Svimez - industria Mezzogiorno in ripresa, ma occupazione bassa
Cresce l'industria manifatturiera al Sud, ma il tasso di occupazione resta il più basso d’Europa.
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Presentato a Roma presso la Camera dei Deputati il rapporto 2017 sull’economia del Mezzogiorno dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez).
Le previsioni per il 2017 e il 2018
Secondo stime SVIMEZ aggiornate a ottobre, nel 2017 il PIL italiano cresce dell’1,5%, risultato del +1,6% del Centro-Nord e del +1,3% del Sud. Nel 2018 il saggio di crescita del PIL nazionale si attesta all'1,4% con una variazione territoriale dell’1,4% nel Centro-Nord e dell’1,2% al Sud.
A trascinare l’evoluzione positiva del PIL nel 2017 e nel 2018 l’andamento della domanda interna, che al Sud registra, rispettivamente, +1,5% e +1,4% (nel Centro-Nord, invece, aumenta quest’anno del +1,6% e il prossimo del +1,3%). Nel 2018 la SVIMEZ prevede un significativo aumento sia delle esportazioni che degli investimenti totali, che cresceranno più nel Mezzogiorno che al Centro-Nord: le esportazioni del +5,4% rispetto a
+4,3%, gli investimenti del 3,1% rispetto a +2,7%.
Aumento apprezzabile dell’occupazione: +0,7% al Sud sia nel 2017 che nel 2018, e +0,8% in entrambi gli anni al Centro Nord. Per la SVIMEZ, queste previsioni inglobano anche gli effetti della legge di bilancio 2018, e scontano la mancata attivazione della clausola di salvaguardia relativa all’aumento delle aliquote IVA nel 2018 per circa 15 miliardi.
La SVIMEZ ha realizzato una simulazione per valutare quali sarebbero stati gli effetti della manovra sull’IVA nelle due macro aree del Paese, se fosse stata realizzata: in quel caso l’economia meridionale avrebbe subito il maggior impatto, in quanto, nel biennio 2018-2019, il PIL del Sud avrebbe perso quasi mezzo punto percentuale di crescita, -0,47%, mentre quello del Centro-Nord avrebbe avuto un calo dello -0,28%.
I principali dati economici del 2016
Nel 2016 il PIL è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, più che nel Centro-Nord dove è stato pari a +0,8%. Nello specifico delle singole Regioni meridionali, il PIL 2016 più performante è quello della Campania +2,4%, seguita da Basilicata +2,1%, Molise +1,6%, Calabria +0,9%, Puglia +0,7%, Sardegna +0,6%, Sicilia +0,3%, Abruzzo -0,2%.
Nel 2016 il prodotto per abitante è stato nel Mezzogiorno pari a 56,1% di quello del Centro Nord (66% di quello nazionale). Il PIL per abitante della regione più ricca d’Italia, il Trentino Alto Adige, con i suoi 38.745 euro pro capite, è più che doppio di quello della regione più povera, la Calabria, che è pari a 16.848 euro ad abitante. I consumi delle famiglie meridionali sono aumentati nel 2016 dell’1,2%, contro l’1,3% del Centro Nord: in particolare, la spesa alimentare e quella per abitazioni cresce al Sud meno che nel resto del Paese.
Nel 2016 gli investimenti sono cresciuti nel Mezzogiorno del 2,9%, un incremento sostanzialmente in linea con quello del Centro Nord (+3%). Nel 2016 in agricoltura il valore aggiunto, dopo il boom del 2015, è tornato a diminuire, -8,8% rispetto al 2015, che si traduce in -9,5% nel Mezzogiorno e -1,9% nel Centro Nord. Nell’industria il prodotto è cresciuto al Sud (+3%) più che al Centro Nord (+1%). Positivo nel Mezzogiorno anche il valore aggiunto delle costruzioni (+0,5%), rispetto al centro Nord (-0,3%). Infine, nel terziario il valore aggiunto del Mezzogiorno con +0,8% ha superano quello del Centro Nord (+0,5%).
Secondo la SVIMEZ, l’aumento del PIL meridionale mostra primi segni di solidità: il recupero del settore manifatturiero, cresciuto del +2,2%, la ripresa dell’edilizia (+0,5%), il positivo andamento dei servizi (+0,8%), soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche dell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte dei flussi verso il Mezzogiorno.
