Piani individuali di risparmio – Governo valuta PIR per le infrastrutture
Mentre il Governo studia l'introduzione di PIR per le infrastrutture nell'ambito della prossima legge di Bilancio, la FEBAF, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza, fa il punto sui primi risultati dei Piani individuali di risparmio per le PMI.
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Piani individuali di risparmio, sul modello di quelli introdotti nel 2017 per le PMI, per finanziare gli investimenti in infrastrutture. E' una delle ipotesi sul tavolo del Governo secondo quanto anticipato all'ANSA dal viceministro all'Economia Massimo Garavaglia.
Dalla Federazione delle Banche, Assicurazioni e Finanza (FEBAF), intanto, arrivano alcuni rilievi sullo strumento già esistente: finora i PIR si stanno indirizzando soprattutto sul quotato, trascurando le imprese fuori dal mercato borsistico.
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PIR per le infrastrutture
Introdotti dalla legge di Bilancio 2017 per orientare gli investimenti delle famiglie verso le piccole e medie imprese italiane, i PIR sono contenitori di strumenti finanziari di diverso tipo - azioni, obbligazioni, fondi comuni eccetera - sottoscritti da persone fisiche e mantenuti per almeno cinque anni.
L’agevolazione consiste in un'esenzione dalle imposte sui redditi derivanti dagli strumenti finanziari e dalla liquidità che concorrono a formare il PIR e dall’imposta di successione relativa agli strumenti finanziari che compongono il piano in caso di trasferimento a causa di morte.
Sulla base del successo dei PIR per le piccole e medie imprese, l'Esecutivo pensa a uno strumento simile per dare la possibilità ai piccoli risparmiatori di investire nelle infrastrutture. "Con un costo di 100 milioni per la defiscalizzazione" sarebbe possibile raccogliere "15 miliardi dal risparmio privato, quasi un punto di Pil, per dare una spinta importante al piano di investimenti pubblici", ha spiegato il viceministro Garavaglia all'ANSA.
I primi risultati dei PIR per le PMI
Ad un anno e mezzo dalla loro introduzione, la FEBAF tenta intanto un primo bilancio sull'andamento dei Piani individuali di risparmio. Finora, si legge in una nota della Federazione, i numeri sono andati oltre le aspettative.
Nel solo 2017 i PIR hanno raccolto circa 15 miliardi di euro, cresciuti a 18,6 miliardi nel primo semestre di quest'anno. E secondo le stime di Equita, a fine 2018 il patrimonio complessivo dei PIR potrebbe raggiungere quota 22,3 miliardi.
Sul fronte dell'efficacia, però, non mancano alcune ombre. L'obiettivo dello strumento era infatti quello di favorire gli investimenti dei risparmiatori nel sistema imprenditoriale, in particolare verso gli strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali con sede in Italia che non riescono a soddisfare il proprio fabbisogno di risorse finanziarie tramite le vie tradizionali.
Nei fatti, però, i Piani individuali di risparmio si sono indirizzati soprattutto sul quotato, e in gran parte sul secondario, con solo 4 miliardi di euro destinati a piccole imprese e MidCap e meno di 150 milioni di euro alle matricole AIM, il mercato di Borsa Italiana dedicato alle PMI.
“Ciò significa che gli obiettivi che erano sottesi alla misura sono stati, almeno parzialmente, disattesi sia sul fronte del finanziamento delle PMI che dell’intercettare alcune imprese fuori dal mercato borsistico”, osserva la Federazione.
Nonostante la normativa preveda che al non quotato possa essere indirizzato fino al 10% dell’ammontare, ha commentato nei giorni scorsi il direttore generale di AIFI, Anna Gervasoni, “neanche un euro dei PIR è finito nelle casse di imprese non quotate attraverso strumenti di private equity, private debt e venture capital”.
I risultati sono modesti, secondo la FEBAF, anche se si guarda all'operato degli investitori istituzionali: nel primo semestre 2018 meno del 4% della raccolta di mercato del private equity deriva da fondi pensione italiani, per un totale di 64 milioni.
Diverse le criticità alla base di questi risultati individuate dalla Federazione, dalle difficoltà che incontrano i gestori nel valutare correttamente il segmento illiquido alle minori opportunità di disinvestire, fino alle difficoltà incontrate da casse e fondi pensione nell'avvicinarsi all'economia reale, dotandosi di strumenti di valutazione, linee guida, ecc.
Vi è poi il fatto il limite di aver fissato l’incentivo fiscale a favore degli investimenti in economia reale di casse e fondi pensione alla soglia del 5%. Un punto, quest'ultimo, su cui, secondo quanto anticipato dal sottosegretario al Ministero del Lavoro Claudio Durigon, il Governo sarebbe pronto a lavorare. La soglia per gli investimenti detassati in economia reale da parte delle casse potrebbe salire all’8%.
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