Venture capital – AIFI, semplificare gli incentivi attuali
AIFI propone una defiscalizzazione dell’investimento in startup e PMI innovative che siano cedute da fondi di venture capital.
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Coinvolgere il risparmio previdenziale in favore del finanziamento delle imprese, semplificare gli incentivi fiscali attualmente in vigore e defiscalizzare l'investimento in startup e PMI innovative che siano cedute da fondi di venture capital.
Sono alcune delle proposte avanzate da AIFI, l'associazione del private equity, venture capital e private debt. Ad illustrarle, Alessandra Bechi, direttore ufficio Tax & Legal e Affari istituzionali, a partire dai dati presentati da AIFI sullo stato di salute del settore nel corso del convegno annuale.
Dati che mostrano come l'industria del private equity italiana nel 2016 abbia registrato un anno record per gli investimenti (8,191 miliardi, con un balzo del 77% sul 2015), malgrado il tasto dolente della raccolta in calo (1,313 miliardi, -47%) . Fa eccezione la raccolta nel private debt, un fenomeno recente in Italia che lo scorso anno ha centrato quota 632 milioni (+65%).
L'industria del private equity italiana nel 2016 ha registrato un anno record per gli investimenti, ma la raccolta è in calo. A cos'è dovuta tale situazione?
La raccolta di capitali, effettivamente, è diminuita, per la contrazione della componente domestica che l’anno scorso è stata sostenuta dalla raccolta realizzata da alcuni grandi fondi. Il numero dei gestori in raccolta nel 2016 è stato uguale a quello del 2015 (pari a 16), ma ha avuto target di dimensione minore.
Da diversi anni ragioniamo su come potere rafforzare la raccolta interna. In primo luogo occorrerebbe stimolare l’allocazione verso il segmento di una parte del capitale previdenziale (casse di previdenza, fondi pensione, assicurazioni). In tutti gli altri Paesi il comparto previdenziale è l’investitore naturale degli investimenti di medio e lungo periodo. Inoltre, il crollo generalizzato dei rendimenti in atto sui mercati, destinato a produrre un calo delle rivalutazioni delle masse contributive, ha indotto i sistemi previdenziali a destinare, in media, a livello internazionale, il 15% degli asset ad investimenti alternativi.
Sembra dunque ragionevole, per imprimere una svolta anche nel nostro Paese, provare a coinvolgere il risparmio previdenziale in favore del finanziamento delle imprese, in modo da contribuire alla crescita dell’economia italiana e, allo stesso tempo, alla difesa della remunerazione del risparmio previdenziale. L’incentivo della “tassazione zero” previsto dalla legge di bilancio 2017 va in questa direzione.
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Analogamente, la raccolta estera continua a rappresentare una componente di cui si auspica la crescita. AIFI sta lavorando molto anche con gli investitori internazionali e sta organizzando iniziative attraverso il suo “corner” di Londra, per stimolare l’interesse verso il nostro paese e le nostre realtà imprenditoriali.
Per attrarre capitali, oltre ai buoni progetti, che l’Italia può vantare, occorre agire sul contesto, quindi semplificare gli adempimenti per gestori di fondi e imprese e rendere semplici le procedure. Anche la chiarezza del quadro normativo e la sua stabilità sono elementi importanti. Per quanto riguarda il nostro settore, stiamo cercando di avere un quadro chiaro e stabile dal punto di vista fiscale. Lo scorso anno abbiamo avuto un riconoscimento, da parte dell’Agenzia delle entrate, della legittimità fiscale delle operazioni di LBO (attraverso la circolare 6/E dell’Agenzia); stiamo cercando di completare il quadro con alcune precisazioni sulla tassazione degli investitori internazionali.
In controtendenza il private debt: nel nostro Paese il settore è indietro rispetto agli standard europei e mondiali, ma sta crescendo a ritmi sostenuti. Come giudica tali dati e quale ritiene possano essere le prospettive per il private debt in Italia?
Per quanto riguarda il private debt, senz’altro il nostro Paese ha ancora molto potenziale da esprimere. La raccolta in questo caso è in gran parte domestica (pari all’86%, rispetto a quella estera che si attesta al 14%), in quanto l’industria è nascente e non si è ancora consolidato un track record di lungo periodo in grado di attrarre capitali di fonte internazionale. Occorre poi considerare che il 43% della raccolta deriva da fondi di fondi istituzionali e, a seguire, dalle banche, con il 21%. Sono diverse le circostanze in cui questi fondi possono offrire un supporto alle imprese, sia nella crescita per linee interne, che implica investimenti di medio-lungo periodo finalizzati ad espandere l’attività attraverso l’entrata in nuovi segmenti di mercato, sviluppando nuove linee di prodotti o nuova capacità produttiva; così pure nella crescita per linee esterne, quando il fondo di private debt può intervenire finanziando un’impresa che intende acquisirne un’altra.
In alcuni casi il private debt si affianca ad un operatore di private equity, fornendo il debito necessario per effettuare una acquisizione a leva o struttura direttamente l’operazione con l’imprenditore. Inoltre, in questo momento storico, con la forte crisi di liquidità che ha colpito il sistema finanziario europeo, e quello italiano in particolare, le imprese hanno posticipato decisioni di investimento anche importanti per la capacità futura di competere che ora non sono più derogabili. I fondi di private debt, orientati per proprio scopo al medio-lungo periodo, possono offrire il supporto adatto all’imprenditore attraverso una struttura di finanziamento flessibile e su misura.
