Grandi progetti: gli errori da non ripetere con i fondi europei 21-27 e il PNRR
Secondo una relazione della Corte dei Conti solo due terzi dei Grandi progetti approvati nel quadro del ciclo 2007-13 dei fondi europei risultano effettivamente entrati in funzione e solo un terzo ha visto la conclusione entro la fine della programmazione.
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L'analisi si concentra su tutti i 56 Grandi progetti previsti dalla programmazione dei fondi europei 2007-2013, per individuare gli esiti ottenuti, le principali cause di rallentamento ed insegnamenti utili per il futuro, soprattutto in relazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
E se il “fattore tempo” si conferma il principale punto debole nella gestione delle risorse europee, cruciale anche per centrare il target di spesa dei fondi del Recovery Plan entro la data limite del 2026, quello che manca è anche un quadro chiaro dell'efficacia degli interventi finanziati: nonostante i benefici dei Grandi progetti realizzati grazie ai fondi UE siano visibili, in assenza di dati sulla situazione precedente non è possibile misurarne l'effettivo impatto.
I Grandi progetti nella programmazione dei fondi UE 2007-2013
I Grandi progetti, caratterizzati da un costo di almeno 50 milioni di euro, si distinguono in due tipologie: da una parte gli investimenti infrastrutturali (ferrovie, metropolitane, porti, autostrade, depuratori e reti idriche, grandi restauri, reti di banda ultra-larga), dall'altra quelli produttivi (aiuti per lo sviluppo di grandi impianti industriali). Si tratta di macro interventi che vengono approvati individualmente dalla Commissione europea, a differenza dei progetti “ordinari” cofinanziati dai fondi strutturali nell'ambito dei Programmi operativi nazionali e regionali, sulla base di una serie di profili di interesse europeo, tra cui il rispetto delle norme UE sugli aiuti di Stato e delle direttive in materia.
Le regole del ciclo 2007-13 fissavano il termine finale per poter effettuare pagamenti rendicontabili alla Commissione al 31 dicembre 2015 (regola n+2) e quello perchè fossero completati e in uso al 31 marzo 2017, ma ammettevano - previo accordo con la Commissione - la suddivisione del progetto in due fasi, una a carico della vecchia programmazione e l'altra del nuovo settennato 2014-2020, oppure il mantenimento del progetto “non funzionante” con l'impegno a completarlo entro due anni dal termine ultimo per la presentazione dei documenti di chiusura, quindi entro il 31 marzo 2019.
Alla data del 31 marzo 2017 i Grandi progetti completati nel corso della programmazione 2007-2013 sono stati 19, finanziati con un totale di circa 1,8 miliardi. La relazione fornisce una scheda di sintesi di ciascuno di questi Grandi progetti, 17 dei quali finanziati nell’ambito dell’Obiettivo Convergenza e 2 nell’ambito dell’Obiettivo Competitività, tra cui figurano i progetti per la diffusione della banda larga in Calabria, Campania e Lombardia, il potenziamento delle reti ferroviarie Lamezia Terme-Catanzaro Lido, Bari-Taranto, Battipaglia-Reggio Calabria, diversi collegamenti urbani e metropolitani e direttrici stradali quali la SS106 “Jonica”, la SS640 “di Porto Empedocle”, la SS16 “Adriatica”.
Se ai progetti chiusi nel ciclo 2007-2013 si aggiungono anche i progetti rinviati al 31 marzo 2019 e quelli slittati in parte nella programmazione 2014-2020, si arriva invece a un totale di 34 progetti entrati in funzione, quindi circa due terzi di quelli previsti a inizio ciclo.
