AIAB: Italia decida quale agricoltura sostenibile vogliamo nel Piano PAC e nel Recovery
Per il neo presidente dell'Associazione italiana agricoltura biologica, Giuseppe Romano, la parola sostenibilità rischia di diventare un'etichetta passepartout. L'Italia deve chiarire cosa intende fare per ridurre l'impatto del settore su risorse naturali e clima e come i fondi europei contribuiranno a questo obiettivo.
Il mondo dell'agricoltura biologica chiede una PAC più verde
L'incarico di Giuseppe Romano, dal 19 aprile alla guida dell'AIAB al posto di Antonio Corbari, arriva in un momento decisivo per l'agricoltura biologica, protagonista della strategia europea per la transizione verde del settore nell'ambito dell'European Green Deal e con una partita tutta da giocare per conquistare il sostegno dei fondi europei del Piano strategico nazionale (PSN) della Politica agricola comune. Proprio oggi si insedia infatti il tavolo nazionale di partenariato convocato dal Ministero delle Politiche agricole per la stesura del Piano PAC, dove l'AIAB porterà le sue richieste in materia di pagamenti diretti, convergenza interna, ecoschemi, sostegno PSR all'agricoltura biologica.
Con un'avvertenza, valida anche per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): la situazione climatica è critica e richiede una strategia ambiziosa e concreta; l'agricoltura biologica non è l'unica risposta, ma non può essere trattata come una pratica colturale tra le altre, tutte ugualmente accomunabili sotto l'etichetta di agricoltura sostenibile.
Con l'insediamento del tavolo nazionale di partenariato, parte il percorso con i rappresentanti del mondo produttivo, istituzionale e della società civile per la stesura del nuovo PSN, il Piano strategico nazionale che stabilirà la programmazione di tutte le risorse della Politica agricola comune 2023-27. Quali sono le richieste che intendete porre per il capitolo pagamenti diretti? Partiamo da alcuni temi caldi: meccanismo dei titoli storici, convergenza interna, ecoschemi.
Siamo soddisfatti del ritorno del biologico anche sul primo pilastro, ma ci sono diversi aspetti da discutere. Anzitutto, i titoli storici non ci entusiasmano, portano a una difformità mostruosa dei livello di pagamenti sul territorio, con importi elevatissimi anche in zone di agricoltura intensiva segnate da un alto livello di inquinamento. Il loro superamento è una condizione fondamentale per la nuova PAC: secondo noi il titolo e il contributo non vanno ricondotti ad un diritto basato sulla sola superficie, ma devono essere modulati sulla base di quello che si fa oggettivamente per la produzione di cibo sostenibile e di qualità.
Sulla convergenza va da sé che il ragionamento è analogo, i pagamenti devono essere uniformati sul territorio e legati non alla superficie ma a quello che si fa per l'ambiente. Il neo ministro Patuanelli si era appena insediato nei giorni di scadenza del termine per modificare le regole della vecchia PAC per il periodo 2020-21 e ha scelto il mantenimento dello status quo, rinviando eventuali modifiche al 2022. E' una scelta comprensibile visti i tempi stretti, ma rischia anche di rendere più pesante il taglio negli anni a venire, visto che in ogni caso nel 2027 dobbiamo raggiungere i target di convergenza previsti a livello europeo.
Sugli ecoschemi c'è ancora grande incertezza, e non solo perchè il negoziato sulle risorse che verranno destinate al nuovo meccanismo nell'ambito del primo pilastro non è ancora chiuso e c'è un delta tra il 20% e il 30% del budget totale dei pagamenti diretti a seconda che prevalga la linea del Consiglio o del Parlamento. Il problema è anche che non sappiamo cosa entrerà nella lista delle pratiche ammissibili per ottenere i pagamenti premiali. Sicuramente ci saranno l'agricoltura biologica, l'agricoltura di precisione, l'agricoltura conservativa, quella integrata, ma senza aver misurato i livelli di sostenibilità di queste altre agricolture. Detto in termini semplici, un'agricoltura conservativa che fa trattamenti con il glifosato la consideriamo sostenibile? I principi di sostenibilità vanno definiti meglio, altrimenti dietro il termine si può nascondere di tutto.
La nostra posizione sugli ecoschemi è quella di dire che intanto serve una percentuale definita per l'agricoltura bio, può essere il 20, il 30%, ma va stornata subito dal plafond e destinata esclusivamente al biologico. Poi questa quota dovrebbe essere progressivamente aumentata nella programmazione per poter arrivare al target del 25% di superficie destinata al bio previsto a livello UE dalla strategia Farm to Fork. Obiettivo che tra l'altro, come Italia, dovremmo puntare a porre più in alto, ragionevolmente al 30, al 35%, perchè il nostro sistema agricolo è piccolo, di nicchia e qualità, e se non preserviamo questa specificità e ci facciamo superare da altri paesi europei sul biologico, verremo annicchiliti dalle dimensioni dei nostri competitor.
