Cohesion Forum: i nodi chiave del dibattito sul futuro della Politica di Coesione
La Politica di Coesione è “la promessa che tutti gli europei sono uguali” e “speranza trasformata in azione”. Queste le parole della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e della commissaria alla Coesione e alle Riforme, Elisa Ferreira, in apertura della nona edizione del Cohesion Forum, un appuntamento chiave per discutere del futuro dei fondi strutturali europei post 2027 e di come la Politica di Coesione dovrà cambiare, anche alla luce dell'esperienza PNRR, per diventare più efficace. Le questioni al centro del dibattito.
Bruxelles pubblica la nona relazione sulla Politica di Coesione
Il Cohesion Forum arriva a due settimane di distanza dalla pubblicazione della nona relazione sulla Politica di Coesione, che ha messo in fila successi e limiti dell'attuale assetto, definendo chiaramente i termini del dibattito. La Coesione dovrà andare incontro a un processo di riforma se vorrà replicare con i risultati alle critiche dei suoi detrattori e dare risposte concrete alle sfide che l'Unione ha di fronte e che, con il processo di allargamento in corso, dovranno tenere conto anche delle necessità dei nuovi paesi aderenti.
Ma in Italia l'appuntamento di Bruxelles arriva anche nella stessa settimana in cui il Governo italiano approva il DEF 2024, il Documento di economia e finanza che ha, tra i suoi allegati, anche un'analisi dell'andamento dei cicli della Coesione 2014-2020 e 2021-2027. Analisi da cui emerge un quadro affatto roseo. Per quanto riguarda la vecchia programmazione, limitandosi alla sola quota di risorse europee, alla data del 31 dicembre 2023 l’avanzamento delle certificazioni registrato è pari al 61,2% per i Programmi Operativi Nazionali, mentre i Programmi operativi regionali arrivano a quota 84,3%. Quanto alla nuova, che copre il periodo 2021-2027 ma che nei fatti è entrata nel vivo solo la scorso anno, dato che i Programmi sono stati approvati dalla Commissione europea nel corso del 2022, al 31 dicembre 2023 i progetti attivati valgono appena 4,8 miliardi di euro, il 6,5% della dotazione complessiva.
Numeri che sottolineano ancora una volta l'importanza di adottare misure per semplificare la gestione dei programmi, accelerare l'assorbimento dei fondi e l'erogazione dei finanziamenti ai beneficiari finali, in parallelo al necessario aumento di efficacia e impatto della spesa.
La traduzione concreta di questi obiettivi sulla carta facilmente condivisibili è però un campo minato. Un esempio tra tutti è la proposta di legare l'erogazione dei fondi ai risultati. Per alcuni responsabilizzerebbe chi programma e gestisce i fondi europei; per altri rischia di aumentare la rigidità dei programmi, dopo che gli ultimi anni hanno dimostrato l'importanza di un uso flessibile dei fondi strutturali. E c'è anche chi teme che un abbandono troppo repentino dell'attuale sistema di rendicontazione dei costi, se non accompagnato da un adeguato sistema di audit e controllo, possa facilitare le frodi ai danni del bilancio UE.
La Coesione continua a funzionare come motore di convergenza
Punto di partenza del Cohesion Forum dell'11 e 12 aprile è la nona relazione sulla Politica di Coesione pubblicata il 28 marzo dalla Commissione europea. Una relazione che conferma il ruolo chiave della Politica di Coesione a sostegno dello sviluppo di lungo termine, come evidenziato dalla presidente dell'Esecutivo UE. “Ogni anno, oltre il 10% degli investimenti pubblici nell'Unione europea è costituito da fondi di Coesione e negli Stati membri che stanno recuperando terreno rispetto alla media europea i Fondi di Coesione rappresentano oltre la metà degli investimenti pubblici”, sottolinea Ursula von der Leyen, ricordando che “il reddito pro capite nei Paesi che hanno aderito all'Unione nel 2004 è passato “da circa la metà della media UE a quasi l'80% di oggi”.
La Coesione è quindi il motore di quella “macchina per la convergenza” che è l'Unione europea, per usare l'espressione della Banca mondiale ricordata dalla commissaria Elisa Ferreira, che si conferma necessaria perché l'integrazione economica, monetaria e politica, così come ogni politica che l'Unione decide di armonizzare, ha “un impatto asimmetrico sui diversi territori” e “non possiamo affidarci alle forze del mercato per garantire un'automatica ed equa distribuzione dei benefici di questo enorme mercato con tutti i suoi liberi movimenti”.
D'altra parte, rileva nel suo intervento il commissario per l'Occupazione, Nicolas Schmit, mercato unico e coesione “sono le due facce della stessa medaglia, servono a creare un'Europa forte basata sulla solidarietà”. E sull'equità, perchè - aggiunge - “non ci potrà essere nessuna transizione se i benefici non saranno distribuiti equamente”.
