Quale governance per la politica di coesione post 2020
La programmazione dei fondi UE 2014-2020 è stata tutta all’insegna della consultazione delle parti sociali e della definizione di condizionalità per garantire maggiore efficacia alla spesa delle risorse finanziarie.
> La spesa dei Fondi UE e la Politica di Coesione post 2020
Gli sforzi effettuati nella programmazione rischiano però di essere vanificati nella fase di attuazione della politica di coesione, quella che vede cioè ministeri e regioni pubblicare i bandi per la concessione di agevolazioni o per la realizzazione di servizi e investimenti (gare).
In Italia ritorna periodicamente e sovente la difficoltà che abbiamo nello spendere questi fondi UE; i media si concentrano sulle statistiche tralasciando le cause del problema, che sono diverse e complesse.
Tra quelle più facile da correggere a volte c’è la mancata conoscenza del mercato in cui lavorano imprese e professionisti da parte di chi scrive i bandi che attuano i programmi operativi. E’ necessario comprendere la realtà prima di redigere i bandi.
Ad esempio quando un regione mette nel titolo di un bando per start-up il termine pre-seed e poi chiede un business plan - con analisi di “break-even point” - non si rende conto che incubatori e acceleratori (il mercato), in questa prima fase di avvio di un’azienda, non chiedono un piano imprenditoriale dettagliato ma solo un documento - molto sintetico - che rappresenti il modello di business.
I fondi pre-seed servono per sviluppare questo modello-idea di business, testarlo sul mercato ove possibile, modificarlo sulla base dei feedback rilevati per avere maggiori probabilità di successo quando si passerà alla fase successiva. Molti incubatori quando gli viene presentato un business plan lo respingono senza neanche aprirlo, figuriamoci se fanno un’analisi di break-even (come e quando una azienda raggiunge il punto di pareggio tra costi e ricavi).
Costringere quindi un neo-imprenditore a elaborarla per sperare di avere qualche decina di migliaia di euro non aiuta la produttività del sistema start-up, non aiuta lo startupper a focalizzarsi su come il nuovo prodotto o servizio può davvero soddisfare un bisogno di un potenziale cliente.
Un esempio in tema di FSE riguarda il bando di un'altra regione che agevola la formazione dei professionisti, oggi finalmente equiparati alle imprese ai fini dell'accesso ai finanziamenti UE.
Il bando prevedeva il coinvolgimento dei fondi interprofessionali per realizzare i corsi, dimenticando che la maggior parte dei possessori di partita Iva che oggi hanno bisogno di sviluppare competenze professionali - o riqualificarsi nell’attuale mutevole contesto - spesso non hanno dipendenti e quindi di fatto non possono utilizzare il bando in questione.
Questo problema si potrebbe risolvere abbastanza facilmente consultando le parti che verranno interessate dai provvedimenti, cioè associazioni rappresentative e veri esperti, come è stato fatto in sede di programmazione, sperando nella qualità dei feedback che si ottengono, spesso altro fattore che impatta l’efficienza attuativa delle politiche di coesione.
Quindi invitare i ‘redattori’ dei bandi a consultare di più potrebbe comunque non essere la soluzione. La vera radice del problema è sempre nella governance della politica di coesione.
Avere 20 regioni (solo in Italia) significa avere una pluralità di soggetti (per il FESR, FSE e il FEASR) che scriveranno i loro bandi per assegnare/spendere i fondi con regole diverse, in modi più o meno efficienti, ma con la conseguenza - soprattutto per chi svolge attività di supporto e controllo (Ministero coesione, Agenzia di coesione, Commissione europea - DG Regio, Autorità di audit, Corte dei conti, Antifrode e Anticorruzione) - di doversi impegnare a gestire la proliferazione di procedure, perdendo di fatto il controllo sull’attuazione delle politiche e la misurazione della loro efficacia.
La soluzione non è nella evidente impossibile abolizione delle regioni, ma nella imposizione di procedure - quantomeno nazionali - per la spesa dei fondi. Agli enti regionali rimarrebbe la responsabilità di stabilire le dotazioni sui vari obiettivi tematici secondo le esigenze specifiche dei territori, garantendo anche autonomia nella definizione dei criteri che stabiliscono le graduatorie per concedere i contributi quando è necessario, purchè rientrino sempre in un ambito di parametri stabiliti a livello nazionale.
La scrittura di regole valide per tutte le regioni e la condivisione di poche piattaforme telematiche nazionali su cui enti e beneficiari andrebbero ad operare, consentirebbero, oltre che congrui risparmi, anche agilità nella gestione e nei controlli. Soprattutto permetterebbero di alzare la qualità delle procedure stabilite nei bandi, da cui alla fine dipende l’efficacia della spesa.
Nell’attuale dibattito sul futuro della UE la politica di coesione ha un ruolo fondamentale, con risorse che rappresentano un terzo del bilancio europeo. E’ quindi il momento giusto di rivedere drasticamente alcuni suoi funzionamenti, semplificandoli davvero per ridargli forza, quella che non farà sfaldare l’Europa.
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