Un Recovery da riscrivere in tempi record per non vanificare la battaglia per la condivisione del debito
Mentre a Bruxelles cresce la fiducia nei confronti dell’ipotesi Draghi al Governo, i tempi per riscrivere il Recovery si fanno sempre più stretti. La sfida del nuovo Esecutivo sarà completare il PNRR in tempi record, inserendo riforme decisive che l’UE raccomanda da anni.
Recovery: la Commissione rivede i paletti per ottenere i fondi europei
L'aspettativa dei vertici europei nei confronti del Recovery Plan dell'Italia era ben diversa da quanto si sta verificando: trattandosi del primo Paese beneficiario dei fondi europei di Next Generation EU, e anche alla luce delle pressioni esercitate mesi fa dal Governo italiano per ottenere un debito comune europeo - una novità di portata storica, che ha cambiato il volto dell'Europa - Roma sarebbe dovuta essere la prima capitale a presentare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Invece la crisi politica ha fatto accumulare ritardi e le prime bozze inviate a Bruxelles non hanno convinto i vertici europei: il Recovery Plan dev'essere rafforzato sotto il punto di vista delle riforme, avverte la Commissione.
Un monito che è arrivato anche dall'ex premier e attuale commissario all'Economia Paolo Gentioni: "Per l'Italia il Recovery è l'occasione della vita". Le risorse a disposizione del Paese all'interno del Next Generation EU "devono essere usate non solo per riparare i danni della pandemia, ma anche per affrontare i punti deboli che abbiamo da molto tempo".
La sfida che attende Draghi: un Piano nazionale ripresa e resilienza (quasi) da riscrivere
Il PNRR - attualmente sul tavolo del Parlamento, che sta portando avanti confronti serrati con istituzioni, imprese, associazioni e rappresentanti della società civile per raccogliere le indicazioni su come migliorarne il tiro - dovrà incardinare quindi le indicazioni arrivate da Bruxelles.
La parola chiave nel confronto con l'Europa è riforme. Riforme che non vanno solo indicate in modo vago né dovrebbero essere sintetizzate in poche parole, ma che occorre spiegare nel dettaglio, dal momento che la Commissione europea le considera parte integrante del Piano.
Le maggiori riguardano: giustizia, pubblica amministrazione, fisco e pensioni (con l'abolizione di quota 100).
I tempi stringono
Orientativamente nella terza settimana di febbraio la Commissione europea aprirà alle notifiche formali dei Piani nazionali per accedere ai finanziamenti. Per ottenere il via libera ci vorranno almeno tre mesi: due per le valutazioni di Bruxelles e uno per quelle delle capitali. E se Roma vorrà incassare già a giugno l'acconto del 13% dei 209 miliardi del Recovery, serve necessariamente un Governo che concluda il piano in tempi rapidi.
La prossima settimana il Parlamento europeo approverà il Recovery and Resilience Facility, lo strumento tecnico che segnerà ufficialmente la nascita del Recovery Plan. Il 16 febbraio è atteso il via libera dell'Ecofin. A quel punto, dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della Unione europea, i Governi potranno avviare le notifiche.
Se Draghi riuscirà ad ottenere la fiducia dei gruppi parlamentari e formare un Governo, ad attenderlo ci sarà un compito non facile: completare il Recovery Plan in tempi record, includendo quelle riforme indicate da Bruxelles come indispensabili.
Indicazione che nel frattempo è arrivata anche da Francoforte: la Banca centrale europea nel suo bollettino mensile ha chiarito che nei prossimi quattro anni l'effetto sulle economie della zona euro del Next Generation EU potrebbe valere un punto di Pil.
“Essenziale” quindi, secondo l’istituto in passato guidato da Draghi, che le risorse per i Recovery Plan siano usate rapidamente, e con priorità “negli investimenti e nelle riforme strutturali volte a favorire la crescita”.
Un monito che sembra fatto appositamente per il nostro Paese, visti i ritardi accumulati alla luce della crisi di Governo, ma che riguarda tutta l'UE. Le riforme infatti fanno parte del pacchetto Recovery non solo per l’Italia: nel radar di Bruxelles sono finiti i sistemi pensionistici di Francia, Spagna e Germania.
