Bonus auto: gli ambientalisti ricorrono al TAR contro gli incentivi alle auto non elettriche
“I bonus auto non devono supportare tecnologie da abbandonare”. Con questa dichiarazione Legambiente, WWF Italia, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Cittadini per l’aria, con il supporto e il coordinamento di Transport & Environment, ricorrono al TAR contro il bonus auto e puntano il dito sugli incentivi ai motori a combustione.
Bonus auto: come funzionano gli incentivi auto 2022. Le ultime novità
Nel mirino degli ambientalisti è finito il decreto del 6 aprile 2022, quello che ha stanziato quasi 2 miliardi per il bonus auto.
Fondi in parte esauriti nel giro di pochissimi giorni per alcune categorie di auto, quelle della fascia di emissioni 61-135 g/km di CO2, per intenderci le ibride senza spina, le auto a metano e le piccole diesel, quelle dai prezzi più abbordabili.
Un risultato considerato da molti un insuccesso, come spiegava in questa intervista Francesco Naso, segretario generale di MOTUS-E, associazione che raggruppa tutti gli stakeholders della mobilità elettrica.
Ambientalisti contro i bonus alle auto non elettriche
I bonus auto in Italia hanno fallito, perché sono stati stanziati anche per le auto con motori a combustione che devono essere abbandonate al più presto, spiegano in una nota le associazioni ambientaliste annunciando la decisione di ricorrere al TAR contro il decreto del 6 aprile 2022, che ha stabilito il “Riconoscimento degli incentivi per l’acquisto di veicoli non inquinanti” per gli anni 2022, 2023 e 2024.
"Abbiamo speso 3 miliardi di fondi pubblici in tre anni, ma abbiamo in circolazione il numero più basso di auto elettriche di tutta Europa (l’8% del mercato, contro il 20% continentale)”, spiegano Legambiente, WWF Italia, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Cittadini per l’aria e Transport & Environment.
“Un fallimento anche dal punto di vista del mercato dei veicoli a combustione tradizionali: si vende, infatti, il 34% in meno di auto rispetto al 2019. Acquistiamo, dunque, meno auto e consumiamo meno carburanti (entrambi sempre più cari). Al tempo stesso, ci sono meno autobus in circolazione e utilizziamo meno i treni rispetto al 2019. Segno evidente che non stiamo sostenendo la mobilità sostenibile e pulita e nemmeno la libertà di movimento degli italiani”.
“Dal 2020, dopo lo scoppio della pandemia, i governi che si sono succeduti hanno speso circa 2,6 miliardi di euro in bonus per l’acquisto di nuove auto, a cui vanno aggiunti altri 500 milioni circa da parte delle Regioni e di alcuni Comuni. Tutte le leggi e i decreti hanno sempre giustificato l’esborso di denaro pubblico con la motivazione di sostenere la transizione all’auto ‘non inquinante’ e all’economia circolare. Eppure, caso unico in Europa, abbiamo impiegato la gran parte dei 3 miliardi spesi in questi tre anni per auto a combustione altamente inquinanti, con emissioni sino a 135 grammi di CO2 per km. In nessun altro Paese europeo si finanziano auto con motore a combustione interna, ad eccezione della Romania che fa comunque meglio dell’Italia, visto che gli incentivi si arrestano ai 120 grammi di CO2 per km. Inoltre, il decreto scritto dal Ministero dello sviluppo economico ha contribuito a rendere limitante e complicato l’accesso ai bonus per l’auto elettrica (limiti sui modelli, sui beneficiari, sui redditi e incongruenze relative al tetto massimo)”.
Bonus auto: un confronto tra Italia e Germania
Nella nota diramata dalle associazioni ambientaliste si propone un confronto con la virtuosa Germania, Paese europeo altrettanto generoso nell’elargire bonus a nuove auto.
“Anche i tedeschi hanno già speso circa 3 miliardi in incentivi, ma solo sulle auto completamente elettriche (0-20 grammi di emissioni di CO2 per km) e plug-in (21-50 grammi). I due terzi delle auto nuove sono stati acquistati dalle imprese o dalle società di noleggio o di sharing, senza indebitare le famiglie. Da noi è avvenuto il contrario. Ora, sulle strade tedesche circolano 660mila auto elettriche e 550mila plug-in. In Italia, invece, 150mila elettriche e 155mila plug-in: quattro volte di meno. Abbiamo dunque speso quanto in Germania (che conta 80 milioni di abitanti), le famiglie italiane si sono indebitate e abbiamo molte meno auto pulite rispetto a loro. Dal punto di vista economico, sociale e ambientale, è un completo fallimento”.