Interdipendenza tra Sud e Nord
La domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi e investimenti, attiva circa il 14% del PIL del Centro-Nord (nel 2015, un ammontare di circa 177 miliardi di euro). I recenti referendum in Lombardia e Veneto hanno riaperto la discussione sul tema del residuo fiscale. I flussi redistributivi verso le regioni meridionali sono in calo di più del 10%, da oltre 55,5 a circa 50 miliardi. Peraltro le risorse che, sotto diverse forme, affluiscono al Sud, non restano circoscritte al solo Mezzogiorno, ma hanno effetti economici che si propagano all’Italia intera.
Secondo la SVIMEZ, che ha fatto una valutazione quantitativa di tali effetti, su 50 miliardi di residui fiscali di cui beneficia il Mezzogiorno, 20 ritornano direttamente al Centro-Nord, altri contribuiscono a rafforzare un mercato che resta, per l'economia dell'intero Paese, ancora rilevante.
Rilancio degli investimenti pubblici
Nel 2016 hanno toccato il punto più basso della serie storica (la spesa in conto capitale è stata il 2,2% del PIL, nel Mezzogiorno appena lo 0,8%), dopo il modesto incremento del 2015. L’andamento della spesa in conto capitale in questi anni mette il Mezzogiorno su un livello molto più basso rispetto ai livelli pre crisi.
Il crollo della spesa per infrastrutture nell’ultimo cinquantennio è stato del -2% medio annuo a livello nazionale, sintesi di un -0,8% nel Centro-Nord e -4,8% nel Sud. In termini pro capite, gli investimenti in opere pubbliche nel 1970 erano pari a livello nazionale a 529,6 euro, con il Centro-Nord a 450,8 euro e il Mezzogiorno a 673,2 euro. Nel 2016 si è passati a 231 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 296 e il Mezzogiorno a meno di 107 euro pro capite.
Secondo la SVIMEZ, l’attivazione della clausola del 34% potrebbe invertire il trend, ma dovrebbe riguardare non solo le Amministrazioni Centrali ma anche il Settore pubblico allargato. La SVIMEZ chiede inoltre di rafforzare l’efficacia di tale norma prevedendo un monitoraggio al Parlamento e l’istituzione di un Fondo di perequazione delle risorse ordinarie in conto capitale, in cui riversare le eventuali risorse non spese nel Mezzogiorno, per poi finanziare i programmi maggiormente in grado di raggiungere l’obiettivo del riequilibrio territoriale.
Pubblica amministrazione al Sud: -21.500 dipendenti
La qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno presenta un quadro di luci e ombre. Il Sud è un’area penalizzata nel godimento di alcuni diritti di cittadinanza e nell’offerta dei servizi pubblici. Tra gli aspetti postivi, un deciso calo dei procedimenti di giustizia civile pendenti, più accentuato al Sud, e un forte recupero nella diffusione dell’ICT nella PA.
Secondo la SVIMEZ, c’è un forte ridimensionamento della PA nel Mezzogiorno, in termini di risorse umane e finanziarie, tra il 2011 e il 2015: -21.500 dipendenti pubblici (nel Centro-Nord sono calati di -17.954 unità) e una spesa pro capite corrente consolidata della PA (fonte CPT) pari al 71,2% di quella del Centro-Nord. Un divario in valore assoluto di circa 3.700 euro a persona. La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua profonda riforma ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. Ciò a dispetto dei luoghi comuni che descriverebbero un Sud inondato di risorse e dipendenti pubblici.
La Qualità del Lavoro al Sud: crescono gli occupati al Sud ma a basso reddito
Nelle regioni meridionali nel 2016 gli occupati sono aumentati dell’1,7%, pari a 101 mila unità, ma mentre le regioni centro settentrionali hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro avvenuta durante la crisi (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita di occupazione rispetto all’inizio della recessione è ancora pari a 381 mila unità. Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno resta ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE).
Nel 2016 l’occupazione giovanile meridionale è aumentata marginalmente, di sole 18 mila unità (+1,3%), la crescita maggiore continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila unità, pari a +5,6%. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide l’ulteriore aumento del part time involontario (+1,9%), di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale.
