Capital Market Union e Unione bancaria: due progetti da completare per rafforzare l'UE
Le nuove istituzioni europee che saranno definite dalle elezioni di giugno dovranno affrontare una serie di sfide fondamentali, dalla doppia transizione verde e digitale al tema difesa. Sfide che richiederanno capitali ingenti, pubblici e privati, la cui mobilitazione dipende anche dal completamento dell’Unione dei mercati dei capitali e dell’Unione bancaria, due progetti oggi incompiuti. Sono stati i temi al centro dell’incontro “Economia, Banche e Mercati alle elezioni europee 2024”, organizzato dalle istituzioni europee in Italia con la collaborazione di Fasi.eu.
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Crescita e competitività sono i grandi temi economici che guideranno la campagna in vista delle elezioni europee del 6 al 9 giugno 2024. Temi legati a filo doppio ad alcune norme fondamentali per il futuro dell'UE, come la Capital Market Union e l’Unione bancaria.
Si tratta di strumenti fondamentali per “rafforzare il fronte delle democrazie liberali, a cominciare da quella europea”, sottolinea Carlo Corazza, Direttore del Parlamento europeo in Italia. “Da quando abbiamo affrontato la crisi dei debiti sovrani nel 2008 abbiamo creato una cornice, però manca il pezzo più importante, manca completare l’Unione dei capitali e l’Unione bancaria”. Due progetti senza cui non sarà possibile realizzare il Green Deal, la transizione digitale ed attirare investimenti.
Punto su cui concorda Antonio Parenti, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, che evidenzia come il rafforzamento dell’Unione europea, fondamentale per far fronte alle sfide che abbiamo dinanzi, passi attraverso il completamento di questi due piani.
Detto in altre parole, “non possiamo pensare di raggiungere questi obiettivi né con l’attuale bilancio europeo né con l’attuale assetto di regole che presiedono al funzionamento dei mercati di capitali e del sistema bancario”, dichiara Irene Tinagli, Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo.
Dei passi in avanti sono stati fatti dei passi ma restano alcuni aspetti incompleti, e ciò anche per via delle resistenze che, sottolinea ancora Tinagli, il Parlamento europeo riscontra da parte del Consiglio. “Molti Governi nazionali fanno fatica a dare il via libera a una vera Unione dei mercati dei capitali e progressivamente si riscontra un atteggiamento più rinunciatario, anche da parte dei soggetti privati che beneficerebbero delle nuove regole”.
Una resistenza sottolineata anche da Salvatore De Meo, Presidente della Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo, collegata alla frammentazione politica di molti Stati. “Spero che il prossimo Parlamento europeo riesca a completare un’architettura economica e finanziaria, ma anche un’unione della difesa e della sicurezza. Abbiamo il dovere di far sì che le nostre economie siano le più sane e monitorate possibili, questo significa avere regole certe ma anche dotate di una certa flessibilità”.
Unione dei mercati dei capitali e Unione bancaria: progetti da completare
La Capital Market Union è un progetto “lanciato oltre dieci anni fa che ha conosciuto grandi progressi ma che non si può considerare completato”, sottolinea Ugo Bassi, della Direzione generale della Stabilità finanziaria, dei Servizi finanziari e dell'Unione dei mercati dei capitali della Commissione europea. Le ragioni di questa incompletezza sono da ricercare nel metodo: “si è deciso di procedere una serie di interventi mirati, che hanno portato soluzioni specifiche a problemi specifici”.
Ora però “siamo davanti a un bivio”, dichiara Bassi. “È necessario capire se vogliamo continuare l’Unione dei mercati di capitali come progetto ‘ongoing’, che ci terrà occupati per i prossimi anni in cui continueremo a portare risposte specifici a problemi specifici, o se vogliamo affrontare il tema in maniera completamente diversa e avviarci ad affrontare alcuni argomenti tabù che potrebbero essere dei veri e propri changemakers”. Il riferimento è ai tematiche come la fiscalità, nel senso di tassazione del prodotto, la supervisione centralizzata a livello europeo, le pensioni e le cosiddette insolvency law.
“Siamo stati capaci di creare un sistema unico di vigilanza, un sistema unico di risoluzione che si prende cura degli operatori bancari, ci manca la completezza sui mercati dei capitali che oggi diventano ancora più importanti”, sottolinea Alessandra Perrazzelli, Vicedirettrice Generale della Banca d’Italia.
