I ritardi dell'Italia nella digitalizzazione della PA e delle PMI
Nonostante i progressi compiuti dall'Italia nella digitalizzazione del paese, ad oggi i servizi digitali della PA sono utilizzati ancora troppo poco dai cittadini, mentre le PMI continuano ad incontrare barriere di vario genere nella transizione al digitale. Lo rivelano due report pubblicati dalla Commissione UE su eGovernment e imprese in Europa.
> Come sfruttare le sinergie tra i fondi UE post 2020 per la transizione digitale
Transizione digitale in Italia e in Europa
eGovernment, Italia ultima per l'uso dei servizi digitali
Dall'eGovernment Benchmark Report 2020 - alla cui elaborazione per il sesto anno consecutivo ha contribuito anche il Politecnico di Milano - risulta che tutti gli Stati stanno migliorando l’offerta di servizi digitali, supportando cittadini e imprese nella transizione al digitale.
L'Italia si posiziona 18esimo per la capacità della PA di sfruttare le potenzialità offerte dall’ICT con un valore (71%) in linea con la media europea (72% nell'UE a 27) e in crescita rispetto agli anni passati. Tuttavia il nostro paese si colloca all’ultimo posto in Europa per utilizzo dell’eGovernment: solo il 25% dei cittadini utilizza servizi digitali per interagire con la pubblica amministrazione, contro una media europea del 60%.
È quest’ultimo l’indicatore più utile per capire la diffusione dei servizi di eGovernment nel paese, che presenta differenze importanti a seconda della dimensione degli enti e della loro localizzazione geografica.
Il contributo del Politecnico di Milano all’eGovernment Benchmark risiede nel modello benchlearning, sviluppato per cercare di dare una spiegazione a questi risultati, partendo dall’evidenza che le prestazioni in eGovernment di un paese possono essere fortemente influenzate dalle sue specifiche caratteristiche in termini di tipologia di utenza, caratteristiche della PA e propensione al digitale. Le performance vengono misurate attraverso due indicatori: penetration, che misura il grado di diffusione del canale online tra gli utenti che hanno la necessità di utilizzare i servizi pubblici, e digitisation, la capacità della PA di sfruttare adeguatamente le potenzialità offerte dall’ICT.
Dopodiché vengono individuati e pesati i fattori di contesto che possono condizionare lo sviluppo dell’eGovernment in un paese, utilizzando in modo importante gli indicatori del DESI. Le performance ottenute posizionano il nostro paese nella categoria 'non-consolidated eGov', tra quegli Stati cioè che devono ancora lavorare per adottare in modo efficace l’ICT e ottenere performance paragonabili a quelle dei migliori.
Dall’analisi di benchlearning l'Italia risulta posizionata peggio rispetto ad altri paesi con caratteristiche simili, a dimostrazione del fatto che c’è un margine per migliorare. Guardando alle strategie di altri paesi meglio posizionati, alcuni dei principali gap riguardano l’automazione dei processi e l’interoperabilità delle applicazioni che permettono una riduzione sostanziale degli adempimenti a carico dei cittadini. In questi paesi la strategia di diffusione dell’eGovernment sembra concentrarsi maggiormente nel cercare di limitare le interazioni tra la PA e il cittadino ai servizi con maggior valore aggiunto.
Il report introduce la presentazione di buone pratiche da parte dei differenti Stati Membri e per l’Italia vengono citati i casi successo di PagoPA, App IO e Fascicolo Sanitario Elettronico.
“Alcuni fattori di contesto rappresentano senz’altro un freno per chi è deputato a governare la trasformazione al digitale del nostro paese ed è importante orientare gli investimenti per colmare questi gap, ma non possono essere presi come unica scusante”, ha commentato Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano e responsabile del gruppo di ricerca sull’eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano. “È necessario lavorare per rendere sempre più semplici e funzionali i servizi digitali della PA e per mettere in condizioni tutti gli enti, anche i più piccoli, di poterli offrire ai propri cittadini”.
Digitalizzazione delle PMI, ancora troppe barriere
Dall'ultima indagine dell'Eurobarometro sulle PMI - incentrata su sostenibilità e digitalizzazione - emerge che il 62% delle aziende europee di medie e piccole dimensioni incontra una serie di ostacoli nella transizione al digitale, tra cui la mancanza di competenze e di risorse economiche, ma anche l'incertezza sui futuri standard digitali.
All'indagine hanno partecipato anche 500 PMI italiane, che tra le principali barriere alla digitalizzazione, hanno indicato: la mancanza di risorse finanziarie, ostacoli normativi e mancanza di competenze, incluse quelle manageriali.