Per approfondire: Agricoltura: Mipaaf a lavoro sul Piano strategico PAC dell'Italia
Un ruolo decisivo per la crescita del biologico lo avranno anche le risorse del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Anche in questo caso, però, il negoziato UE vede Consiglio e Parlamento ancora divisi su quante risorse destinare ai pagamenti agro climatici ambientali, se – rispettivamente – il 30 o il 35% del plafond. Che ne pensate?
Anche se a livello europeo non è ancora stato definito quante risorse saranno destinate alle misure agro climatiche ambientali, è certo che se vogliamo far crescere il biologico dobbiamo aumentare le risorse PSR per l'agricoltura bio e le misure agro ambientali. Non deve più accadere, come successo in tanti casi durante la programmazione 2014-2020, che un integrato riesca ad ottenere, attraverso l'associazione di più misure di sviluppo rurale, più fondi rispetto a un pagamento del biologico. Se non interveniamo su questa situazione, non ci sarà alcun incentivo a convertirsi o a mantenere il bio.
Su questo tema ci stiamo già confrontando con gli assessori regionali dal momento che, nonostante la programmazione nazionale delle risorse PAC, nel rispetto delle competenze loro attribuite dal nostro ordinamento, le regioni dovrebbero continuare ad essere autorità di gestione dei fondi per lo sviluppo rurale e parte della programmazione dovrebbe ancora passare da loro.
A livello nazionale, invece, i segnali non sono incoraggianti: il documento del Mipaaf per la riunione partenariale non è ambizioso, il biologico è citato solo come una tecnica culturale tra le altre definite sostenibili, mentre il salto di qualità della strategia Farm to fork è che ne fa uno strumento politico per raggiungere gli obiettivi di lungo termine dell'Unione. Lo stesso dovrebbe accadere in Italia, riconoscendo nell'agricoltura biologica un asset chiave per raggiungere gli obiettivi che riguardano clima, biodiversità, dissesto idrogeologico, benessere animale e smettendo di trattare questi temi in maniera separata.
Quando si parla di recepire gli obiettivi di Farm to fork nella PAC, però, l'obiezione mossa da diverse organizzazioni del settore è che la Politica agricola comune rischia di perdere la sua funzione di strumento di sostegno al reddito degli agricoltori, puntando a target ambientali troppo ambiziosi che non riconoscerebbero gli sforzi e i progressi già realizzati in questi anni e metterebbero a rischio la capacità di produrre cibo per tutti.
L'agricoltura convenzionale porta avanti il ragionamento di una progressiva riduzione degli input chimici, idrici, della graduale diffusione dell'agricoltura di precisione, ecc, ma questi sforzi non sono sufficienti rispetto a una situazione climatica critica, che non può più essere affrontata con piccoli passi, ma richiede strategie ambiziose e concrete. Basti pensare che un recente studio dell'Arpa dice che nelle falde troviamo ancora residui di prodotti rilasciati negli anni Ottanta, quindi ogni anno in assenza di interventi si accumulano prodotti che 40 anni dopo sono ancora presenti.
E' vero che l'agricoltura convenzionale sta già facendo progressi sul fronte della riduzione degli impatti ambientali, ma li sta facendo soprattutto in un'ottica di razionalizzazione della produzione e dei costi, mentre quello che serve è un impegno di alto livello, soprattutto per settori ad alto impatto ambientale come la zootecnia intensiva.
Quanto all'obiezione relativa all'impatto sulla sicurezza alimentare, probabilmente il rischio di una riduzione della produzione c'è, ma noi in questo momento non abbiamo un problema collegato alla indisponibilità di cibo, come mostrano i dati sulla spreco alimentare, è chiaro che c'è un problema distributivo, organizzativo della filiera, e anche relativo ai modelli di alimentazione, per non parlare del paradosso della sottrazione di terre alla produzione di cibo per ricavare energia.
Per approfondire: Dal Piano strategico PAC al Recovery, le richieste dell'agricoltura al Governo
In effetti anche i rilievi mossi dal Parlamento sulla bozza del Recovery plan e le proposte per la riscrittura da parte del Governo Draghi insistono molto sul tema delle biomasse. Cosa pensate di questo approccio?
In generale il PNRR ha il problema di un'estrema vaghezza nei punti in cui si fa riferimento all'agricoltura sostenibile, non si chiarisce cosa si intende per sostenibilità in agricoltura, anche in questo caso si rischia di mettere dentro un po' di tutto.
Anche la crescente attenzione sulle biomasse merita una riflessione. Un conto sono le biomasse legate alle deiezioni zootecniche, diverso è pensare di coltivare terreni per produrre mais e colza da buttare in combustione energetica. Non mi sembra eticamente accettabile, né coerente con le preoccupazioni circa i problemi di produzione e sicurezza alimentare. E' giusto cambiare politica energetica, ma non a scapito dell'agricoltura. Tanto più che ci sono ampi spazi di investimento in fonti energetiche alternative senza consumo di suolo, pensiamo ai pannelli solari che si potrebbero installare sugli edifici delle città, soprattutto al Centro-Sud e a cominciare da quelli più energivori.
Per approfondire: Recovery Plan: cosa ha chiesto il Parlamento per l'agricoltura sostenibile
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