La crisi dei debiti sovrani nell'area euro: impatti e proposte
Estratto della Tesi di laurea "La crisi dei debiti sovrani nell'area euro: impatti macroeconomici e proposte regolamentari", premiata al Rome Investment Forum 2017.
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La crisi dei debiti sovrani rappresenta la declinazione europea della crisi statunitense, nota come crisi dei mutui subprime. A causa dell’interdipendenza dei mercati, numerose banche europee hanno sperimentato gravi difficoltà e sono state salvate da interventi pubblici. Tali interventi hanno esacerbato gli squilibri di finanza pubblica dei paesi europei più vulnerabili.
La crisi greca del 2010 ha portato gli investitori ad interrogarsi sul grado di solvibilità complessivo degli stati europei, guardando con maggior preoccupazione alle economie dei paesi più periferici, i cosiddetti PIIGS. I timori degli investitori sulla solvibilità dei Paesi caratterizzati da economie più deboli hanno innescato un effetto a catena: i maggiori tassi di rendimento dei titoli di stato hanno ridotto il loro prezzo e ciò, per le banche che detenevano nei loro portafogli grandi quantità di questi titoli, ha significato una maggiore onerosità del funding sui mercati e una conseguente stretta del credito. Si è, in tal modo, creato un circolo vizioso, attraverso il quale il rischio sovrano si trasmette a quello bancario e viceversa.
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Da crisi finanziaria a crisi del debito sovrano
Dal quadro generale delineato finora, si evince come il circolo vizioso abbia operato in due sensi:
- Dai rischi bancari verso il rischio sovrano: poiché le difficoltà affrontate dal settore bancario hanno reso necessario, in alcuni casi, un salvataggio degli istituti bancari per mezzo di denaro pubblico, ciò ha inciso negativamente sul bilancio pubblico,
- Dai rischi sovrani ai rischi bancari: poiché elevati valori di debito di alcuni paesi hanno determinato la riduzione del valore dei titoli pubblici nei portafogli bancari e una maggiore onerosità del funding sui mercati.
La possibilità di default delle banche ha spinto i governi a prevedere dei piani di salvataggio che hanno aumentato la probabilità d’inadempienza del governo.
L’incremento del rischio d’insolvenza percepito su alcuni paesi ha fatto sì che i capitali si spostassero da questi verso i paesi del nord; effetto in parte dovuto al disinvestimento di titoli emessi dai paesi più rischiosi. Questo processo di flight to quality, ha causato una crisi di liquidità senza precedenti.
La fuga verso la sicurezza transfrontaliera ha compresso gli oneri finanziari delle nazioni non vulnerabili, permettendo loro di godere di un ‘premio di sicurezza’, ma ha incrementato gli oneri finanziari delle nazioni vulnerabili, e ciò ha colpito ancor di più la loro solvibilità fiscale.
L'assenza di una completa unione è stata la causa dell’ampiamento del circolo vizioso innescato dal cambiamento della percezione degli investitori sulla solvibilità sovrana dal 2010 (Pagano, 2016).
Uno dei principali fattori che lega le banche ai governi è l’ingente acquisto di titoli di stato da parte degli istituti bancari. La regolamentazione prudenziale dell'area euro offre un trattamento preferenziale al debito sovrano rispetto ai prestiti alle banche e alle famiglie: a differenza di questi ultimi, infatti, non comporta alcun accantonamento di capitale e non è soggetto a limiti di concentrazione.
Tali meccanismi incentivano le banche ad investire maggiormente in titoli di stato e le incoraggia a detenere più debito sovrano di quanto una prudente gestione del rischio implicherebbe. Consistenti esposizioni sovrane delle banche, in parte relative a incentivi normativi, possono agire come un canale di contagio tra i titoli di stato e settore bancario, con effetti a catena per l'economia.
La proposta degli European Safe Bond
Riformare il trattamento prudenziale e preferenziale riservato alle esposizioni sovrane, non è stata l’unica proposta per rompere il nesso stato-banche. E’ stata avanzata l’ipotesi della creazione degli Eurobond sintetici, cioè obbligazioni europee prive di rischio intese a rimpiazzare il Bund come investimento sicuro (safehaven) nella nostra area valutaria e a contrastare la nazionalizzazione dei debiti pubblici dei Paesi periferici. In un documento di analisi (Pagano, 2016) formulato per conto del Centro Europeo per il rischio sistemico (Esrb), si studia l’impianto tecnico su cui si articola la proposta degli ESBies.
L’idea è quella di creare un veicolo finanziario che si frapponga tra gli Stati dell’Eurozona da una parte e gli investitori dall’altra. Dai primi, il veicolo acquisterebbe i titoli di stato in proporzioni predefinite, in modo da non creare favoritismi tra un Paese e l’altro. Agli investitori, invece, il veicolo venderebbe dei titoli di sua emissione, con un diverso grado di protezione in caso d’insolvenza da parte di uno o più Stati dell’Eurozona.
Per semplicità immaginiamo che ne emetta due: titoli “senior” e titoli “junior”.
