle direzioni chiave, che porta a un azzeramento continuo della memoria storica dei ministeri”. Nessuna colpa alla politica? “Certamente sì. La politica ha bisogno di annunciare novità in continuazione. Per cui si creano nuovi strumenti anziché ritoccare quelli che già ci sono. Quindi, si fa uno strumento in tutta fretta e si dice che si definiranno le regole con decreto dopo due mesi. Ma non si considera che mettere in piedi la meccanica di una cosa nuova richiede uno sforzo amministrativo notevole”. L’esempio tipico di questa situazione sono i contratti di sviluppo, nati quando ancora i contratti di programma dovevano trovare un esito pieno.
Poi ci sono i fattori esterni. “Uno è l’andamento dell’economia, perché quasi tutti i meccanismi di finanziamento sono prociclici; cioé funzionano se l’economia va. La prima spesa che viene tagliata dalle imprese, in situazioni di crisi, è quella di ricerca. E un rallentamento sulla ricerca porta un rallentamento delle richieste di finanziamento”. E c’è la mancanza di cultura nelle imprese. “La percentuale di revoche che sono dovute a comportamenti scorretti da parte delle imprese è altissima. C’è una certa propensione a una gestione disinvolta di queste risorse: parliamo di comportamenti patologici, di vere e proprie truffe, ma anche di semplice incapacità di fare un business plan, un calcolo sull’iva o su quali saranno i tempi dei finanziamenti. Esiste anche una casistica di imprenditori che, a progetto approvato, rinunciano e nemmeno prendono i soldi”.
A queste si accompagnano altre questioni più specifiche, come quella della qualità della selezione. “Una cosa sono gli strumenti dove lo Stato direttamente sceglie le imprese e una cosa sono gli strumenti dove lo Stato interferisce sui processi di mercato e il denaro lo mettono, ad esempio, anche le banche. Lo Stato, a volte, non ha l’intelligenza di fare selezioni e quindi è bene che collabori con altri soggetti in grado di coadiuvarlo. Secondo lei ci sono grandi esperti di valutazione degli investimenti nella pubblica amministrazione?”.
In altri casi, invece, c’è il problema di dover mettere insieme troppe teste. “Ci sono meccanismi che non vengono attuati perché presuppongono l’accordo di soggetti diversi, come il Mise, il ministero dell’Economia, la Banca d’Italia, la Conferenza Stato Regioni. E, in attesa di mettere insieme tutti questi consensi, restano fermi”. Oppure, ci sono i decreti attuativi impossibili da realizzare. “Le norme di attuazione talvolta non possono essere adottate, perché la legge è stata concepita in cinque minuti, senza approfondimenti. Ho visto diverse norme adottate dal Parlamento che non sono mai partite perché, magari, prevedevano un tipo di aiuto vietato dall’Unione europea”. Sullo sfondo, infine, resta la questione delle procedure negoziali, “Non parlo di cose penalmente rilevanti. Dico solo che se si gestiscono le procedure con questo criterio, aumentano sia i rischi di una discrezionalità eccessiva che quelli di una smodata interferenza da parte della politica”.