Startup - OCSE promuove l’Italia, ma venture capital a rilento
Per l'OCSE lo Startup Act fa bene all’impresa innovativa italiana. Ma l'eccesso di burocrazia e un mercato del venture capital che va ancora a rilento fanno sì che l’Italia non sia ancora una Startup Nation.
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L’impatto dello Startup Act è stato complessivamente positivo, ma sono necessarie azioni complementari in altre aree di policy per realizzare appieno il potenziale delle startup innovative italiane. È quanto emerge dal rapporto “La valutazione dello Startup Act italiano”, realizzato dall'OCSE in collaborazione con la Banca d'Italia.
Startup Act: bene, non benissimo
L’impatto positivo sulle imprese beneficiarie c’è: fatturato, valore aggiunto e asset materiali e immateriali delle startup innovative sono di circa il 10-15% più elevati rispetto alle imprese con caratteristiche simili che non hanno beneficiato delle misure dello Startup Act, o che ne hanno fruito solo in una fase successiva.
L’analisi indica che le imprese iscritte hanno una maggiore probabilità di ottenere prestiti dalle banche (il flusso netto aumenta di circa il 14%) a un tasso di interesse inferiore.
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Lo Startup Act italiano cerca il giusto equilibrio tra lo stimolo alla sperimentazione, da un lato, e, dall’altro, la concentrazione esclusiva delle risorse pubbliche – per definizione limitate – sul sottoinsieme delle imprese che presenta un potenziale di crescita.
L’Ocse rileva tuttavia una notevole eterogeneità nell’impatto della policy a seconda che le startup si finanzino mediante equity o debito.
Gli effetti positivi, tuttavia, non sembrano tradursi in un volume significativamente più elevato di investimenti in capitale di rischio a livello aggregato, evidenziando il problema delle ridotte dimensioni di questo mercato in Italia.
> La valutazione dello Startup Act italiano
Venture Capital: un mercato in crescita, ma ancora limitato
“Le startup sono un eccezionale motore di crescita occupazionale e l’accesso al venture capital è in miglioramento, ma non aumenta la quantità complessiva di capitale di rischio investito e le imprese innovative italiane continuano ad avere difficoltà di scaleup. Per questo oltre a potenziare l’equity occorre un’azione riformatrice orizzontale”, ha osservato Carlo Menon, Economist, Policy division dell’Ocse.
Il rapporto conclude che è necessario adottare una serie di azioni politiche a carattere “orizzontale”, che esulano dallo Startup Act, per creare un ecosistema più favorevole alle startup in Italia.
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In effetti, anche guardando i dati dell’ultimo rapporto AIFI-PwC Deals sul primo semestre 2018, si nota come il mercato del private equity e del venture capital vada migliorando nel Paese: la raccolta complessiva si è assestata a 1,9 miliardi di euro (+55% rispetto all’anno precedente), di cui 1,7 sono stati raccolti sul mercato (+43%).
Con riferimento al segmento early stage (investimenti in imprese nella prima fase di vita), l’ammontare investito è cresciuto del 122% (96 milioni di euro), mentre il numero delle operazioni ha rappresentato la metà dei deal (80 su 160).
Un forte disequilibrio è presente nella distribuzione geografica delle operazioni all’interno del territorio nazionale, essendo state realizzate il 78% delle stesse nel Nord Italia, seguito dal Centro con il 12% e dal Sud con il 10%.
Con riferimento alle attività delle aziende target, prevalgono quelle del settore ICT (31 deal); seguono a ruota quelle del settore dei beni e servizi industriali (28 deal) e medicale (20 deal). Sempre lato investimenti, il 75% del numero totale delle compagnie di riferimento hanno meno di 50 milioni di fatturato. Buoni segnali anche per le infrastrutture, dove gli investimenti sono stati pari a 1,1 miliardi (+202%).
Quanto alla provenienza della raccolta, con riferimento ai soli soggetti privati prevalgono investitori individuali e family office, mentre limitato rimane l’apporto dei soggetti previdenziali italiani (appena il 5%).
> AIFI-PwC Deals: il mercato del private equity e del venture capital nel primo semestre 2018