L’unica regione del Sud dove gli occupati calano è la Sardegna e, in misura più contenuta, la Sicilia. I livelli restano comunque generalmente distanti da prima della crisi: -10,5% di occupati in Calabria, - 8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% in Abruzzo. Solo in Campania (-2,1%) e Basilicata (-0,8%) siamo su valori vicini a quelli del 2008. L’aumento dei posti di lavoro al Sud riguarda in particolare l’agricoltura (+5,5%), l’industria (+2,4%) e il terziario (+1,8%).
Nei primi 8 mesi del 2017 sono stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”, grazie alla proroga delle misure per la decontribuzione dei nuovi assunti nel Mezzogiorno decise dal Governo.
Secondo la SVIMEZ, la crescita dei posti di lavoro nell’ultimo biennio riguarda innanzitutto gli occupati anziani, nella media del 2016 si registrano ancora oltre 1 milione e 900 mila giovani occupati in meno rispetto al 2008. E poi il lavoro a tempo parziale, che però non deriva dalla libera scelta individuale ma è involontario. Si sta consolidando un drammatico dualismo generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell'occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi.
Il depauperamento del capitale umano meridionale
Alla fine del 2016 il Mezzogiorno ha perso altri 62 mila abitanti. Il saldo migratorio totale del Sud continua a essere negativo e sfiora le 28 mila unità, mentre nel Centro Nord è in aumento di 93.500. In particolare nel 2016 la Sicilia perde 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900.
Il pendolarismo nel Mezzogiorno nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone, di cui 54 mila si sono spostate all’interno del Sud, mentre ben 154 mila sono andate al Centro-Nord o all’estero. Questo aumento di pendolari spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione complessiva del Mezzogiorno di circa 101 mila unità nel 2016.
Secondo la SVIMEZ, che ha elaborato una stima inedita del depauperamento di capitale umano meridionale, considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a sostenere un percorso di istruzione elevata, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. Quasi 2 punti di PIL Nazionale. E si tratta di una cifra al ribasso, che non considera altri effetti economici negativi indotti.
La ripresa non migliora il contesto sociale
Nel 2016 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. L’incidenza della povertà assoluta nel 2016 nel Mezzogiorno aumenta nelle periferie delle aree metropolitane e nei comuni più grandi. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%.
L’emigrazione sembra essere l’unico canale di miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie meridionali.
Secondo la SVIMEZ, l’introduzione del reddito di inclusione avvia un processo per dotare anche l’Italia di una forma universalistica di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Ma per ora l’impegno finanziario è assolutamente insufficiente: del REI beneficerà soltanto il 38% circa degli individui in povertà assoluta per importi che sono generalmente compresi fra il 30 e il 40% della soglia di povertà assoluta per molte tipologie familiari. Vanno fatte scelte redistributive che, senza gravare sul bilancio pubblico, consentano di allargare la platea dei fruitori. Si tratta di una misura che avrebbe un impatto sui consumi senza dubbio notevole.
Credito, il surplus dei depositi al Sud finanzia l’economia del Centro-Nord
Il rapporto tra impieghi – incluse le sofferenze – e i depositi è strutturalmente più elevato nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno: nel 2016 esso è pari a 1,14 al Sud contro 1,74 nel resto del Paese. Questo divario evidenzia il trasferimento della raccolta dalle regioni meridionali a quelle centro-settentrionali.
Nel 2016 nel Mezzogiorno, a fronte di depositi raccolti dalle banche operanti nell’area per 283 miliardi, ci sono solo 278 miliardi di impieghi. Livelli di impieghi inferiori ai depositi si riscontrano in tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione delle Isole. Il rapporto tra impieghi e depositi risulta particolarmente basso in Molise, Basilicata e Calabria. Al contrario, nelle regioni centro-settentrionali, si osserva un fenomeno opposto: a fronte di 959 miliardi di depositi raccolti, ci sono 1.610 miliardi di impieghi.
> Rapporto SVIMEZ 2017: Introduzione e Sintesi e Appendice statistica dell'Introduzione e Sintesi