Veniamo al tema caldo degli incentivi fiscali. AIFI chiede che venga estesa anche all’asset class del private debt la tassazione zero a favore dell’investimento degli enti previdenziali. Cosa significherebbe concretamente e quali benefici ne deriverebbero?
Ricordo che la legge di bilancio 2017 ha introdotto un importante incentivo fiscale che consiste nella completa detassazione per i redditi derivanti da investimenti a lungo termine (almeno 5 anni) effettuati dalle casse previdenziali e dai fondi pensione in quote di fondi di private equity e venture capital. AIFI chiede che l’incentivo sia esteso anche all’investimento, da parte degli stessi soggetti, in strumenti di debito e in fondi che investono in tali strumenti, cioè i fondi di private debt.
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In effetti, la distorsione creata attualmente dalla norma non appare giustificata, considerando che l’impianto normativo della cosiddetta riforma minibond è stato costruito negli anni passati con l’intento di sostenere l’approvvigionamento finanziario del tessuto imprenditoriale italiano, anche attraverso una diversificazione delle fonti rispetto al sistema bancario.
Il mercato dei fondi comuni di investimento ha accolto l’esigenza delle imprese costituendo fondi riservati con focus di investimento quasi esclusivamente rivolto a strumenti di debito, i quali ora si trovano fortemente penalizzati da un regime di incentivo che non li vede coinvolti. L’allargamento dell’incentivo consentirebbe di rafforzare la finalità della norma che è quella di portare all’economia reale italiana e alle nostre aziende maggiori risorse. Questo sarebbe il principale effetto concreto.
Recentemente, il Fondo Europeo degli Investimenti ha presentato al Governo una serie di proposte per rilanciare il venture capital nel mercato italiano. Cosa ne pensa e ritiene che tali proposte possano avere un impatto positivo per far crescere tale strumento in Italia?
Con il Fondo Europeo per gli Investimenti AIFI ha instaurato da tempo una proficua collaborazione. Lo scorso anno siamo stati coinvolti dal Ministero dell’Economia e delle finanze in un gruppo di lavoro che il presidente di AIFI, il prof. Innocenzo Cipolletta, ha coordinato. Insieme ad AIFI e a FEI hanno partecipato a questa importante “azione di sistema”, volta ad individuare le misure utili a rilanciare il mercato del venture capital italiano, anche le autorità di vigilanza e il Ministero dello sviluppo economico.
Riguardo alle proposte presentate dal FEI, condividiamo la necessità di rendere più flessibile l’inquadramento regolamentare, esentando alcuni piccoli operatori della filiera dell’investimento in startup dagli obblighi di vigilanza e prevedendo, per i soggetti vigilati, una maggiore snellezza procedurale e tempi autorizzativi più rapidi. Per questo stiamo lavorando con gruppi di lavoro interni e interfacciandoci con le autorità di vigilanza, con cui abbiamo da sempre un buon dialogo, per standardizzare i documenti autorizzativi e le procedure.
Altro punto che rientra anche nelle nostre proposte è la semplificazione degli incentivi fiscali attualmente in vigore. Quelli a beneficio degli investitori nei fondi di venture capital (deduzione del 20% dell’importo investito per le persone giuridiche e detrazione del 19% per le persone fisiche) diventeranno molto interessanti dopo l’innalzamento delle aliquote al 30% che è stato previsto dalla legge di bilancio e che è in corso di notifica presso le autorità comunitarie. Per rendere più appetibili tali incentivi sarebbe appunto opportuno rendere più flessibili alcuni requisiti di accesso, abbassando, ad esempio, l’obbligo di detenzione di azioni o quote di startup innovative da parte dei fondi, attualmente pari ad almeno il 70% del valore complessivo degli investimenti.
Anche la detassazione dei capital gain prevista dall’articolo 31 del Decreto Legge n. 98 del 2011, “Interventi per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese”, andrebbe rivista rendendo più flessibili i requisiti di accesso.
Inoltre, dal punto di vista del rafforzamento dell’offerta di capitali, la tassazione zero sui rendimenti di fondi pensione e casse che investono in venture capital, prevista dalla legge di bilancio, è un ottimo inizio, anche se occorre affiancarla ad un’azione di education al fine di focalizzare l’incentivo sull’investimento indiretto.
Da ultimo, come AIFI abbiamo fatto una proposta per creare un mercato dell’exit che porti liquidità nel mercato del venture capitale di chiunque investe nelle startup innovative. Si tratta di attivare un faro di attenzione verso l’introduzione di incentivi volti a favorire un ecosistema in cui le imprese medie e grandi fanno ricerca e innovazione acquisendo quelle piccole e innovative.
Seguendo questi obiettivi proponiamo di prevedere una norma “sperimentale” che preveda la defiscalizzazione dell’investimento in start-up innovative/PMI innovative che siano cedute da fondi di venture capital. Per l’azienda acquirente l’acquisizione consentirebbe l’accesso a nuove tecnologie e la possibilità di utilizzare sinergie a livello scientifico come se fosse un investimento esternalizzato in R&S.
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