5 ipotesi per utilizzare i fondi europei contro il caro bollette
Dal capitolo Energia del PNRR finanziato da REPowerEU alla proposta di utilizzare i fondi europei 2014-2020 non spesi, come già avvenuto per la pandemia da Covid-19. Sono alcune delle principali ipotesi su cui si discute in UE per coprire gli interventi a sostegno dell’emergenza energia.
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Dopo la riunione dell’Ecofin del 4 ottobre si fanno più chiare le strade su cui punta Bruxelles per trovare la quadra sulle misure di emergenza contro il caro energia. Esclusa la strada del price cap sul gas russo, i tecnici aprono ad altre vie per far fronte alla crisi energetica e al conseguente aumento delle bollette.
Bollette che in Italia schizzeranno a partire da ottobre e almeno fino alla fine dell’anno: famiglie e imprese italiane con contratto dell'elettricità nel mercato tutelato avranno un rialzo del 59%. Ma, spiega il presidente dell’Autorità per l’Energia Stefano Besseghini, “i prezzi all’ingrosso del gas, giunti a livelli abnormi negli ultimi mesi a causa del perdurare della guerra in Ucraina, dei timori sulla sicurezza dei gasdotti e delle tensioni finanziarie, avrebbero portato a un incremento del 100% circa”. L’ARERA ha deciso quindi di intervenire per evitare il raddoppio delle bollette, che “avrebbe potuto spingere all'aumento della morosità, mettendo ulteriormente in difficoltà le famiglie e il sistema energetico”.
Situazione simile sta vivendo la Germania, che ha deciso di mettere in campo un maxi-scudo da 200 miliardi contro la guerra energetica. Un fondo che sostanzialmente equivale a un tetto al prezzo del gas a livello nazionale.
Berlino decide insomma di muoversi da sola, forte della buona salute dei suoi conti pubblici. E l'Olanda fa lo stesso introducendo un tetto ai prezzi dell'energia.
Una mossa che non è piaciuta al premier uscente Mario Draghi, che a fine settembre ha dichiarato: “La crisi energetica richiede da parte dell’Europa una risposta che permetta di ridurre i costi per famiglie e imprese, di limitare i guadagni eccezionali fatti da produttori e importatori, di evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno e di tenere ancora una volta unita l’Europa di fronte all’emergenza. Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali. Nei prossimi Consigli europei dobbiamo mostrarci compatti, determinati, solidali - proprio come lo siamo stati nel sostenere l’Ucraina”.
Il premier uscente insiste quindi su una soluzione europea alla crisi energetica, approccio su cui ci sembrerebbe convergere anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
In effetti a Bruxelles le opzioni sul tavolo per scongiurare gli effetti della crisi energetica sono diverse e coinvolgono a vario titolo i fondi europei. Ne illustriamo alcune.
Ipotesi 1. Recovery energetico o fondo SURE per l'energia
La prima ipotesi, quella di una replica delle esperienze del Recovery and Resilience Facility e di SURE per far fronte alla crisi energetica, è tornata sulla cresta dell’onda in queste ore per via di una polemica tra i commissari Gentiloni e Breton e un gruppo di Paesi europei. 'Tornata' perché in realtà si tratta di una proposta di vecchia data che a questo punto sembra una missione impossibile.
Di Recovery Energia o di uno SURE energetico, infatti, si vocifera da tempo: già all’inizio di giugno Draghi e Macron gettavano le basi per possibile accordo su un nuovo progetto europeo per fronteggiare la crisi energetica. I commissari Gentiloni e Breton sono tornati a ottobre (con un editoriale sui giornali) a proporre un piano anti-emergenza gas basato sull’emissione di debito comune con a garanzia il bilancio UE.
Una sorta di SURE dell’energia, per intenderci, che replichi l'esperienza dello strumento adottato da Bruxelles nel corso della crisi Covid-19 per consentire agli Stati membri di chiedere il sostegno finanziario dell'UE per gestire gli aumenti repentini e severi della spesa pubblica nazionale, in particolare per gli ammortizzatori sociali.
