Edilizia - guida alle imprese che vogliono approdare sui mercati esteri
Cosa e dove esportano tradizionalmente le imprese edili italiane? Quali sono i mercati che offrono le migliori occasioni e quali le tendenze annunciate per i prossimi anni? Le risposte in uno studio di SACE sulla presenza delle aziende del settore costruzioni nel contesto globale.
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Si intitola "Esploratori si nasce o si diventa? Rischi e opportunità nella strategia di portafoglio dei costruttori italiani", lo studio di SACE sulla presenza delle imprese italiane del settore edilizia e costruzioni sui mercati internazionali.
Dallo studio di SACE, società attiva nell’export credit che insieme a SIMEST costituisce il Polo per l'Export e l'Internazionalizzazione del Gruppo Depositi e Prestiti (CDP), emerge un aumento considerevole della quota di fatturato realizzato all’estero da parte dei contractor italiani. Il dato è passato dai 3 miliardi di euro nel 2004 (pari al 31% del totale) ai 14 miliardi di euro del 2016 (73% del totale).
Classificazione delle imprese edili all'estero
In base alle caratteristiche di operatività all’estero, SACE classifica le imprese italiane del settore edile in tre gruppi.
Gruppo Cristoforo Colombo, costituito dalle imprese che agiscono nei frontier market, ovvero in contesti ad alto rischio, fortemente esposti alla volatilità dei flussi di investimento internazionale, con un ampio potenziale inespresso e fortemente dipendenti dalle materie prime. Alcuni esempi: Algeria, Argentina, Etiopia, Iran, Kenia e Russia (quest’ultima a causa delle conseguenze apportate sull’economia del Paese dalle sanzioni imposte a Mosca nel contesto della crisi ucraina).
Gruppo Amerigo Vespucci, che riunisce le aziende che operano in geografie caratterizzate da una rischiosità media (cosiddetti speculative grade). Si tratta di mercati caratterizzati da un contesto normativo relativamente stabile, piani di investimento pubblico-privato credibili e buone prospettive di crescita, ma comunque “di difficile penetrabilità da parte di operatori esteri”. Tra di essi: Brasile, Filippine, India, Indonesia, Malesia, Messico, Perù e Vietnam.
Gruppo Giovanni Caboto, comprendente le imprese che competono sui mercati avanzati e maggiormente affidabili, definiti investment grade. Si tratta di Paesi ad alto reddito con “iniziative infrastrutturali rilevanti e realistiche”. Ovviamente rappresentano “mercati altamente concorrenziali”, a causa di “una concorrenza agguerrita da parte di conglomerati domestici, barriere all’entrata o requisiti minimi per accedere alle gare particolarmente elevati”. Tra i principali: Corea del Sud, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna e Stati Uniti.
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Le mete predilette dalle aziende italiane
Tradizionalmente, spiega SACE, le imprese del settore edile si sono sempre spinte in mercati periferici, a discapito delle opportunità offerte dagli investimenti nei Paesi avanzati e più vicini. Lo dimostra il fatto che “i primi 15 Paesi per investimenti in costruzioni a livello mondiale”, pari al 75% del mercato, rappresentano “meno del 20% del portafoglio lavori delle imprese italiane”.
La presenza delle aziende delle costruzioni italiane appare “in linea con il mercato globale solo in America Latina” dove, con l’eccezione del Venezuela, si stanno aprendo “spazi interessanti che vanno esplorati”, ad esempio in Brasile. La presenza italiana è, invece, sopra la media globale in Africa e in Medio Oriente e sotto la media in Estremo Oriente, in Europa (sia UE che non UE) e nell’area NAFTA (North American Free Trade Agreement), che riunisce Stati Uniti, Canada e Messico.
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Cosa si esporta all’estero
Nonostante il rallentamento della domanda nel 2016 da parte di alcuni Paesi emergenti, che continuano ad essere caratterizzati da “un ampio deficit infrastrutturale”, la tendenza appare quella verso un “riequilibrio del mercato dal comparto residenziale a quelli non-residenziale e del genio civile”.
In termini di segmentazione del mercato mondiale per tipologia di costruzioni, i dati di SACE mostrano che nel 2006 a farla da padrone era il comparto residenziale, con una fetta del 43% del totale. Sotto il 30% erano le quote rappresentate sia dal non residenziale (29%) che dalle infrastrutture (27,3).
A 11 anni di distanza, nel 2017, le quote dei tre comparti si sono molto riavvicinate tra loro, con il residenziale al 35,7%, il non residenziale al 31,8% e le infrastrutture al 32,5%.
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Le tendenze annunciate dal 2017
Dopo una fortissima crescita della quota di investimenti da parte dei Paesi emergenti tra il 2000 e il 2016 (dal 36% al 65% del totale), spiega SACE, nel 2017 si è assistito ad una ripresa degli investimenti da parte del settore edile italiano anche sui mercati avanzati, con “un'inversione di tendenza rispetto alla progressione degli emergenti”, che sono, invece, scesi al di sotto del 60% della domanda globale.
Seppure in modo timido, si legge in conclusione del report, lo sforzo di riposizionamento delle imprese italiane sui mercati più avanzati è iniziato, “ma non basta”, se contestualizzato a livello globale.
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