Agricoltura - le proposte degli stakeholder per la PAC post 2020
La commissione Agricoltura della Camera si confronta con gli stakeholder sulle proposte di regolamento per la Politica agricola comune (PAC) post 2020, uno dei capitoli più incerti del negoziato sulla prossima generazioni di fondi UE.
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In attesa di sapere se l'impianto della Politica Agricola Comune 2021-2027 proposto dal commissario Phil Hogan verrà confermato dal nuovo responsabile UE per l'Agricoltura, i deputati si confrontano con gli stakeholder sulle priorità italiane. Dal potenziamento degli strumenti di gestione del rischio al riconoscimento del ruolo dell'agricoltura contadina nel Piano strategico dell'Italia, ecco le richieste dell'Associazione nazionale condifesa (AS.NA.CO.DI.) e dell'Associazione rurale italiana (ARI).
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AS.NA.CO.DI, una polizza base per le calamità naturali
La gestione del rischio prevista nell'ambito della Politica Agricola Comune 2014-2020 rappresenta uno degli strumenti più avanzati che gli agricoltori hanno a disposizione al mondo e dovrebbe essere confermata in un'ottica di continuità, intervenendo solo sui singoli aspetti che necessitano di miglioramenti, spiegano in audizione alla Camera i rappresentanti dell'Associazione nazionale condifesa (AS.NA.CO.DI.)
Per AS.NA.CO.DI servono anzitutto interventi di semplificazione sulle norme che creano problemi applicativi concreti agli agricoltori, tra cui ad esempio quelle relative alla resa storica, un riferimento che dovrebbe essere abbandonato per parlare esclusivamente di resa attesa.
Oltre ad andare avanti con l'implementazione dei fondi di mutualità e di stabilizzazione del reddito, inoltre, nella nuova programmazione secondo l'Associazione si potrebbe pensare anche ad uno strumento per la gestione dei rischi catastrofali. Con risorse del primo pilastro si potrebbero finanziare polizze base standard diffuse tra tutte gli agricoltori che coprano a prezzi contenuti il 50% dei danni subiti a seguito di calamità ormai sempre più frequenti, sapendo di poter contare poi sugli strumenti di gestione del rischio del secondo pilastro.
Infine, l'Associazione chiede di prestare maggiore attenzione alla comunicazione istituzionale delle opportunità offerte della PAC, che andrebbe potenziata non solo attraverso le campagne nazionali del Mipaaft, ma anche valorizzando il ruolo dei Comuni e delle Regioni nella diffusione di informazione sugli strumenti disponibili, oltre che delle organizzazioni professionali.
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ARI, più attenzione all'agricoltura contadina
Concordi con l'idea del Governo che i Piani strategici nazionali della PAC debbano rispondere alle esigenze dell'agricoltura nazionale, i rappresentanti dell'Associazione rurale italiana (ARI) chiedono il giusto riconoscimento per le piccole e piccolissime imprese che costituiscono la grande maggioranza del tessuto agricolo in Italia.
Le aziende che occupano più di dieci lavoratori a tempo pieno rappresentano solo il 2,5% dell'agricoltura italiana e producono il 5% del valore totale, mentre le aziende con un solo addetto a tempo pieno, circa 700mila, rappresentano da sole un quarto del valore della produzione agricola nazionale.
Il Piano strategico con cui l'Italia sarà chiamata a programmare le risorse del I e del II pilastro della PAC dovrebbe quindi partire dal riconoscimento del fatto che il modello industriale è da noi minoritario, circa 15mila aziende su un milione e 200mila totali, mentre il modello maggioritario è costituito dall'agricoltura familiare, di piccola scala e media.
In più, secondo l'ARI, il Governo dovrebbe approfittare del processo di rinazionalizzazione della PAC connesso ai Piani strategici, che lascia maggiori margini di azione agli Stati membri, per spingere la transizione verso il sistema agroecologico. Un modello che ben si adatta ad aziende di piccola dimensione, a scarsa capitalizzazione ed intensivi in lavoro, e permette di mantenere basso il cash flow assicurando allo stesso tempo prodotti di qualità.
C'è poi il tema della giusta ripartizione del sostegno PAC. Oggi in Italia il 20% delle aziende prende il 90% delle risorse, contro l'80% di media UE, con un concentramento molto importante dei fondi UE nelle città, denuncia l'Associazione. Per correggere questa anomalia l'ARI propone un tetto massimo a 40mila euro per impresa, da poter modificare in rapporto all'occupazione creata nell'azienda.
Infine, Secondo l'ARI serve una definizione precisa dell'agricoltore attivo, che escluda tutte le società per azioni che agiscono come aziende agricole, mentre l'inserimento di una condizionalità sociale dovrebbe incentivare e valorizzare il rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli.
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