Ma le reazioni di alcuni Paesi - soprattutto quelle di Germania, Olanda e Austria - sono state di netta chiusura. "Dobbiamo fare progressi sugli acquisti comuni di gas e cambiare la struttura del mercato elettrico - ha dichiarato il ministro delle Finanze, Christian Lindner - ma gli strumenti utilizzati in pandemia non possono essere trasferiti in un contesto di shock dell'offerta e di inflazione".
La proposta di un nuovo SURE è stata liquidata dal ministro delle Finanze austriaco Magnus Brunner come "l'opinione individuale di due commissari" e la sua omologa olandese, Sigrid Kaag, ha bollato lo schema come "non necessario".
Al punto che, per placare le acque, anche la Commissione ha preso le distanze dalla proposta dei due commissari, definendola un’iniziativa personale.
Per approfondire: Recovery bis o fondo SURE per l'energia? Le ipotesi sui fondi comuni anti-crisi
Ipotesi 2. Modificare i PNRR
Di questa ipotesi si discute in modo sempre più pressante, in particolare in Italia, complice la campagna elettorale. Nel frattempo anche il premier portoghese Antonio Costa ha scritto alla Commissione per chiedere un restyling del Recovery. Ma Italia e Portogallo non chiedono le stesse cose.
Durante tutta la campagna elettorale la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato l’intenzione di voler rivedere gli accordi con Bruxelles sul Piano. Posizione in parte smorzata a pochi giorni dal voto quando, nel corso della registrazione dello speciale elettorale di Porta a Porta, ha ventilato l’ipotesi di apportare alcune modifiche ai progetti non ancora messi in cantiere: “Io voglio fare un tagliando del PNRR per capire se questi soldi arrivano a terra”.
Ipotesi su cui è tornato nei giorni scorsi l’eurodeputato FdI Raffaele Fitto, tra i papabili membri del nuovo governo di centrodestra nel ruolo di ministro degli Affari europei, che al Sole 24 Ore ha spiegato: c’è “l’esigenza di finanziare le spese strategiche per il settore dell’energia rivedendo il PNRR. Basta dire che non si può modificare: l’articolo 21 del Regolamento lo consente, ne discutono in Belgio e il Portogallo ha già avanzato la sua proposta. Sarebbe una follia restare ancorati ai vecchi schemi”.
Il premier portoghese Antonio Costa in effetti ha proposto di modificare il PNRR ma muovendosi in una direzione diversa: Costa non propone tanto di rivedere gli obiettivi dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, quanto di rendere le scadenze più flessibili.
"Senza modificare la tabella di marcia fissata per le riforme previste nei PNRR, né le milestones o gli obiettivi, il calendario per l’attuazione degli investimenti dovrebbe essere reso più flessibile, sia per quanto riguarda i ritmi di attuazione che per le relative scadenze per il completamento. Questo comporta implicitamente che gli investimenti finanziati dal Recovery (non le riforme) possano finire dopo il 2026".
Ma anche qui c’è un ostacolo importante da superare: una proposta di questo tipo, infatti, imporrebbe di ritoccare il regolamento del Recovery Fund e ciò richiederebbe l’unanimità di tutti i Paesi UE. Unanimità che, come ben sappiamo, non è così facile da ottenere.
Per approfondire: Si può modificare il PNRR?
Ipotesi 3. REPowerEU
C’è già uno strumento che può essere utilizzato dai Paesi europei per affrontare il caro energia intervenendo sul Recovery. E’ REPowerEU, il piano da circa 300 miliardi con cui Bruxelles vuole ridurre rapidamente la dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la transizione green.
Il regolamento di REPowerEU prevede infatti che parte dei fondi europei stanziati per far fronte agli effetti della pandemia vengono dirottati sulla questione energetica, resa urgente dalla crisi ucraina.
