Decreto Dignita': delocalizzazione, quando scatta la restituzione degli aiuti
Tra le misure previste dal decreto Dignità per il contrasto alla delocalizzazione e la tutela dei posti di lavoro rientra la restituzione dei benefici ricevuti dalle imprese che nei cinque anni successivi all’ottenimento di un aiuto di Stato riducano l’occupazione di oltre il 10% senza giusta causa.
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Il decreto Dignità, in vigore dal 14 luglio, prevede un pacchetto di misure per contrastare la delocalizzazione, cioè il trasferimento di un'attività economica o di una sua parte dal sito produttivo incentivato ad un altro, da parte dell'impresa beneficiaria dell’aiuto o di un'altra impresa con la quale vi sia rapporto di controllo o collegamento.
Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti
Il provvedimento stabilisce anzitutto che, fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio decadono dall'agevolazione qualora l’attività economica interessata, o una sua parte, venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione europea, ad eccezione degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza, l’amministrazione titolare della misura di aiuto accerta e irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra due e quattro volte il valore dell'agevolazione.
Nel caso di imprese, italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di aiuti di Stato per realizzare investimenti produttivi localizzati in siti specifici, quale condizione per l'accesso al beneficio, la decadenza dall'agevolazione è prevista qualora l’attività economica interessata, o una sua parte, venga delocalizzata entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato dal sito oggetto degli incentivi ad unità produttiva che si trovi al di fuori del suo ambito territoriale. In questo caso la decadenza si ha sia che si delocalizzi in Italia, che in uno Stato membro dell’Unione europea o negli Stati aderenti allo Spazio economico europeo.
Tutela dell’occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti
Il decreto Dignità stabilisce inoltre che, qualora una impresa italiana o estera, operante nel territorio nazionale, che beneficia di misure di aiuto di Stato che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale riduca il numero di addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dall'aiuto nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento, decade dal beneficio in presenza di una riduzione di tali livelli superiore al 10 per cento. La decadenza dal beneficio non è prevista tuttavia nei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, quindi non si applica in caso di licenziamenti per motivi economici.
L'entità delle agevolazioni da restituire è proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50 per cento.
Recupero dell’iper ammortamento in caso di cessione o delocalizzazione
Possibilità di decadenza dall'agevolazione anche per l’iper ammortamento, che spetta a condizione che i beni agevolabili siano destinati a strutture produttive situate nel territorio nazionale. Laddove nel corso del periodo di fruizione della maggiorazione del costo i beni agevolati vengano ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all’estero, anche se appartenenti alla stessa impresa, il decreto prevede il recupero dell’agevolazione.
Tale recupero avviene attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile del periodo d’imposta in cui si verifica la cessione a titolo oneroso o la delocalizzazione degli investimenti agevolati per un importo pari alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte nei precedenti periodi d’imposta, senza applicazione di sanzioni e interessi.
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Applicazione del bonus ricerca all'acquisto di beni immateriali da fonti esterne
Il capitolo del decreto Dignità dedicato al contrasto della delocalizzazione interviene anche sulla disciplina del credito d’imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, per cui non si considerano ammissibili i costi sostenuti per l’acquisto, anche in licenza d’uso, dei beni immateriali derivanti da operazioni intercorse con imprese appartenenti al medesimo gruppo.
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Il decreto chiarisce che si considerano appartenenti al medesimo gruppo le imprese controllate da un medesimo soggetto, controllanti o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile inclusi i soggetti diversi dalle società di capitali; per le persone fisiche si tiene conto anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore, individuati ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi.
Tale disposizione si applica a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto Dignità, anche in relazione al calcolo dei costi ammissibili imputabili ai periodi d’imposta rilevanti per la determinazione della media di raffronto.
Per gli acquisti derivanti da operazioni infragruppo intervenute nel corso dei periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, resta comunque ferma l’esclusione dai costi ammissibili della parte del costo di acquisto corrispondente ai costi già attributi in precedenza all’impresa italiana in ragione della partecipazione ai progetti di ricerca e sviluppo relativi ai beni oggetto di acquisto. Resta comunque ferma la condizione secondo cui, agli effetti della disciplina del credito d’imposta, i costi sostenuti per l’acquisto, anche in licenza d’uso, dei beni immateriali, assumono rilevanza solo se utilizzati direttamente ed esclusivamente nello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo considerate ammissibili al bonus R&S.
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