Cosa non sta funzionando nel PNRR e perché?
Il 2023 si può già definire l’annus horribilis del PNRR. I problemi emersi nelle ultime settimane non devono stupire: data la storica difficoltà del nostro Paese di utilizzare i fondi europei, i problemi del PNRR - con la sua ingente mole di risorse e i tempi stretti - erano del tutto prevedibili. Cosa è andato storto fino ad oggi e cosa si può fare per cambiare rotta ora che si avvicina la riprogrammazione dei fondi del Recovery?
PNRR, la strategia per salvare il Piano e le aperture di Bruxelles
Prima di addentrarci nei perché dei ritardi, vale la pena citare alcuni dati sulla spesa dei fondi PNRR.
Sulla spesa dei fondi PNRR siamo molto in ritardo e probabilmente non li spenderemo tutti
Dalla Corte dei Conti alla CGIA di Mestre: le analisi sui ritardi nella spesa dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza offrono un quadro poco edificante.
I dati della Corte dei Conti circolano da qualche settimana e parlano chiaro: se si escludono le spese collegate a misure preesistenti e trainanti, come i bonus edilizi e gli incentivi 4.0, il livello di spesa dei fondi PNRR è fermo al 6%.
L’Ufficio studi CGIA anziché fornire delle stime sulla spesa futura fa i conti con il passato e il presente: vista la difficoltà cronica dell’Italia di spendere i fondi europei 'ordinari' non dovrebbe sorprendere l’idea che “non riusciremo a spendere tutti i soldi previsti dal PNRR”. La CGIA spiega in modo semplice e immediato il perché, prendendo a titolo d’esempio i fondi di coesione: “dei 64,8 miliardi di euro di fondi europei di coesione messi a disposizione dell’Italia nel periodo 2014-2020, di cui 17 di cofinanziamento nazionale, poco meno della metà (29,8) dobbiamo ancora spenderli. Se non lo faremo entro la fine di quest’anno, la parte non utilizzata dovrà essere restituita. Se, invece, riusciremo a farlo, in linea puramente teorica è come se ogni anno di questo settennio avessimo speso 9 miliardi di euro”.
Con il PNRR tra il 2021 e il 2026 dovremo investire 191,5 miliardi, il che significa una spesa media di 42 miliardi di euro l’anno tra il 2023-2026. Ebbene, si domanda l’ufficio studio CGIA, “se stiamo arrancando nel mettere a terra 9 miliardi di fondi UE all’anno, come faremo a spenderne addirittura 42 col PNRR, ovvero 4,5 volte tanto?”.
La strategia dei vasi comunicanti basterà per uscire dall’impasse?
La CGIA di Mestre propone un paragone calzante, anche in termini di attualità politica, tra fondi della Politica di Coesione e PNRR. Un legame che è destinato a stringersi sempre di più in futuro: il ministro responsabile di entrambi i dossier, Raffaele Fitto, anche ieri in Senato ha ribadito la teoria dei “vasi comunicanti”.
La strategia del Governo per non perdere i fondi PNRR consiste in una maggiore flessibilità nell'uso delle risorse, ovvero nell’individuare i progetti PNRR non realizzabili entro giugno 2026 e spostarli sulla programmazione della coesione 2021-2027, che dà tempo fino a dicembre 2029 per la rendicontazione.
Alla strategia dei vasi comunicanti si aggiunge un altro dossier parallelo, quello del capitolo energetico REPowerEU aggiuntivo al PNRR che oltre a grandi progetti infrastrutturali conterrà gli incentivi green per imprese e famiglie.
Cosa non sta funzionando nel PNRR e perché?
Alla vigilia della riprogrammazione dei fondi PNRR è utile domandarsi cosa non ha funzionato finora. Di analisi sul tema in questi giorni ne sono emerse moltissime e i diversi attori in gioco hanno evidenziato non senza polemiche cosa non va nella gestione dei fondi del Recovery Plan.
