Un colpo di coda per il Bilancio UE post 2020
La pubblicazione del tanto atteso Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 da parte della Commissione europea, delle proposte sulle politiche di sviluppo - PAC e Coesione su tutte, che insieme valgono circa i ⅔ del bilancio UE - e la prima riunione del Consiglio sul tema non fanno intravedere una forte reazione che consenta all'Unione Europea di uscire dalle sue difficoltà.
Il bilancio UE post 2020 ha raccolto critiche - spesso anche facili e prevedibili - da più parti. Le più pesanti forse dal Parlamento Europeo che contesta pure gli importi messi nel Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2017. Si preannuncia un negoziato molto duro, come già si è visto sui migranti, il capitolo meno significativo in termini quantitativi ma di sicuro valore polemico. Questa trattativa è l'emblema di come gli sforzi dei governi saranno indirizzati su documenti dove si evince la mancanza di un vero cambiamento, di un input significativo per imprimere una svolta, una positiva evoluzione a una Europa che deve fare fronte alle nuove sfide e al crescente malcontento popolare.
Il lavoro della Commissione sul tema è cominciato ufficialmente nel marzo 2017 con la pubblicazione del Libro Bianco sul Futuro della UE e si è protratto fino alla proposta di bilancio pubblicata ad inizio maggio con la produzione di documenti di riflessioni, innumerevoli consultazioni e, infine, una comunicazione del febbraio 2018 in cui si rappresentavano scenari drastici, con tagli del 30% alla PAC e alla politica di coesione.
L’enfasi posta sulla necessità di un cambio di passo per dare un Futuro alla UE lasciava presagire un proposta di bilancio “disruptive”, come le tecnologie che stanno cambiando il mondo, forte e coraggiosa nei contenuti, intelligente in termini di gradimento ai governi che l’avrebbero potuta accettare, oppure che avrebbero speso i loro negoziati su punti in grado davvero di riformare l’Europa.
Non è stato così. I tagli per la PAC e la politica di coesione si sono attestati intorno al 10%. I programmi post 2020 contengono importanti novità, ma nulla che sembri in grado di impattare efficacemente i principali problemi dell’Unione.
Quello sui migranti risalta nelle cronache e quindi è il primo punto da trattare, evidenziando che non si tratta più di una emergenza, ma di una situazione costante e ormai strutturale. E’ stato detto più volte che il problema va risolto a casa loro, garantendo diritti civili, pace e crescita economica nei paesi in via di sviluppo. Nonostante i molti proclami - evocato anche un piano Marshall per l’Africa - non si sta lavorando in questa direzione.
La bozza di bilancio prevede 35 miliardi di euro rispetto ai 13 miliardi del periodo 2014-2020 per frontiere, migrazione e asilo, dunque oltre 2 volte e mezzo l’attuale dotazione finanziaria per fronteggiare contingenze, mentre sul capitolo per la cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari (azione esterna) - che intervengono alla radice del problema - l’incremento è solo del 26%, il minore di tutti i programmi post 2020.
In sintesi, spendiamo le scarse risorse finanziarie per tenere alla larga gli immigrati e gestire i pochi che riescono ad arrivare. Garantire diritti, pace e crescita merita solo un piccolo aumento della dotazione finanziaria, peraltro significativa, ma che non riesce evidentemente a produrre sufficienti risultati.
Invece di discutere su come attrarre le enormi quantità di capitali privati presenti sui mercati finanziari - sovente bruciati in scommesse su fantomatiche startup digitali - per investire in Africa, i capi di stato si sfiniscono in negoziati per decidere la ripartizione del numero dei migranti e la collocazione dei centri di accoglienza. Vogliono davvero essere ricordati solo per la scarsa solidarietà verso le popolazioni meno fortunate e forse per non aver saputo dare un futuro all’Europa?
I tagli alla Politica Agricola Comune saranno molto combattuti e rispondono alla tendenza decrescente ormai consolidata negli ultimi 2 settennati. Condivisibili in via generale, lo sono meno quando riguardano lo sviluppo rurale, che contribuisce alla crescita economica. La nuova PAC è molto incentrata su ambiente, clima, nuovi agricoltori e ricambio generazionale. Inventarsi qualcosa di nuovo non era facile e così è stato.
In tema di entrate non era altrettanto facile inventarsi nuove “risorse proprie”, che riguarderanno l’imposta sulle società, la percentuale delle entrate provenienti dal sistema di scambio di quote di emissione e il contributo nazionale basato sui rifiuti di imballaggi di plastica non riciclabile. In questo ambito però era doveroso provare a fare molto di più, cominciando dalla web tax, di cui ormai si parla da troppo tempo.
L’argomento della semplificazione ricorre in maniera trasversale, ma il perimetro in cui si è davvero superato il limite è quello della politica di coesione. Le novità sono molte su questo capitolo e qui ricordiamo solo che la proposta della Commissione europea prevede ora un unico codice regolamentare per tutti i diversi fondi e una singola revisione contabile, senza dover sottoporre una spesa a più ripetute verifiche.
In sostanza però non cambierà molto, perché il vero nodo di questa politica è da molti anni la sua governance, ormai quasi ingestibile, specie nel nostro Paese. La Corte dei conti UE ha infatti ricordato proprio a fine maggio che è necessaria la semplificazione dell'attuale struttura gestionale dei programmi operativi, che oggi conta oltre 390 programmi e circa 1.400 Autorità di gestione e audit. Una maggiore centralizzazione delle procedure e delle piattaforme con cui si regola la spesa dei fondi non è fantascienza con le attuali tecnologie digitali. La Banca Mondiale ad esempio ha già sperimentato la blockchain per i suoi investimenti, l’Unione può senz’altro fare di meglio.
In conclusione, il livello dei negoziati tra i paesi membri va portato sui temi che contano davvero: nuove entrate, aiuti umanitari, attrazione investimenti, spesa efficiente ed efficace delle risorse per una reale crescita economica e la riduzione delle diseguaglianze. I criteri di accoglienza dei migranti vanno risolti in fretta con criteri statistici ed economici; se un paese non vuole un centro di accoglienza dovrà farsi carico dei costi dello Stato che li gestisce. I politici se ne rendano conto, subito, ormai c'è solo il tempo per un colpo di coda, o ad annegare saranno loro e l'Europa.