Soprattutto in questo momento, in cui la tecnologia gioca un ruolo di primissimo piano. Da un lato, sottolinea Perrazzelli, “la possibilità di avere accesso a capitale europeo e di finanziare la crescita di una serie di nuovi operatori diventa fondamentale”; dall’altro, “la moneta unica ora vede di fronte la sfida della tecnologia, con la trasformazione dell’euro cartaceo in moneta digitale, un altro strumento importantissimo di stabilizzazione del nostro continente”.
A ciò si associa l’Unione bancaria, altro fatto incompiuto: “non siamo stati in grado di creare di campioni europei e abbiamo ancora una situazione frammentata in cui l’attività domestica delle banche è di gran lunga superiore rispetto a quella crosseuropea”. Ciò pone l’Europa “in una situazione competitiva meno vantaggiosa rispetto ad altre realtà, come le banche di investimento americane”, conclude Perrazzella.
A fare il punto delle debolezze dei due progetti europei è Antonio Patuelli, Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI). “Quasi dieci anni fa nasceva l’Unione bancaria come risposta, anche d’emergenza, rispetto alle crisi europee con tentativi normativi che dovevano essere sperimentati. Ora sono stati sperimentati e abbiamo tanti risultati buoni, alcuni dubbi, alcuni mancanti”.
“Tra i risultati positivi”, prosegue, “c’è la codificazione esaustiva della vigilanza unica, che ha fatto grandi progressi”. Ma abbiamo problemi per quanto riguarda i salvataggi bancari: “la strada delle risoluzioni e dello scaricamento sui risparmiatori delle crisi bancarie si è infranta sugli avvenimenti che si sono succeduti e le risoluzioni non si sono sviluppate”.
“Sono stati invece fatti i salvataggi con i meccanismi dei fondi nazionali privati obbligatori di tutela dei depositi variamente nominati, c’è stato un grande contenzioso dell’UE sulla natura privata dei fondi interbancari. Anche lo scaricamento sui risparmiatori non è stato positivamente sperimentato e bisognerebbe riformarlo”.
Quindi l’attenzione di Patuelli va sul terzo pilastro, che definisce una vexata quaestio e una contraddizione. “I tre pilastri pensati più di 10 anni fa non hanno una rigidezza forte come le tavole di Mosé o di natura costituzionali. Il progetto si è realizzato a pieno per il sistema europeo delle banche centrali ma in termini di garanzie europee dei depositi non ha fatto passi in avanti”.
E conclude: “Se il terzo pilastro non viene realizzato perché manca il consenso decisivo di alcuni Paesi del Nord Europa, bisogna andare avanti per altre strade. Visto che è fermo il terzo pilastro, e non è bloccato dagli italiani, noi proponiamo con forza di procedere altrimenti e comunque per l'unificazione delle regole: realizzare un testo unico bancario europeo. Le banche paneuropee soffrono molto le differenze nelle normative nazionali di diritto bancario, che non dipendono da BCE e EBA, ma dalle istituzioni fondamentali”.
Il tema è di primissimo piano, del resto per accompagnare l’economia verso la trasformazione digitale, una maggiore sostenibilità e per affrontare l’invecchiamento della popolazione “sono necessari capitali ingenti che non potranno venire solo da risorse pubbliche, né solo dal credito o dall’equity”, sottolinea Giovanni Sabatini, Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana.
“Il settore bancario europeo e italiano è stato resiliente, hanno aiutato anche il quadro delle regole e le risposte che l’UE ha dato alla crisi finanziaria con la vigilanza unica”. Ma ora il contesto è mutato e ci troviamo di fronte a una discontinuità rispetto al passato e “dobbiamo domandarci se il quadro delle regole è adeguato a consentire alle banche di svolgere il loro ruolo di supporto della competitività dell’economia europea, della crescita, di supporto all’occupazione e all’innovazione”.
La “transizione verso un’economia più sostenibile sotto i profili ambientali e sociali va accelerata ma ciò va fatto in maniera pragmatica e il ruolo delle banche dev’essere quello di catalizzatore. Dobbiamo essere in grado di finanziare quelle imprese che oggi non sono conformi con i requisiti della tassonomia ma che hanno credibili piani di transizione per poter diventare conformi. Il quadro regolamentare sembra affidare alle banche più il ruolo di poliziotto dei comportamenti delle imprese anziché di partner nella transizione”, conclude.