Diverse indicazioni su questo fronte sono arrivate dalla riunione dell’Ecofin del 4 ottobre. Il Consiglio ha modificato anzitutto il capitolo risorse, in particolare i 20 miliardi di euro aggiuntivi, prevedendo una combinazione di fonti al posto della sola vendita all'asta dalla riserva stabilizzatrice del mercato per il sistema di scambio di quote di emissione dell'UE (ETS): l'Innovation Fund peserà per il 75% e la prealimentazione delle quote ETS per il restante 25%. I 27 hanno inoltre deciso di introdurre un nuovo criterio di assegnazione delle quote, che tenga conto "della Politica di coesione, della dipendenza degli Stati membri dai combustibili fossili e dell’aumento dei prezzi degli investimenti".
A ciò si aggiunge il cosiddetto capitolo Energia dei PNRR. L'accordo raggiunto all'Ecofin prevede l'integrazione di un nuovo capitolo REPowerEU nei Piani nazionali di ripresa e resilienza dei singoli Stati per finanziare investimenti e riforme utili al raggiungimento degli obiettivi di REPowerEU.
Il Consiglio limita l'obbligo per gli Stati membri di presentare il capitolo REPowerEU solo ai casi in cui desiderano chiedere finanziamenti aggiuntivi per il PNRR sotto forma di prestiti del Dispositivo per la ripresa e la resilienza a titolo di NextGenerationEU, sostegno non rimborsabile proveniente da nuove entrate o risorse trasferite recentemente da programmi in regime di gestione concorrente e quindi non ad aggiornamenti al rialzo del contributo finanziario massimo.
"Vedremo quante richieste di prestiti ci saranno dagli Stati membri", ha detto Dombrovskis, precisando che l'eventuale redistribuzione delle risorse non utilizzate nei PNRR a favore del REPowerEU "richiederà ulteriore lavoro".
E' comunque improbabile l’Italia possa seguire questa strada avendo già utilizzato tutta la quota disponibile del Next Generation EU a debito.
Anche per questo in Parlamento europeo Fitto ha proposto di modificare il regolamento europeo. Per la precisione, negli emendamenti presentati il 21 settembre al regolamento 2021/241 che riguarda appunto i capitoli REPowerEU nei Piani di ripresa e resilienza, l’eurodeputato fa una richiesta duplice.
Da un lato chiede che gli Stati membri che hanno utilizzato tutte le risorse di prestito e propongono modifiche ai PNRR già approvati possono utilizzare i fondi (di prestito) non impegnati per finanziare REPowerEU, e quindi per finanziare misure contro la crisi energetica. Dall’altro, Fitto chiede che i Paesi in questa condizione, come l’Italia, possano utilizzare risorse della Politica di coesione nazionale e dell'UE provenienti dal periodo 2014-2020 che non sono state ancora impegnate.
Ipotesi 4. Riprogrammare i fondi europei della Politica di Coesione 2014-2020
E proprio l'idea di attingere ai fondi strutturali europei 2014-2020 sembra al momento l'opzione più concreta, come confermato anche al termine dell'Ecofin del 4 ottobre. “Abbiamo concordato di lavorare su ulteriori flessibilità temporanee riguardanti gli importi rimanenti della Politica di Coesione 2014-2020 da utilizzare nell’attuale crisi energetica”, ha commentato il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, al termine della riunione dei ministri dell’Economia e delle Finanze a Lussemburgo.
Mutuando l'esperienza già realizzata per affrontare le spese straordinarie collegate alla pandemia dal Covid-19, l'operazione permetterebbe quindi di ricollocare una quota delle risorse non ancora spese della programmazione 2014-2020 dei fondi europei ed eventualmente di REACT EU per finanziare gli aiuti contro il caro energia, in particolare per gli aiuti alle famiglie in difficoltà con il pagamento delle bollette e per concedere capitale circolante alle imprese.
