Energia: Eurelectric, produzione carbon-neutral prima del 2050
Mentre le rinnovabili superano le fonti fossili nella produzione di energia elettrica, gli industriali europei ribadiscono la volontà di favorire una transizione energetica carbon neutral. Ma eliminare gli incentivi ai combustibili fossili potrebbe non bastare.
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679 contro 669: uno scarto minimo, ma che segna un record per l’industria energetica europea. 679 sono infatti i terawattora di energia elettrica prodotti dalle rinnovabili in Europa lo scorso anno, contro i 669 prodotti da fonti fossili.
A dare i numeri, i think tank Sandbag e Agora Energiewende nel rapporto European power sector in 2017: “Si tratta di progressi incredibili, considerando che solo cinque anni fa la produzione da carbone era più del doppio di quella di eolico, solare e biomassa messi insieme”, recita il rapporto.
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Anche alla luce di simili dati va inquadrata la determinazione, espressa da Eurelectric, l'associazione che rappresenta gli interessi comuni dell'industria elettrica a livello europeo, di favorire una transizione energetica che sia carbon-neutral ben prima del 2050.
A parlare è il presidente dell’associazione e ad di Enel Francesco Starace: "Con questa visione il nostro settore riafferma il suo impegno a guidare la transizione verso un futuro dell'energia europea pienamente sostenibile e al contempo a offrire valore ai consumatori e alla società nel suo insieme".
I 5 impegni di Eurelectric per la transizione energetica
Le parole di Starace si declinano in 5 impegni presi dall’assocazione dell’industria elettrica europea:
- investire in soluzioni pulite e che aiutino la transizione, ridurre le emissioni e arrivare ad essere neutrali a livello di CO2 ben prima del 2050;
- trasformare il sistema energetico per renderlo più reattivo e resistente, aumentando l'uso di rinnovabili e digitalizzazione;
- accelerare la transizione in altri settori economici offrendo soluzioni elettriche competitive;
- integrare la sostenibilità in tutte le parti della catena del valore;
- innovare per scoprire nuovi modelli di business e tecnologie indispensabili per consentire all'industria di guidare questa transizione.
Ma l’industria, da sola, non basta. Serve un impegno politico chiaro
Per raggiungere questi obiettivi, però, ha sottolineato Starace, "avremo bisogno del sostegno dei decisori politici per creare un ambiente stabile per gli investimenti a lungo termine".
Non è il primo appello che gli industriali lanciano ai politici europei in tal senso. L’ultimo, in ordine di tempo, è venuto da Stephanie Pfeifer, amministratrice delegata dell’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), che riunisce circa 150 investitori da 12 Paesi, che ha chiesto ai decisori europei di mettere a punto un quadro normativo chiaro e di lungo termine che guardi ad un’economia low-carbon entro il 2050, per creare un contesto di maggiore stabilità e sicurezza capace di favorire gli investimenti nel settore.
Il commissario per l’Unione per l’energia Maros Sefcovic ha tentato di rassicurare gli industriali: "Se vogliamo che l'accordo di Parigi abbia successo, dobbiamo cambiare marcia", ha dichiarato, accogliendo "con favore la "visione chiara" di Eurelectric in quanto "il settore elettrico non è solo colpito da questi continui cambiamenti 'tettonici', ma è anche il loro pilota e facilitatore".
Togliere i sussidi alle fonti fossili potrebbe non bastare
Parallelamente, un team di ricercatori, di cui fanno parte anche Massimo Tavoni e Johannes Emmerlin del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), solleva un’interessante questione sulla rivista Nature: è davvero sufficiente eliminare gli incentivi alle fonti fossili per far diminuire drasticamente le emissioni di CO2? No.
Ma, sottolineano gli scienziati, la questione non è così semplice. Attraverso una serie di modelli matematici, i ricercatori hanno calcolato il potenziale di riduzione delle emissioni legato alla rimozioni dei sussidi all’energia fossile stimando che il taglio dei sussidi alle fonti fossili produrrebbe, entro il 2030, una diminuzione delle emissioni di CO2 compresa tra l'1 e il 5%, pari a una quantità compresa tra 0,5 e 2 miliardi di tonnellate di CO2.
Una cifra decisamente inferiore agli impegni dell'accordo di Parigi, che richiede una diminuzione di 4-8 miliardi di tonnellate di CO2 (e che comunque non permetterebbe di rimanere sotto i 2 gradi centigradi).
Il motivo? In alcune regioni del mondo il taglio dei sussidi a petrolio e gas indurrebbe un ritorno al carbone.
Nello specifico, le regioni da cui partono le maggiori esportazioni di tali fonti - Medio Oriente e Nord Africa (MENA), Russia e America Latina - raccoglievano nel 2015 i due terzi dei sussidi mondiali: se fossero eliminati, porterebbero in queste aree a un calo delle emissioni uguale o maggiore a quello stabilito a Parigi.
Tuttavia, in India e in alcune regioni africane, l'eliminazione dei sussidi avrebbe un impatto immediato sulle bollette e sui bilanci familiari, andando ad interessare le fasce di popolazione a reddito più basso. In assenza di misure compensative, tali aree potrebbero orientarsi verso il più economico carbone come fonte di energia.
Detto in altri termini, "eliminare i sussidi è una misura che da sola non basta" spiega Tavoni, "la tassazione della CO2 rimane uno strumento fondamentale: le fasce di reddito basse possono essere protette dall'aumento dei prezzi dell'energia con misure compensative (esenzioni o rimborsi) sostenuti dal gettito fiscale derivante dalla tassa".