Pmi: la mappa europea dell’innovazione
I governi europei si rimboccano le maniche per stimolare l’imprenditoria, in vista della pubblicazione di “Innovation Union”, una delle iniziative faro della strategia Europa 2020 della Commissione europea, prevista per il 29 settembre 2010. L’obiettivo è quello di migliorare le performance di innovazione dalla fase di ricerca al rapporto con il consumatore. Per innovazione si intende tutto ciò che crea posti di lavoro, migliora la vita delle persone e contribuisce all’edificazione una società migliore e rispettosa dell’ambiente.
Tutto ciò è possibile migliorando il modo in cui i prodotti e i servizi vengono concepiti, sviluppati, prodotti e distribuiti agli utenti.
L’innovazione rappresenta il fulcro della strategia Europa 2020 e viene indicata come l’unica via di uscita per uscire definitivamente dalla crisi. Rispetto alle grandi aziende, grazie alla flessibilità delle loro dimensioni, le pmi innovative riescono in modo più efficace a immettere sul mercato le loro idee. Di contro, gli ostacoli nel raggiungimento dei finanziamenti per la ricerca e per lo sviluppo dei prodotti hanno frenato la loro propensione ad essere innovative. Per questo, i singoli governi hanno introdotto un ampio ventaglio di azioni a supporto delle Pmi, come i crediti d’imposta per l’investimento nella ricerca, lo sviluppo di centri per l’innovazione e il sostegno agli investitori privati e ai sistemi che fanno da ponte tra le Pmi, le università e le industrie.
Sicuramente la strategia d’innovazione che l’UE sta per proporre dovrà tenere conto della protezione dei brevetti, ma anche dell’accesso al capitale di rischio. Considerato che le politiche imprenditoriali variano di paese in paese, l’obiettivo non semplice di Bruxelles è proprio quello di realizzare una sintesi armonica nel rispetto delle peculiarità nazionali.
Cominciando dall’Italia, lo scorso 17 agosto il ministero dello Sviluppo Economico – uno scettro senza re dal giorno delle dimissioni di Scajola - ha inviato alla Commissione UE il documento di consultazione sul riesame dello “Small Business Act” (SBA), il principale strumento europeo di misure e interventi per le piccole e medie imprese. La Direzione generale piccole e medie imprese del Ministero ha prospettato la creazione di “SBA regionali", date le peculiarità territoriali delle Pmi non solo in Italia, ma in tutta Europa. L’altra proposta riguarda l’introduzione di un Contratto di Rete Europeo, sul modello italiano, per favorire le relazioni tra le Pmi europee e diffondere la cultura della rete presso le piccole imprese ed imprese artigiane.
Nel nostro paese, poi, è sempre più forte la voce delle pmi che fanno capo al cosiddetto “Patto di Caprinica” e che rifiutano di essere incasellate nel calderone di Confindustria e dei sindacati. Alla guida di questo movimento, Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato. Secondo Fumagalli negli ultimi mesi molte piccole e medie imprese si sono ritrovate con posizioni liquide zero, spesso sottozero, nonostante la maturazione di crediti verso la Pa e i grandi committenti i cui termini di pagamento fossero scaduti da tempo.
Anche in Francia il livello d’innovazione è ancora insufficiente. In tempo di crisi, il bisogno di aumentare gli investimenti in R&S – che attualmente si attestano sul 2,08% del Pil - è pressoché vitale. In questa direzione Hervé Novelli, segretario di Stato al Commercio e alle Pmi, ha promosso dei brevetti dell’Istituto Nazionale per la proprietà intellettuale e il credito d’imposta per la ricerca.
Nel luglio scorso il comitato Richelieu, associazione francese di categoria rappresentativa delle Pmi innovative, ha pubblicato un studio in cui ha espresso le maggiori preoccupazioni per il futuro, sostenendo l’importanza del credito d’imposta per la ricerca e la necessità di varare uno Small Business Act per le Pmi. I principali problemi delle Pmi d’oltralpe riguardano il capitale e il fatto che troppi interlocutori istituzionali lavorino nell’ambito dell’innovazione. Ciò non aiuta le imprese ad avere una visione chiara e unitaria.
La Germania auspica che il piano Europa 2020 possa colmare il “fossato dell’innovazione”. In particolare il segretario di Stato presso il ministero federale per l’educazione e la ricerca, Georg Schutte, ritiene che un legame più forte tra industria e università possa contribuire alla commercializzazione di nuove scoperte ed invenzioni.
In Slovacchia soltanto un quarto delle imprese è attivo nel campo dell’innovazione. La maggior parte delle aziende innovatrici conta più di 250 impiegati. L’innovazione è appannaggio del 18,2% delle microimprese (quelle con meno di 50 addetti9 e del 34,4% di quelle di medie dimensioni. Secondo l’ultima edizione dell’European Innovation Scoreboard la Slovacchia è un’innovatrice moderata con delle performance al di sotto della media europea. Il governo locale spende attualmente l’1,2 % del suo Pil in R&D e innovazione. Quello che manca è una vera e propria sinergia tra università, imprese, media. La maggior parte delle idee innovatrici, infatti, restano sulla carta.
Diversamente in Bulgaria è riscontrabile un boom dell’innovazione. Nel 2009 la quota delle imprese che faceva questa scelta raggiungeva il 71%, contro il 43% del 2009. Ad affermarlo è l’indagine “Innovation.bg 2010” condotta dall’Applied Reserch and Communication Fund.