Il focus sui profili sociali è subito raccolto da Augusto dell'Erba, presidente della Federazione Nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali (Federcasse), che sottolinea come dal 2019 molto sia stato fatto per la E della ESG, quindi per gli aspetti di sostenibilità ambientale, anche dal punto di vista bancario: “è stata declinata una tassonomia reale che permetterà di rendere pratiche ed effettive certe enunciazioni che tempo fa erano astratte”. Ora occorre “guardare alla S di ESG”, è l’invito di Dell’Erba, partendo dal ruolo chiave dell’impresa sociale: “Un grande sforzo che dovrà essere fatto dalla nuova Commissione europea sarà quello di declinare una tassonomia in questa direzione cercando di trovare norme di vigilanza che colgano questo modello di impresa come affidabile”.
Ma cosa significa lasciare la Capital Market Union e l’Unione bancaria dei progetti incompiuti? La risposta è sotto i nostri occhi già adesso, come evidenzia Marcello Bianchi, Vicedirettore Generale Assonime, Direttore Area Mercato dei Capitali e Società Quotate: “Il gap tra mercati europei e i mercati dei capitali di USA e Cina è molto consistente e crescente. Le imprese hanno raccolto in Europa circa la metà di quello che hanno raccolto in USA e Cina. E il gap è ancora più rilevante se pensiamo alle nuove quotazioni”.
“Siamo di fronte a un bivio”, aggiunge, “ma continuare su questo percorso è fallimentare”. Occorre quindi cambiare approccio e Bianchi suggerisce di concentrarsi in via prioritaria sulla creazione del Single Regulator dei mercati dei capitali: “si può fare cambiando la governance dell’ESMA e dandogli competenze, anche mettendo l’ESMA in concorrenza con le autorità nazionali, dando così la possibilità alle società europee di scegliere il proprio regolatore”.
In parallelo “va fatto qualcosa anche sul piano dei contenuti delle regole, perché si tratta di regole frammentate, spesso contraddittorie e poco integrate”. L’appello di Bianchi è di dare vita non solo a un testo unico bancario ma anche a un “testo unico della finanza europea” che prenda la forma di un “regolamento europeo, così che sia immediatamente operativo in tutti i paesi senza i bizantinismi dei meccanismi di recepimento negli ordinamenti nazionali, mettendo insieme queste regole con un approccio innovativo”.
Per costruire un’architettura completa della Capital Market Union “occorre consapevolezza sia lato offerta che lato domanda”, sottolinea Marina Brogi, Professore di Economia degli Intermediari Finanziari dell’Università La Sapienza. Occorre quindi “immaginare un sistema del mercato dei capitali che tenga conto delle esigenze delle imprese”, spesso imprese familiari. Inoltre, l’Unione dei mercati dei capitali “passa attraverso un maggior numero di aziende che si quotano”.
“Per quanto siano generosi gli interventi pubblici, come il Recovery and Resilience Facilty, il sostegno finanziario agli investimenti che può venire dal pubblico, da una centralizzazione europea, è comunque una frazione del sostegno che può venire dal mercato privato”, dichiara Marcello Messori, Professore presso lo Schuman Centre dello European University Institute.
“La situazione paradossale dell’Unione dei mercati di capitali sta nel fatto che si è puntato tutto su costruire nuovi strumenti finanziari e non si è badato a costruire frammenti unitari di mercato”. E, conclude, “la scommessa per progredire nell’architettura finanziaria e nella definizione di mercati meno frammentati consiste nella costruzione istituzionale di questi mercati”.
Le soluzioni a queste problematiche andranno cercate presto, anche perché le sfide che l’Europa ha di fronte hanno un carattere d’urgenza: non solo la doppia transizione e le spese per la difesa, “dobbiamo finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e l’allargamento, che comporterà dei costi giganteschi per il bilancio europeo”, sottolinea Francesca Passamonti, Head of European Regulatory & Public Affairs di Intesa San Paolo. “Di fronte a queste grandi esigenze di finanziamento abbiamo bisogno di un settore bancario forte, di una JPMorgan europea. Dobbiamo quindi rimuovere gli ostacoli al consolidamento bancario e abbiamo bisogno della Capital Market Union, di un consolidamento delle infrastrutture ma anche di norme che permettano agli investitori di investire ad un costo accettabile”.
Il ruolo del bilancio europeo
Si concentra invece sull’unione fiscale l’intervento di Carlo Cottarelli, Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani. “Occorre un bilancio europeo molto più ampio di quello attuale”, collegato alla possibilità di un finanziamento di tale bilancio attraverso l’emissione di eurobond. “Questo non vuol dire ripetere il NextGenerationEU o renderlo permanente ma di accentrare responsabilità, tassazione e spesa a Bruxelles. In tal modo si contribuisce a rendere il mercato unico più omogeneo”.