Tra ritardi strutturali, rincari delle materie prime e inflazione, una burocrazia farraginosa e una pubblica amministrazione perennemente sotto organico e che fatica ad attirare talenti, l’elenco degli ostacoli che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha incontrato sin dai primi giorni è lunghissimo.
“La cronaca di un evento annunciato”, come l’ha definita il direttore de Il Sole 24 Ore Fabio Tamburini aprendo l’evento “Obiettivo rinascita 2023”, il convegno sulla messa a terra del PNRR organizzato dal quotidiano presso l’Auditorium Giorgio Squinzi in Assolombarda.
Ad entrare nel merito di cosa non ha funzionato finora, in particolare nei bandi e negli investimenti programmati nel PNRR, è stata Giorgia Aresu, Partner KPMG.
Più del 40% degli obiettivi (mileston e target) fissati dal PNRR avrebbe bisogno di un piccolo correttivo. Ma non tutti i progetti PNRR sono uguali, di conseguenza anche la revisione che si propone potrà essere di diversi tipi.
Ad esempio, si può dare “una revisione di tipo qualitativo, che tenga conto di uno scenario modificato rispetto a quello in cui è stato costruito il PNRR”, in particolare per via dello scoppio della guerra in Ucraina, dei problemi di approvvigionamento e dei costi dell’energia.
In altri casi “i risultati che non si riescono a ottenere nelle quantità previste dal PNRR possono essere determinati da un fallimento o da difficoltà del mercato, in particolare nell’approvvigionamento di alcune risorse”.
Ma c’è anche un altro scenario di cui tenere conto: il fatto che spesso il mercato non ha reagito come da attese. Alcuni incentivi “non erano sufficientemente attrattivi”, come nel caso delle borse di studio o degli incentivi rivolti alle filiere di produzione degli autobus elettrici, “che non hanno trovato il riscontro delle imprese che ci si aspettava”, spiega Aresu.
Quando si parla di bandi e incentivi PNRR è bene non dimenticarsi un altro elemento fondamentale, vale a dire le norme sugli aiuti di Stato. Aresu sottolinea questo punto con chiarezza: sebbene siano previste eccezioni e condizioni favorevoli nel panorama degli aiuti di Stato, “l’iter per ottenere” questi aiuti da parte del Governo “crea dei rallentamenti”. Tradotto in pratica, alcune misure PNRR richiedono tempi più lunghi nella messa a terra proprio perché “collegate a un processo di autorizzazione” che non sempre è stato ancora portato a termine.
Si pensi agli incentivi per le comunità energetiche rinnovabili, che nel momento in cui scriviamo sono ancora in attesa appunto dei via libera UE.
Qualsiasi sia la ragione - scenari mutati al mutare del contesto geopolitico ed economico, incentivi disegnati in modo poco attrattivo o iter che rallentano l’avvio dei progetti - di certo c’è che finché “la fase discendente di attribuzione delle risorse alle imprese, ai soggetti attuatori o agli enti locali non è definitiva non fa scattare pienamente la fase attuativa”, quindi l’apertura dei cantieri, le assunzioni e gli acquisti.
“E’ fondamentale completare questa fase discendente a condizioni attuali e al contempo portare avanti il negoziato per ottenere flessibilità per poter modificare, e in qualche caso qualificare in maniera più corretta, alcuni target”, suggerisce Aresu.
Ammesso che una difficoltà nella spesa dei fondi c’è, ed è ormai evidente, ora vale la pena domandarsi cosa fare per invertire la rotta.
Anziché “azzerare gli investimenti” conviene “rivedere cosa si può realizzare a parità di risorse”. E poi, propone Aresu, “se ci sono misure che sono andate meglio riconosciamolo, puntiamo sulle misure più semplici, cerchiamo di rafforzare quelle che hanno la capacità di cogliere l’interesse di enti locali e imprese e di esperire il loro beneficio in maniera più rapida”.
Infine, conclude, “nella revisione si può recuperare l’ingaggio dei privati e si può rafforzare lo strumento del partenariato pubblico-privato che consente di snellire o integrare maggiormente alcune difficoltà progettuali”.