Il rischio di un mancato pagamento o di una ristrutturazione da parte di un Paese dell’Eurozona si scaricherebbe sui titoli “junior”, risparmiando i “senior”. Gli investitori che hanno acquistato i titoli “senior”, prodotti dalla cartolarizzazione, godrebbero così di un duplice livello di protezione: quella derivante dalla diversificazione del portafoglio dei titoli posseduti dal veicolo, e quella che proviene dalla prelazione rispetto ai titoli “junior”, i primi a essere sacrificati.
Grazie a questa doppia protezione, questi titoli sintetici possono avere lo stesso grado di sicurezza dei titoli di Stato tedeschi, i Bund, e per questa ragione i loro proponenti li hanno battezzati EuropeanSafe Bonds (o ESBies).
Gli acquirenti dei titoli “junior”, invece, sarebbero protetti solo dalla diversificazione fra i titoli di Stato. Sarebbero comunque in prima linea in caso d’insolvenza, e quindi sono più rischiosi. Pagano, inoltre, spiega che: «Le banche dovrebbero essere indotte a non acquistare titoli della tranche “junior”, ma solo “senior”, in modo da isolarle il più possibile da un’eventuale crisi, interrompendone il meccanismo di propagazione». Un dettaglio questo di fondamentale importanza.
Inoltre, la creazione di questi due nuovi bond, non necessitando la condivisione del rischio e dunque la solidarietà nella garanzia, non obbliga gli Stati a impegnare parte delle proprie risorse per coprire le eventuali insolvenze di altri Stati sovrani. Infine, essendo legati al rischio di ogni singolo paese, non appiattirebbero la varietà di titoli del debito pubblico (e quindi di rendimenti) detenuti delle banche (Altomonte, 2012).
Si delineano, quindi, molteplici vantaggi. Le istituzioni creditizie dell’Uem potrebbero acquistare quote ingenti di titoli Esbies senior, riducendo in misura significativa la dipendenza dal debito pubblico nazionale. Svanirebbe, così, gradualmente, quel circolo demonico cui si faceva riferimento tra rischio sovrano e sistemico.
Anche l’inclinazione a ripiegare su titoli concepiti privi di rischio in momenti di elevata volatilità (flight-to-quality) verrebbe a moderarsi, attenuando in tal modo gli effetti nocivi per i bilanci dei paesi più vulnerabili. Questo è un aspetto di fondamentale importanza, in quanto potrebbe ridurre non solo le probabilità di ulteriori crisi recessive, con rimarchevole impatto sulle esportazioni tedesche, ma lascerebbe inoltre che si venissero a dissipare scenari futuri in cui la Germania possa essere chiamata a intervenire attraverso operazioni di bail-out in eventi sistemici (Pagano, 2016).
Questa interpretazione creativa, in senso finanziario, della categoria della mutualizzazione dei debiti potrebbe essere un primo passo verso un rinnovamento nello spirito d’integrazione europeo: l’entrata in vigore di questi titoli potrebbe completare l’impianto dell’Unione Bancaria Europea ad oggi incompleta a causa di un mancato accordo sul terzo pilastro, la creazione uno schema europeo di assicurazione sui depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), ovvero di meccanismi di condivisione dei rischi.
L'Unione bancaria è l'indispensabile complemento dell'Unione economica e monetaria (UEM) e del mercato interno. Il suo scopo è quello di armonizzare, a livello dell'UE, le competenze in materia di vigilanza, risoluzione e finanziamento e impone alle banche della zona euro di conformarsi alle medesime norme. In particolare, tali norme assicurano che le banche assumano rischi calcolati e paghino il prezzo degli eventuali errori commessi facendo fronte alle proprie perdite e al rischio di una chiusura, minimizzando nel contempo il costo per i contribuenti.
Tuttavia, anche se la previsione del meccanismo unico di vigilanza (SSM) e del meccanismo di risoluzione unica (SRM) può mitigare gli effetti delle crisi bancarie nei paesi di origine, queste riforme non sono sufficienti per rompere il processo inverso che si propaga dagli stati verso le banche. Gli Stati devono giungere ad un’effettiva condivisione del rischio tra paesi dell’Eurozona.
Una delle ragioni dello stallo è la mancanza di un accordo sulle regole per l’esposizione bancaria verso il debito sovrano. Le posizioni sono contrapposte: i governi dei paesi con i rating migliori si oppongono all’Edis se non verranno introdotti limiti all’esposizione delle banche verso i sovrani più rischiosi; i paesi con rating peggiori sono restii a rivedere le regole senza un meccanismo di condivisione dei rischi, come l’Edis.(Navaretti et al.,2016).
Un primo passo per uscire dall’empasse lo ha compiuto la Commissione europea, la quale in una comunicazione dell’11 ottobre 2017, ha rammentato i lavori in corso del Comitato Europeo per il Rischio Sistemico sui titoli garantiti da obbligazioni sovrane, ovvero gli Esbies.
La Commissione valuterà i risultati di tali lavori al fine di presentare nel 2018 una proposta volta a consentire lo sviluppo di tali titoli, i quali consentirebbero alle banche di diversificare le obbligazioni sovrane in loro possesso e potrebbero rappresentare una nuova garanzia reale di elevata qualità da utilizzare nelle operazioni finanziarie transfrontaliere. D’altra parte, per la riforma dei trattamenti preferenziali dei titoli di stato, bisogna ancora attendere.
Photo credit: Christoph Scholz