Energia – i rischi della decarbonizzazione per le utility elettriche
La decarbonizzazione potrebbe colpire in maniera pesante le utility elettriche, sostiene uno studio della Banca d’Italia.
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Il processo di decarbonizzazione ha reso desueto il tradizionale modello di creazione di valore delle aziende che operano nel settore dell’energia elettrica (utilities energetiche – UEN) colpendo in particolare le società con un energy mix più orientato alle fonti fossili che hanno dovuto svalutare le loro attività carbon-intensive con riflessi negativi su risultato d’esercizio, patrimonio netto e leva finanziaria. E’ la premessa dello studio della Banca d’Italia “Gli investimenti nelle utilities del settore elettrico: implicazioni del carbon risk”.
Investimenti low-carbon avrebbero portato maggior rendimento
Al capitale di rischio e al debito delle UEN sono esposti in misura rilevante gli investitori istituzionali, prosegue lo studio: se il processo di transizione verso un sistema low-carbon fosse più rapido di quanto atteso dal mercato, i rischi che queste fragilità possano propagarsi all’interno del sistema finanziario non sarebbero quindi da sottovalutare.
Allo stesso tempo, si evidenzia la presenza di un low-carbon premium significativo negli anni in cui si è intensificato il processo di decarbonizzazione; nel periodo considerato una strategia di investimento maggiormente orientata su società low-carbon avrebbe consentito benefici in termini di maggior rendimento, senza alterare il profilo di rischio complessivo.
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Tale premio, che risulta ampio e statisticamente significativo soprattutto a partire dal 2012, può essere inteso come un rendimento aggiuntivo registrato una volta che il mercato ha percepito e prezzato i minori rischi degli investimenti in impianti a basse emissioni di gas serra.
Tali evidenze indicano inoltre che sarebbe auspicabile un processo di transizione il più possibile graduale e governato, che coinvolga i regolatori, gli investitori e i finanziatori.
Il lavoro condotto da Bankitalia mira appunto ad analizzare come il carbon risk possa riflettersi sulla decisione di investire nelle UEN a seconda del loro grado di intensità carbonica, per individuare potenziali rischi e opportunità.
Il calo della domanda di energia e il processo di decarbonizzazione hanno esercitato una pressione al ribasso su ricavi e prezzi in particolare per le società con un energy mix più orientato alle fonti fossili; per queste società, la ricomposizione dell’energy mix conseguente alle politiche di decarbonizzazione ha comportato anche svalutazioni delle attività più carbon-intensive che hanno ulteriormente pesato sui risultati d’esercizio, intaccando il patrimonio netto e accrescendo la leva finanziaria. Questo risultato è anche conseguenza del forte sostegno di cui le energie rinnovabili del settore elettrico hanno goduto in molti paesi.
Nonostante le UEN rappresentino un valore contenuto del mercato borsistico dell’area euro, al loro capitale e debito sono esposti in misura rilevante gli investitori istituzionali, anche in ragione delle caratteristiche di elevato flusso di dividendi (dividend yield) e di sensibilità relativamente contenuta ai movimenti del mercato (beta), che avvicina tali azioni a strumenti di reddito fisso (bond-like). Se il processo di transizione verso un sistema low-carbon fosse più rapido di quanto atteso dal mercato, i rischi per questi investitori potrebbero essere significativi.
Strategie di allocazione del portafoglio che tengano conto della intensità carbonica di queste società potrebbero contribuire a limitare i rischi nella fase di transizione e a cogliere opportunità di rendimento.
Il contesto europeo e il ruolo delle rinnovabili
Il sistema energetico europeo sta profondamente mutando per la crescente attenzione che la comunità internazionale ha posto all’obiettivo di contrastare i cambiamenti climatici: nel 2007 l’Unione europea si è prefissata una riduzione dei gas a effetto serra del 20% rispetto a quelli emessi nel 1990 e il soddisfacimento di almeno il 20% del fabbisogno energetico attraverso le rinnovabili. Nell’autunno del 2014, nell’ambito del progetto dell'Unione dell’energia, sono stati concordati nuovi obiettivi al 2030 che prevedono una riduzione di gas serra del 40% e un’incidenza delle fonti rinnovabili pari al 27% del fabbisogno energetico.
Questi cambiamenti hanno avuto un impatto sulle UEN: negli ultimi anni queste società hanno visto ridursi i propri margini di profitto a causa sia della contrazione della domanda di energia sia del processo di decarbonizzazione. La prima ha esercitato una pressione al ribasso sui prezzi elettrici. Il secondo ha comportato una ricomposizione dell’energy mix, in particolare per le società caratterizzate da più elevate emissioni carboniche, determinando svalutazioni delle attività carbon-intensive che hanno ulteriormente pesato sui risultati d’esercizio, intaccando il patrimonio netto e accrescendo la leva finanziaria.
Questi fenomeni sono anche conseguenza del forte sostegno di cui le energie rinnovabili del settore elettrico hanno goduto in molti paesi: in prospettiva gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione potranno costituire un vantaggio in termini relativi per quelle imprese che decarbonizzeranno il loro energy mix (sia nel caso che vengano attuate ulteriori misure di supporto per le forme di energia lowcarbon, sia nel caso che siano penalizzate quelle carbon-intensive).
La discussione sui tavoli politici europei ha iniziato ad affrontare orizzonti di più lungo periodo e obiettivi più ambiziosi: l’Energy Roadmap al 2050 si propone una riduzione dei gas ad effetto serra di oltre l’80% rispetto ai livelli del 1990, una maggiore efficienza energetica (che contribuirebbe a una riduzione dell’energia consumata nel 2050 pari a circa il 41% rispetto ai picchi del 2005-06) e a un massiccio ricorso alle fonti di energia rinnovabili (che arriverebbero a produrre circa il 75% dell’energia consumata, e circa il 97% dell’elettricità).
Alcuni studi suggeriscono che gli impegni europei conseguenti l'entrata in vigore dell'Accordo di Parigi richiederebbero target ancora più stringenti, imponendo entro il 2030 una riduzione delle emissioni del 50-55% rispetto al 1990 ed entro il 2050 del 90-95%. Questi obiettivi, insieme alle prospettive di un permanere di una bassa domanda di energia (anche in conseguenza delle politiche di efficientamento energetico), rendono ancora più desueto il tradizionale modello di business delle utility elettriche.
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