Startup – mentre Parigi tenta la scalata, l'Italia resta indietro
Mentre il ministro delle Finanze francese annuncia la nascita di un fondo da 13 miliardi per startup e innovazione, in Italia gli investimenti calano. E gli incentivi non sembrano dare i risultati sperati.
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Mentre Parigi tenta di raggiungere Londra ed imporsi come hub europeo dell'innovazione, l'Italia resta indietro.
Basta dare un'occhiata ai dati di Dealroom, azienda che fa da tramite tra investitori e imprese innovative e raccoglie in un database i dati sui venture capitalist europei.
Londra resta la regina delle startup, la Francia insegue
Nonostante l'ombra della Brexit, il Regno Unito resta il Paese di riferimento per gli startupper in Europa. Del resto, gli investimenti venture capital nell'arco degli ultimi anni sono andati aumentando: dai 3,8 miliardi di euro investiti nel 2016 si è passati ai 7,5 miliardi del 2017. Quasi il doppio.
Anche guardando i numeri relativi ai round di investimenti è facile rendersi conto di quanto sia florido l'ecosistema britannico: 135 round sia nel 2016 che nel 2017.
Ma se i dati su Londra non stupiscono, quel che colpisce sono le cifre investite nelle imprese innovative dai cugini d'oltralpe: 2,9 miliardi nel 2016, 2,5 miliardi investiti l'anno scorso. I round sono andati aumentando, passando dai 713 del 2016 ai 750 dell'anno successivo.
Se a queste cifre aggiungiamo la dichiarazione fatta proprio in questi giorni dal ministro delle Finanze Bruno Le Maire, che ha annunciato la nascita di un fondo d’investimento da 13 miliardi di dollari, è evidente la volontà di fare della Francia una “Startup Nation”.
Va specificato che queste risorse non saranno investite subito e materialmente, ma saranno gestite dalla banca pubblica Bpifrance, come ha spiegato Le Maire a Forbes: solo il reddito che generano (secondo le stime, tra i 240 e i 365 milioni di dollari) sarà investito in tecnologie dirompenti, oltre ai 170 milioni che la Francia investe annualmente in startup.
A chiudere il podio dei Paesi europei che più investono in startup secondo Dealroom è la Germania: 2 miliardi investiti nel 2016 (per 516 round), saliti a 2,9 lo scorso anno (per 439 round).
L'Italia in netto ritardo...
Gli investimenti italiani non solo non possono essere messi a confronto con quelli di Regno Unito, Francia e Germania, ma hanno anche subito una sensibile flessione nell'arco di due anni: dai 205 milioni di euro investiti nel 2016 si è passati ai 125 milioni del 2017.
A subire il rallentamento maggiore sono stati i round d'investimento, passati da 279 a 190. Si tratta di un dato rilevante, che mostra il perseverare del vizio italiano di distribuire soldi “a pioggia”. Basta confrontare il nostro con altri Paesi europei, come la Norvegia: sebbene allineati sul piano delle risorse investite in startup (168 milioni di euro nel 2016 e 134 nel 2017), la differenza si nota eccome a guardare i round di investimenti (19 nel 2016 e 12 nel 2017). Come a dire, che l'Italia preferisce elargire piccole somme a un elevato numero di startup piuttosto che puntare su importanti investimenti nelle idee che potrebbero velocemente scalare.
Del resto, il comportamento dei due unici unicorni Made in Italy - Yoox e e Octo Telematics - rende lampante il problema: entrambe, pur avendo tra gli investitori iniziali alcuni lungimiranti italiani – Elserino Piol, Francesco Marini Clarelli e Matteo Montezemolo – quando si è trattato di crescere hanno fatto i bagagli: su Yoox hanno puntato (oltre a Piol e il business angel Francesco Marini Clarelli) i fondi Balderton Capital (UK) e Nestor 2000 (Belgio), mentre Octo Telematics vede tra i suoi azionisti il gruppo di investimento russo Renova Group e il fondo anglo-americano Pamplona Capital Management.
...malgrado le agevolazioni
Forse è ancora presto per dirlo, ma dati del genere dovrebbero far riflettere sull'inefficacia di alcune misure adottate per favorire lo sviluppo di startup innovative in Italia. L'ultima, in ordine di tempo, riguarda il potenziamento delle agevolazioni per chi investe, previste dalla Legge di Bilancio 2017.
La Manovra dello scorso anno, lo ricordiamo, ha stabilizzato e rafforzato la disciplina fiscale di favore prevista per i soggetti che investono in startup innovative: le aliquote sono state cioè uniformate al 30% tanto per la detrazione dall’imposta per i soggetti IRPEF (al posto della precedente aliquota del 19%) quanto per la deduzione dal reddito per i soggetti IRES (in luogo della precedente aliquota del 20%), indipendentemente dalla tipologia di startup innovativa beneficiaria, e il tetto massimo di investimento detraibile è stato portato da 500mila a 1 milione di euro per i soli soggetti IRPEF.
Chi poi sperava in un nuovo slancio con la Manovra 2018 si è dovuto ricredere. L’ipotesi di inserire in Legge di Bilancio la possibilità di destinare il 3% dei Piani individuali di risparmio per stimolare gli investimenti in startup e PMI innovative, favorendo la canalizzazione del risparmio privato verso il Venture Capital, non è nemmeno stata discussa in Parlamento.