CNEL: in Italia oltre 3 di milioni di lavoratori poveri
Aumenta il lavoro precario, part-time, poco qualificato e scarsamente retribuito. E' quanto emerge dal Rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva 2018 del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL).
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Al recupero dei posti di lavoro ai livelli pre-crisi fa da contraltare l'aumento del lavoro povero. Questa la fotografia del mercato del lavoro in Italia scattata nel rapporto realizzato dal CNEL, in collaborazione con Anpal e Inapp, che sottolinea l'esigenza di sostenere gli investimenti delle imprese per aumentare l'offerta di lavoro qualificato, full time e adeguatamente retribuito.
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Crescono occupati, ma il lavoro è povero e precario
Negli ultimi anni la ripresa dell’economia ha riportato i posti di lavoro ai livelli pre‐crisi, anche se la disoccupazione resta alta (10,6%), soprattutto tra i giovani (30,4%). La composizione dell’occupazione, però, è molto cambiata: mentre i contratti a tempo indeterminato rallentano, tra il 2014 e il secondo semestre 2018 è cresciuto del 35% il lavoro a tempo determinato, pari a oltre 800mila occupati che nell’85% dei casi hanno contratti di durata non superiore ai 12 mesi.
In più, la nuova occupazione ha tutte le caratteristiche del lavoro povero: ridotto intensità in termini di ore di lavoro, precario, scarsamente qualificato, di breve durata, poco retribuito. Un fenomeno che riguarda oltre 3 milioni di lavoratori nel 2015 - ma si arriva a 5,2 milioni se si considera il reddito annuale, invece di quello mensile - e 2,2 milioni di famiglie povere nonostante almeno un componente sia occupato. Tra l'altro, segnala il rapporto, vi è una forte crescita del part-time involontario, penalizzante soprattutto per le donne e al Sud.
Sostenere gli investimenti
Si tratta di osservazioni estremamente rilevanti ai fini delle politiche del lavoro, osservano gli autori, dal momento che bassa intensità in termini di ore di lavoro e scarsa qualificazione dell’occupazione sono questioni ormai “interne alla struttura dell’economia italiana che ormai da parecchi anni non vede crescere quei settori e quelle attività ad elevata produttività e alto valore aggiunto che soli sarebbero in grado di offrire posti di lavoro molto qualificati e a tempo pieno”. Un quadro che il rapporto collega al fatto che negli ultimi vent'anni in Italia la percentuale di investimenti in ricerca e sviluppo sul prodotto interno lordo abbia superato di poco la metà della media degli altri paesi occidentali.
Per questo gli incentivi diretti a sostenere l’occupazione a tempo pieno non bastano, sostengono gli autori, che sottolineano la necessità di maggiori investimenti pubblici e privati nei settori più innovativi dell’economia. Il mismatch occupazionale – denuncia infatti il CNEL – è dovuto non solo alla nota mancanza di profili professionali corrispondenti alle esigenze delle imprese, ma anche al fatto che alla overeducation dei lavoratori non corrisponde un'offerta di lavoro qualificato da parte delle imprese, con un grave spreco di risorse umane ed economiche.
Ripensare le politiche del lavoro e la protezione sociale
Al sostegno agli investimenti per innovare la struttura produttiva del paese devono accompagnarsi secondo il rapporto anche interventi efficaci sul fronte delle politiche passive e attive del lavoro. Il salario minimo, ad esempio, potrebbe essere utilizzato nei confronti di alcuni gruppi di lavoratori, come giovani e apprendisti, per garantire una protezione più efficace nei confronti dei bassi salari, mentre una revisione più ampia del sistema di protezione sociale permetterebbe di gestire meglio le sempre più frequenti transizioni fra posizioni lavorative diverse.
Tra le opzioni rientra anche il reddito minimo, tenendo presente però che “il contrasto alla povertà non può essere né solo una misura occupazionale e nemmeno solo un intervento assistenzialistico”,osserva il CNEL, ma servono diverse misure di prevenzione e di assistenza, a cominciare da buoni sistemi educativi e di formazione professionale per giovani e adulti, misure di orientamento al lavoro, sostegno ai bassi salari, risposte a bisogni personali e familiari di assistenza, interventi di sostegno psicologico e sanitario, accesso a una abitazione adeguata e, nel caso di famiglie povere, sostegno alle spese per la crescita e per l’educazione dei figli.
Blockchain per i centri per l'impiego
Il rapporto pone l'attenzione anche sulla necessità dei centri pubblici per l'impiego efficaci, dotati di personale sufficiente e competenze, forniti di dotazioni informatiche adeguate, meglio collegati al sistema delle imprese.
Tra i limiti segnalati anche la mancata realizzazione della interconnessione delle banche dati e del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (SIU), che il rapporto suggerisce di superare tramite la Blockchain. Questa tecnologia permette infatti la raccolta sistematica, connessa e certa dei dati, senza bisogno di creare nuove sovrastrutture e preservando l'autonoma generazione e gestione di ogni fonte informativa da parte dei soggetti della rete.
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Bene premi risultato e welfare aziendale
Infine, il rapporto si concentra sulle sfide per la contrattazione, dal riordino dei contratti collettivi alle tutele nell'era della Gig Economy, dalla rappresentatività sindacale e datoriale all'innovazione nella contrattazione decentrata, con particolare attenzione a premio di risultato e welfare aziendale.
Qui emergono alcune note positive: tra maggio 2016 e giugno 2018, 15.639 imprese hanno fatto domanda per la detassazione del premio di risultato, mentre nel 2017 sono stati siglati 5.236 accordi sul welfare per un totale di 2.491.374 lavoratori beneficiari e un valore annuo medio stimato pro capite di 1.435 euro.