Guardando invece alla tecnologie digitali più utilizzate dalle PMI italiane, si distinguono: cloud computing, infrastrutture ad alta velocità e dispositivi smart.
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Corte dei Conti UE: transizione 4.0 a macchia di leopardo in Europa
Anche la Corte dei Conti UE si è recentemente espressa sulla digitalizzazione dell'industria europea, denunciando la disomogeneità tra Stati membri nella transizione 4.0.
Nella sua relazione la Corte ricorda che nel 2016 la Commissione europea ha avviato l’iniziativa Digitalizzazione dell’industria europea (DEI) per favorire la digitalizzazione delle imprese dell’UE. Scopo dell’iniziativa DEI è rafforzare la competitività dell’UE nell’ambito delle tecnologie digitali e fare in modo che qualsiasi impresa in Europa, indipendentemente dal settore in cui opera, dal luogo in cui si trova e dalle sue dimensioni, possa beneficiare delle innovazioni digitali. L’iniziativa mirava a mobilitare quasi 50 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati nel quinquennio successivo al suo avvio.
Gli auditor della Corte hanno visitato quattro Stati membri (Germania, Ungheria, Polonia e Portogallo) per constatare personalmente sul campo i progressi realizzati. La strategia della Commissione per favorire la digitalizzazione poggiava su solide basi ed aveva il sostegno degli Stati membri, ma non specificava quali effetti intendeva ottenere. La Germania e il Portogallo dispongono di strategie, ma nel 2019 l’Ungheria e la Polonia non avevano ancora elaborato alcuna strategia nazionale completa di digitalizzazione.
Anche se la Commissione ha realizzato diverse attività per aiutare gli Stati membri, secondo le autorità nazionali queste hanno in genere influito solo in misura limitata sull’elaborazione e l’attuazione delle strategie nazionali di digitalizzazione. La Corte rileva inoltre che non si conosce quanto costi in totale creare e mantenere un quadro per sostenere la digitalizzazione dell’industria dell’UE.
Per quanto riguarda l’uso dei fondi UE, l’iniziativa ha ricevuto finanziamenti nell’ambito di Horizon 2020 e anche i programmi esaminati del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) prevedevano misure potenzialmente in grado di sostenere l’attuazione della DEI. Tuttavia, la Commissione non ha incoraggiato gli Stati membri ad assegnare i finanziamenti del FESR all’iniziativa.
Uno degli elementi fondamentali dell’iniziativa DEI era la creazione e il funzionamento dei poli dell’innovazione digitale (DIH), con il compito di fornire consulenza sulle tecnologie e creare una rete di imprese locali. Ad eccezione della Germania, il concetto di DIH non è stato pienamente sviluppato negli Stati membri visitati.
> Digitale: la rete pan-europea di Digital Innovation Hub
La Corte ha riscontrato casi in cui l’utilizzo dei limitati finanziamenti nazionali pubblici e privati per le attività dei DIH non era stato coordinato; sottolinea che la Commissione non attua un monitoraggio specifico sulle attività dei DIH in tutta l’UE, eccetto per quelli finanziati da Horizon 2020. I fondi del FESR possono essere usati per finanziare i DIH, ma questo avviene di rado. Infine, buoni livelli di connettività a banda larga sono un presupposto essenziale per la digitalizzazione.
Come sottolineato per un audit del 2018, è improbabile che tutti gli Stati membri raggiungano gli obiettivi dell’UE per il 2020 in materia di copertura della banda larga, e sarà ancora più difficile raggiungere gli obiettivi fissati per il 2025. Inoltre, il tasso di diffusione della banda larga veloce varia notevolmente in funzione delle dimensioni delle imprese (nel 2019, ad esempio, solo il 46% delle PMI disponeva di un accesso alla banda larga veloce) e questo inevitabilmente frena la rivoluzione industriale digitale nell’UE.
La Corte ha formulato una serie di raccomandazioni, che tengono anche conto della proposta per il nuovo programma Europa digitale 2021-2027 ancora in fase di discussione. In particolare, raccomanda di:
- aiutare gli Stati membri a individuare i deficit di finanziamento e attirare la loro attenzione sui finanziamenti UE disponibili;
- migliorare il sistema di monitoraggio dell’iniziativa DEI definendo indicatori di risultato adeguati e un sistema di tracciamento delle spese;
- definire, coordinare ed adottare il quadro di riferimento per una rete di poli europei dell’innovazione digitale che copra tutte le regioni d’Europa;
- intraprendere ulteriori azioni per sostenere il conseguimento di livelli adeguati di connettività a banda larga.
Grafiche a cura della Commissione UE