Decreti legge: il governo argina il ricorso ai testi attuativi
In questi mesi si è realizzata, un po' in sordina, una modifica in realtà molto importante per il mondo degli incentivi e non solo. Si tratta dell’introduzione di criteri che limitano la possibilità di ricorrere ai decreti attuativi, con l'obiettivo di avere decreti-legge che siano immediatamenti efficaci. Un cambio di passo notevole, considerando i ritardi che spesso caratterizzano l’attuazione vera e propria di quanto previsto da un DL, come evidenziato anche dall’ultima analisi sullo stock di provvedimenti attuativi ancora da pubblicare.
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Nonostante un’accelerazione emersa negli ultimi anni, la pubblicazione dei decreti attuativi continua a rappresentare un fardello per il Paese, con molti provvedimenti che restano a lungo lettera morta e ingenti risorse che non riescono ad arrivare a terra.
Per questo il governo ha deciso di intervenire sul tema, prevedendo che d’ora in avanti le amministrazioni limitino il più possibile il rimando a provvedimenti attuativi, mediante la definizione di decreti-legge che siano auto-applicativi senza le necessità di ricorrere ad atti secondari.
I decreti-legge non devono prevedere troppi provvedimenti attuativi
A varare il cambio di passo sono stati una serie di provvedimenti pubblicati in autunno dal governo, tra cui il DPCM del 30 ottobre 2024, che ha disposto “modifiche alla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 settembre 2008, recante tempi e modalità di effettuazione dell'analisi tecnico-normativa (ATN)”, e la conseguente “Circolare del Dipartimento Affari giuridici e legislativi n. 9916 del 14 novembre 2024, che modifica il modello di relazione di ATN”.
In breve, il combinato disposto dei due provvedimenti ha l'obiettivo di rendere immediatamente efficaci le disposizioni introdotte con un decreto-legge, limitando il rinvio ai provvedimenti attuativi. La ragione di questo cambio di passo emerge chiaramente dalla Circolare: “Il fenomeno dello stock di provvedimenti attuativi (...) impone una riflessione sulla necessità di ricondurre l’utilizzo” di questa tipologia di provvedimenti “al proprio ambito fisiologico, evitando che il ricorso ad atti attuativi costituisca il rimedio ad una non adeguata progettazione della legislazione primaria o sia considerabile come un sintomo di incertezze su scelte non approfonditamente ponderate o su coperture finanziarie non esattamente quantificate, così da rimandare ad atti successivi non solo elementi di dettaglio, quanto vere e proprie decisioni sostanziali determinanti per l’impianto complessivo del provvedimento".
In tale contesto, il DPCM del 30 ottobre 2024 prevede che d’ora in avanti, qualora per l'attuazione di una disciplina di rango primario sia necessario ricorrere ad atti successivi, l’amministrazione proponente dovrà esplicitare le motivazioni che non consentono di adottare l'intera disciplina con la normativa primaria. In linea generale, il rinvio a provvedimenti attuativi deve essere previsto “solo quando la complessità, anche tecnica, della disciplina introdotta esige una sua attuazione con fonte di rango secondario”.
Per fare ciò, d’ora in avanti le amministrazioni - nella redazione degli atti normativi di rango primario - dovranno adottare i seguenti criteri:
- introdurre, in via prioritaria, norme immediatamente precettive e tendenzialmente auto-applicative;
- valutare l’opportunità del ricorso ad allegati all’atto normativo per la disciplina degli aspetti tecnici;
- evitare il rinvio ad atti secondari per l’attuazione delle norme primarie, qualora essa possa essere affidata ad atti amministrativi generali di indirizzo;
- escludere il rinvio a provvedimenti attuativi all’interno dell’articolato normativo dei decreti-legge.
Il problema dello stock di provvedimenti attuativi da approvare
La ragione che ha portato il governo ad intraprendere questo nuovo corso emerge chiaramente dai numeri relativi ai provvedimenti attuativi ancora pendenti, fotografati dall’Ottava Relazione sul monitoraggio dei provvedimenti legislativi e attuativi del governo Meloni con aggiornamento al 30 settembre 2024.
In linea generale, la Relazione certifica lo sforzo dell'attuale governo nel limitare il rinvio a provvedimenti attuativi, come dimostra quel 61% di atti che hanno previsto nessuno o un solo provvedimento attuativo.
A questo si aggiunge anche il lavoro per varare i provvedimenti ancora pendenti, caratterizzato da un tasso di adozione pari al 52,5%, in crescita rispetto al secondo trimestre 2024. Un lavoro che fa sì che al 30 settembre 2024 i provvedimenti attuativi emanati, riferiti alle disposizioni legislative del Governo Meloni, sono 413 sui 787 previsti.
Ovviamente al governo in carica spetta anche l’adozione dei provvedimenti attuativi rimasti pendenti dalle precedenti legislature. Uno stock di atti che, nel caso dei governi della XVIII legislatura (Conte 1, Conte 2 e Draghi) ammontava a 376 atti, adesso scesi a 147 grazie al lavoro fatto in questi mesi.
Un lavoro che ha risvolti molto concreti, permettendo la messa a terra delle risorse previste da vari decreti legge (e dagli altri provvedimenti di fonte primaria). Cifre impressionanti che - sommando le risorse afferenti ai decreti attuativi previsti da norme varate dal governo Meloni e quelle relative ai decreti attuativi derivanti dalla precedente legislatura - superano i 182 miliardi di euro di fondi “sbloccati”.
La novità introdotta in queste settimane dovrebbe, pertanto, portare ad una produzione normativa di maggior qualità, con una conseguente accelerazione sia nel dispiegamento degli effetti di una norma, sia nell'impiego delle risorse stanziate.
Per maggiori informazioni, consulta il DPCM del 30.10.2024
Per maggiori informazioni, consulta la Circolare del DAGL n. 9916 del 14.11.2024
Foto di Abby Haukongo da Pixabay