Sharing economy – Agenzia entrate, semplificare regole
La proposta di legge sulla sharing economy rappresenta un primo passo verso la regolamentazione del settore. Che, avverte il Fisco, non sarà facile.
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Parola d'ordine semplicità. La direttrice dell'Agenzia delle entrate Rossella Orlandi, in audizione presso le commissioni riunite Trasporti e Attività produttive della Camera, indica ai parlamentari la strada da seguire per regolamentare al meglio, sotto il profilo fiscale, la sharing economy.
Dato che parte degli operatori del settore si sottraggono alla tassazione a causa della complessità della materia, è importante puntare su “regole semplici, anche a costo di essere meno perfetti, quindi di fare una scelta meno puntuale”.
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Del resto, la strada che attende i legislatori è già difficoltosa: la proposta di legge, secondo Orlandi, rappresenta un importante punto di partenza verso la regolamentazione del fenomeno, che di per sé non si presta ad una facile demarcazione: “il testo risponde a obiettivi d’interesse generale, quali la trasparenza, l’equità fiscale, la tutela dei consumatori, il rispetto della concorrenza”, in linea con le indicazioni fornite dalla Commissione europea a inizio giugno nella comunicazione “Un'agenda europea per l'economia collaborativa” .
Soglia 10mila euro critica, riflettere su IVA
L'articolo 5 del ddl diversifica il regime fiscale a seconda della soglia di reddito prodotto. Nello specifico, si legge: “Il reddito percepito dagli utenti operatori mediante la piattaforma digitale è denominato 'reddito da attività di economia della condivisione non professionale' ed è indicato in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi. Ai redditi fino a 10mila euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applica un’imposta pari al 10%. I redditi superiori a 10mila euro sono cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente”.
Punto che la direttrice dell'Agenzia delle entrate indica come una criticità del testo: “La norma introduce una nuova categoria reddituale, ma risulta carente nel definire una disciplina di dettaglio in merito alle modalità di determinazione del reddito da assoggettare a tassazione con aliquota fissa o progressiva”.
“Va stabilito come si determina il reddito”, prosegue Orlandi, “sarebbe più coerente un intervento normativo sul testo unico delle imposizioni sul reddito. Si tratta poi di stabilire se la soglia dei 10mila euro costituisca il discrimine tra attività professionale da economia condivisa e attività occasionale”
Inoltre, “sarebbe opportuno definire il criterio di cumulo da adottare per redditi superiori a 10mila euro, e precisare meglio come il reddito superiore a tale soglia si cumuli con le altre tipologie di reddito: se concorre cioè alla determinazione del reddito complessivo o se il cumulo rilevi solo in presenza di lavoro dipendente autonomo (quindi non cumuli con redditi di fabbricati, locazione...)”.
Bisogna anche riflettere, aggiunge, sull’applicazione dell’IVA, capitolo al momento non contemplato nella proposta di legge.
Il modello francese
La necessità di regolamentare un settore in rapida crescita come quello della sharing economy è stata affrontata finora in modo diverso dai Paesi europei: “alcuni hanno pubblicato orientamenti sull'applicazione dei regimi fiscali nazionali ai modelli d'impresa collaborativi, mentre un modesto numero ha scelto o sta valutando di apportare modifiche alla normativa nazionale”, come nel caso italiano.
In Francia, ad esempio il dibattito sulla sharing economy “è stato fervido nel 2015 e ha portato a una serie di iniziative e proposte parlamentari in cui l'attenzione non è stata posta solo sulle questioni di carattere fiscale e concorrenziale, ma anche su questioni di sicurezza sociale, diritti dei lavoratori e tutela dei consumatori”, nota Orlandi, che cita fra gli interventi più significativi di regolamentazione del settore quello della legge di finanza 2015, che ha aperto alla possibilità di incaricare le piattaforme online della raccolta della tassa di soggiorno dovuta ai Comuni: “il solo apporto di Airbnb al Comune di Parigi dal 1 ottobre 2015 ammonta ad alcuni milioni di euro”.