Nel 2020 questa riprogrammazione è stata resa possibile dai pacchetti Coronavirus Response Investment Initiative (CRII) e CRI Plus, che hanno autorizzato una flessibilità straordinaria nella gestione dei fondi europei in chiave anti Covid. In pratica, i paesi UE hanno potuto spostare le risorse da un Programma operativo all'altro e da un Fondo all'altro e applicare un tasso di cofinanziamento UE del 100%, per coprire interamente con fondi europei le spese connesse al settore sanitario, al sostegno alle PMI e al mantenimento dell'occupazione.
L'Italia è stata la principale beneficiaria di questa operazione, con una riprogrammazione del valore di circa 12 miliardi di euro, che ha anche impresso una significativa accelerazione alla spesa dei fondi UE per il settennato 2014-2020. Nonostante ciò, la spesa relativa al ciclo 2014-20 si attesta ancora attorno al 50% e considerando che la programmazione si chiude nel 2023 (secondo la regola n+3), la riassegnazione dei fondi sulle nuove priorità potrebbe avere anche il vantaggio di evitare il disimpegno dei fondi europei.
Per approfondire: A che punto è la spesa dei fondi europei 2014-2020
La Commissione dovrebbe quindi presentare una nuova proposta legislativa per modificare le regole della Politica di Coesione 14-20 e per delimitare il perimetro degli aiuti aiuti a famiglie e imprese. Per l'Italia i fondi da spostare sulle nuove misure di emergenza potrebbero arrivare a circa 20 miliardi tra FESR e FSE 2014-2020 e quote React EU.
Naturalmente una nuova operazione di riprogrammazione richiederebbe un intenso confronto con le amministrazioni titolari delle risorse, ancora una volta chiamate a rinunciare a fondi strutturali che dovrebbero finanziare politiche addizionali per la riduzione dei divari territoriali per coprire spese ordinarie e straordinarie dello Stato. Le riprogrammazioni dei PON e dei POR dovrebbero poi ottenere velocemente il via libera della Commissione per rispettare la scadenza del 2023 per la spesa dei fondi UE. E le regioni dovrebbero essere rassicurate sul reintegro dei fondi, presumibilmente a valere sulle risorse nazionali del Fondo sviluppo e coesione (FSC), che però è per legge destinato per l'80% al Sud e che già nei mesi scorsi è stato utilizzato dirottando 6 miliardi sugli interventi contro il caro prezzi nell'ambito del dl Aiuti 50-2022.
Ipotesi 5. Più flessibilità anche sui fondi europei 2021-27
Pur con le complessità del caso, la strada della riprogrammazione appare ormai certa e, se il perdurare della crisi lo richiederà, una maggiore flessibilità nell'uso dei finanziamenti della Coesione potrebbe trovare continuità anche nel ciclo dei fondi europei 21-27, di fatto ancora allo stadio embrionale.
D'altra parte, anche per le nuove iniziative collegate alla guerra in Ucraina l'UE si è mossa non solo autorizzando flessibilità straordinaria nella gestione dei fondi europei 2014-2020, attraverso il pacchetto CARE (Cohesion’s Action for Refugees in Europe), ma anche aprendo già all'utilizzo dei fondi SIE 2021-27 con la successiva FAST-CARE.
Quest'ultima iniziativa, approvata dalla plenaria il 4 ottobre in coincidenza con l'Ecofin e in attesa dell'ok definitivo del Consiglio, autorizza infatti il finanziamento con fondi UE 2021-27 dei progetti di importo superiore a un milione di euro finanziati nell'ambito dei programmi 2014-20 che non hanno potuto essere completati in tempo a causa degli aumenti dei prezzi e delle carenze di materie prime e manodopera ed estende la possibilità di un cofinanziamento dell'UE del 100% per il periodo 14-20 anche alle misure che promuovono l'integrazione socio-economica dei cittadini dei paesi terzi e anche ai programmi cofinanziati dai fondi europei 21-27.
Per approfondire: Flessibilità sui fondi europei per l'emergenza Ucraina
Foto di Ylanite Koppens