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Cosa non ha funzionato con i Grandi progetti 2007-2013
Il dato più preoccupante che emerge dalla relazione della Corte è che non soltanto i Grandi progetti conclusi entro il termine della programmazione 2007-2013 rappresentano solo un terzo del totale, ma si tratta di strascichi della programmazione 2000-2006 e di progetti retrospettivi, cioè interventi finanziati originariamente a valere su risorse nazionali e poi spostati a carico del bilancio UE per facilitare l'assorbimento dei fondi strutturali. Questo significa che nei fatti neanche questi 19 Grandi progetti si sono esauriti in un solo ciclo di programmazione e in più, data la difficoltà di rintracciare la destinazione dei fondi nazionali liberati, anche il rispetto del principio dell'addizionalità dei fondi europei risulta incerto. Tra l'altro, sottolinea la relazione, “anche laddove esso risulti rispettato i progetti retrospettivi finiscono anch'essi per posticipare nel tempo l'impatto macroeconomico atteso dalle politiche per la coesione, e rischiano di determinare un effetto inerziale”.
Il tema da tenere presente nella gestione dei fondi europei non è quindi solo come garantire l'assorbimento delle risorse per evitare il rischio disimpegno, che in questo caso ad esempio è stato evitato: alla chiusura dei Programmi Operativi 2007-2013, infatti, con il consenso della Commissione europea, per dieci Grandi progetti è stata fissata la scadenza del 31 marzo 2019 e per altri 27 si è optato per una suddivisione degli interventi in due fasi, di cui la prima a valere sulla programmazione 2017-2013 e la seconda a valere sulla successiva.
Dei 10 progetti “non funzionanti” rinviati al 31 marzo 2019 otto sono stati portati a termine e due – uno relativo al POR FESR Campania, l'altro del POR FESR Sicilia - sono risultati non completati alla scadenza e sono ancora oggetto di negoziato con Bruxelles. Quanto ai 27 Grandi progetti a cavallo delle due programmazioni, 11 sono stati successivamente ritirati dalla programmazione dei fondi europei e spostati verso altre risorse, principalmente a valere sul Fondo sviluppo e coesione, mentre per gli altri la relazione registra ulteriori ritardi e intralci che in alcuni casi ne hanno messo in dubbio la realizzabilità anche nel ciclo 2014-2020 (entro il 31 dicembre 2023 per effetto della regola di disimpegno automatico n+3).
L'affollamento di Grandi progetti per accrescere la percentuale di assorbimento dei fondi europei nell'immediato è stato applicato - è la conclusione della Corte - senza che venissero valutate in modo adeguato le possibilità concrete della loro attuazione, generando un “addensamento di impegni difficili da tradurre in spesa reale” che neanche il ricorso alla fasizzazione è riuscito a risolvere. Le cause sono ben note: tempi lunghi dell’iter burocratico-amministrativo, difficoltà tecniche impreviste, contenziosi prolungati in sede di gara e con le ditte appaltatrici, criticità finanziarie incontrate da queste ultime. Il risultato è che, anche laddove completati, il ritardo nella realizzazione degli interventi ha finito per posticipare anche “la concreta fruizione delle opere da parte delle collettività e l'impatto macroeconomico atteso dagli interventi, per di più in un contesto generale di politiche di bilancio restrittive che hanno finito per colpire in particolare la spesa in conto capitale”.
In più, risulta anche difficile misurare l'impatto degli interventi finanziati dai fondi europei sul benessere delle collettività e in termini di riduzione del divario Nord-Sud. La Corte rileva che mancano analisi volte a misurare sistematicamente i benefici socio-economici degli interventi rispetto alla situazione di partenza, non si verifica che i risultati ottenuti siano effettivi e duraturi nel corso del tempo ed raro è il riscontro del reale utilizzo dopo l'entrata in funzione delle opere. Nel quadro delle risorse europee a disposizione della ripresa, da una parte il PNRR, dall'altra la nuova programmazione dei fondi UE 2021-2027, sarebbe invece opportuno, osserva la relazione, “concentrarsi sugli interventi maggiormente in grado di generare un effetto di accelerazione riconosciuto sul rilancio economico di un territorio”.