In ballo c'è la credibilità dell'Italia e il futuro delle politiche economiche europee
A preoccupare, oltre al capitolo riforme e i tempi di consegna del Piano, è la capacità di assorbire i fondi europei. Capacità, quest'ultima, per cui l'Italia finora non ha brillato.
Ma il Recovery ha regole d'ingaggio diverse rispetto ai fondi europei tradizionali a disposizione dei singoli Paesi: le risorse arrivano cioè a tranche e se non si impiegano secondo i tempi e gli obiettivi che i Governi stessi hanno fissato, si blocca la tranche successiva. Rispettare i tempi, insomma, è non solo un impegno che il Paese deve assumersi alla luce di una crisi drammatica, ma un dovere.
Ed è qui che entra in ballo la crisi di Governo, che rischia di avere due pesanti conseguenze.
La prima riguarda da vicino il futuro dell'Italia: agli occhi dei partner europei, infatti, il Recovery rappresenta una chance impedibile per ammodernare l'economia italiana attivando riforme ed investimenti ed avviare un percorso virtuoso di crescita che potrebbe contribuire anche a una maggiore sostenibilità del debito.
La seconda è invece di respiro europeo: la crisi del primo Paese beneficiario del Recovery potrebbe innescare un processo inverso rispetto a quello avviato dall'Unione europea nel 2020 per far fronte alla crisi causata dalla pandemia. Paesi come Francia e Germania, e la stessa Commissione europea, che la scorsa primavera si sono battuti al fianco di Roma per rispondere all'emergenza attraverso una condivisione del debito, oggi temono che un flop italiano darebbe nuovo vigore ai falchi del Nord Europa, vanificando in tal modo il lavoro di chi immagina di sfruttare il successo del programma Next Generation EU per rendere permanente il meccanismo di debito comune tramite gli eurobond a sostegno dell'economia.
I rilievi di Bruxelles sui piani degli altri Paesi
Le raccomandazioni di Bruxelles non riguardano ovviamente solo l’Italia. A Spagna, Francia e Germania, ad esempio, è imposta una linea rigorosa.
La Spagna, secondo beneficiario dopo l'Italia del Next Generation EU, ha scelto di chiedere solo i 72 miliardi di grants e fare a meno della componente prestiti. Bruxelles ha chiesto al Governo spagnolo a fare una drastica riforma delle pensioni, che elevi da 25 a 35 anni il tetto dei contributi. Una richiesta imprescindibile per accedere alle risorse del Recovery.
Alla Francia, fra i primi Paesi ad aver inviato a Bruxelles il proprio Piano di ripresa e resilienza, il Fondo monetario internazionale ha chiesto di rimettere in sesto le finanze pubbliche appena il Covid-19 sarà superato, iniziando anche in questo caso da una profonda riforma delle pensioni, cui si è aggiunta la richiesta di un aumento delle imposte. Una direzione, quest’ultima, opposta a quanto previsto dal Recovery Plan francese che, tra le misure chiave, prevede appunto un forte taglio delle imposte sulle imprese per agevolare la ripresa.
I rilievi del FMI non equivalgono a quelli della Commissione europea, ma quest’ultima deve tenerne conto.
Osservazioni che non hanno mancato di suscitare malumore a Parigi. Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, ha puntato direttamente il dito contro l’Esecutivo UE in una dichiarazione resa al Financial Times: il processo di approvazione dei Piani nazionali è “troppo lento e complicato” a causa dell'eccessiva burocrazia. “Se vogliamo uscire rapidamente dalla crisi - ha sottolineato - dobbiamo accelerare. Non abbiamo speso il nostro capitale politico per avere un piano che ritarda per ragioni tecnocratiche”.
A stupire maggiormente l’opinione pubblica europea è però il rilievo mosso dalla Commissione alla Germania: la mancanza cioè di fervore nelle riforme. Nel piano tedesco mancherebbero misure ampie e generali per migliorare il sistema pensionistico, e andrebbe per questo migliorato.