Non solo bonus auto. Di cosa ha bisogno la mobilità sostenibile?
“Sono altri gli investimenti pubblici necessari per promuovere la mobilità per tutti e la transizione ecologica”, spiegano gli ambientalisti.
Non solo bonus calibrati solo sui mezzi elettrici: auto sì, ma anche altri mezzi, come le biciclette elettriche, strada intrapresa dalla vicina Francia.
Come funzionano gli incentivi alla mobilità elettrica negli altri Paesi?
Soprattutto, proseguono le associazioni ambientaliste, servono “investimenti e aiuti nella riconversione produttiva, comprese misure di economia circolare per batterie o microchip, e nell’offerta di servizi di mobilità sostenibile, elettrica, digitale, pubblica o condivisa (sharing mobility) e per la ciclabilità”.
“Altri tipi di ecobonus esistono: il governo italiano ha appena aperto agli incentivi di 60 euro per gli abbonamenti ai mezzi pubblici per andare al lavoro: una misura positiva, ma lo stanziamento è limitato a soli 180 milioni. Inoltre, è necessario potenziare l’offerta”.
Poi c’è il PNRR, che malgrado gli obiettivi ambiziosi secondo gli ambientalisti non sarà sufficiente.
“In Italia, grazie al PNRR, stiamo acquistando 3.400 bus elettrici e a metano, ma dovremmo aggiungere altri 7.000 bus elettrici all’anno per cambiare tutti quelli in circolazione, entro il 2030. Grazie al PNRR realizzeremo 11 km di nuove metropolitane, ma ne servono altri 200 per raggiungere la media europea. Servono anche nuovi 400 km di linee tranviarie e altrettanti di filovie per eguagliare l’offerta tedesca o francese”.
Le organizzazioni ambientaliste che hanno promosso il ricorso al TAR chiedono quindi al governo di mettere fine a qualsiasi incentivo all’acquisto di auto con motori a combustione, di privilegiare gli interventi a sostegno della riconversione industriale verso la mobilità elettrica e gli investimenti nelle infrastrutture di mobilità sostenibile a zero emissioni, gli unici che possono garantire sostenibilità sociale e ambientale nei tempi più brevi possibili.
Le motivazioni del ricorso al TAR
In una nota le associazioni rendono note anche le principali motivazioni del ricorso al TAR contro il Dpcm del 6 aprile 2022 che ha stabilito il “Riconoscimento degli incentivi per l’acquisto di veicoli non inquinanti” per gli anni 2022, 2023 e 2024:
- Incostituzionalità del decreto legge in virtù del quale è stato emanato il DPCM, difettando i requisiti di straordinarietà e urgenza necessari ad avocare il potere costituzionalmente riservato alle assemblee legislative. Le misure per il rilancio di politiche industriali del settore “automotive” italiano, infatti, costituiscono un “corpo estraneo” in un decreto legge il cui intento principale è far fronte alla crisi energetica;
- Violazione e falsa applicazione di norme nazionali e sovranazionali che definiscono i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, nonché relative alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada, delle norme nazionali di attuazione di quelle europee e delle disposizioni del decreto legge;
- Il fondo destina gran parte dello stanziamento di bilancio agli incentivi di mercato, mentre nessuna risorsa viene individuata per tutti gli altri obiettivi di riconversione produttiva;
- Il dpcm incentiva l’acquisto di veicoli nuovi di fabbrica con emissioni comprese in fasce superiori a quelle compatibili con gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente nel periodo 2020-2024;
- Le soglie emissive oggetto di incentivi comprese nella fascia 21-60 e 61-135 grammi (g) di anidride carbonica (CO2) per chilometro (Km) risultano arbitrarie e in contrasto con le norme eurounitarie e domestiche che ritengono compatibili con i suddetti obiettivi categorie di autovetture con emissioni non superiori a 50g CO2/Km.
“Si corre il rischio concreto di spendere ingenti fondi pubblici per l’immatricolazione nel nostro Paese di autovetture più difficilmente vendibili nei paesi europei rispettosi dei target di emissione cui anche l’Italia è vincolata, avendo espressamente recepito la direttiva (UE) n. 2019/1161”, concludono le associazioni.