Allo stesso tempo la Politica di Coesione è stata il primo strumento che l'UE ha potuto mobilitare per far fronte alla pandemia, rendendo possibile una ripresa post Covid ben più accelerata di quella sperimentata dopo la crisi finanziaria del 2008: per molte regioni meno sviluppate, la ripresa dalla crisi finanziaria ha richiesto oltre un decennio, mentre la maggior parte delle regioni si è ripresa dallo shock economico della pandemia nel giro di un anno, ha ricordato solo pochi giorni fa nel suo ultimo dibattito in commissione REGI al Parlamento europeo la commissaria Ferreira.
I divari territoriali persistono nonostante i fondi europei
Ma nonostante questi risultati, il nono Rapporto sulla Coesione rileva anche che rimangono molte sfide. In Europa più di una persona su quattro (28%) vive ancora in regioni con un PIL pro capite inferiore al 75% della media UE e la convergenza a livello nazionale non è sempre accompagnata da una convergenza tra i grandi centri urbani e il resto del Paese.
Alcune regioni mancano ancora di infrastrutture di base e alcune aree - quelle remote, rurali o ultraperiferiche - hanno difficile accesso a servizi essenziali, come la sanità o l'istruzione. Molte regioni sono bloccate in trappole dello sviluppo, spesso caratterizzate da mancanza di opportunità e fuga di cervelli. Una sconfitta per l'Unione, perché, come sottolineato nel suo intervento dal presidente dell’istituto Delors, Enrico Letta, abbiamo diritto alla libera circolazione ma dovremmo avere anche il diritto di restare là dove siamo.
Anche la disoccupazione giovanile e l'incidenza dei NEET (giovani che non lavorano né sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione) rimangono una sfida significativa e, nello stesso tempo, mancano manodopera e competenze in diversi settori. Un problema che i cambiamenti demografici aggraveranno ulteriormente, anche perchè la migrazione netta non compensa più la crescita naturale negativa. Questo richiederà un'accelerazione degli aumenti di produttività, cui la Coesione dovrà contribuire stimolando nuovi investimenti.
Le proposte sul tavolo per la Politica di Coesione 2028-2034
Perché la Coesione assolva a tutti questi compiti servono, osserva la commissaria Ferreira, nuovi metodi e strumenti “più semplici, snelli e facili da usare, una maggiore attenzione alle riforme”, anche traendo ispirazione dallo Strumento di ripresa e resilienza. A patto, avverte la commissaria, di non limitarci “a copiare parti da altre parti”. “I metodi devono essere adattati alle esigenze specifiche e all'identità della Politica di Coesione, in particolare al suo approccio placed-based”. E se spirito di partenariato e governance multilivello sono nel Dna della Coesione e non vanno trascurati, decisiva diventa, per Ferreira, “la capacità amministrativa, la qualità delle istituzioni”.
Dalla nona relazione sulla Politica di Coesione, e dal report del gruppo di esperti che l'ha preceduta, emergono diverse indicazioni per progettare il ciclo dei fondi strutturali europei 2028-2034 che, dopo la due giorni del Forum, nei prossimi mesi saranno al centro del dibattito.
La prima è che, pur confermando il focus sulle regioni meno sviluppate - attualmente il 70% del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo Plus è destinato a queste regioni nell'ambito dei programmi 2021-2027 - occorrerà prestare più attenzione anche alle dinamiche di sviluppo delle altre regioni, affrontando i problemi prima che diventino radicati e aiutando le regioni che si trovano, o che rischiano di trovarsi, nelle trappole dello sviluppo.
A questo punto si lega anche la constatazione che spesso lo sviluppo economico subnazionale è caratterizzato da una forte polarizzazione tra grandi centri, da una parte, e aree a minore densità di popolazione, dall'altra. Le prime attraggono più investimenti e capitale umano e offrono maggiori servizi ai cittadini, ma “la loro attrattiva ha un prezzo: una maggiore congestione, sfide sociali e costi abitativi che, insieme a un aumento dei costi salariali, possono minare la loro competitività”. Le città piccole e medie, invece, rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo territoriale, ma sono spesso carenti di servizi pubblici e privati e di opportunità di lavoro e di istruzione. La Coesione dovrebbe allora promuovere “un modello di sviluppo più policentrico”, si legge nella Comunicazione che accompagna il nono rapporto.
In terzo luogo, dal momento che le regioni non sono attrezzate in modo uniforme per affrontare le sfide emergenti, il sostegno della Coesione ai differenti percorsi di sviluppo dovrebbe essere più mirato, place-based e incentrato sulle esigenze specifiche dei vari contesti. L'esperienza del Just Transition Fund e, ancora prima, quella delle Strategie di specializzazione intelligente indicano che è possibile adattare ulteriormente la Politica di Coesione ai profili economici, sociali e geografici dei territori.
Questo richiede un rafforzamento di principio di partenariato e governance multilivello, sulla scia dei modelli già sperimentati, come il Community-led local development (CCLD) o gli investimenti territoriali integrati, che però a sua volta chiama ad un miglioramento della capacità amministrativa degli attori locali. La nona relazione rileva che le carenze in termini di governance e di capacità sono ancora molto diffuse. E se l'attuale sostegno della Politica di Coesione, attraverso l'assistenza tecnica, colma per lo più le lacune di capacità nella gestione dei fondi europei, occorre un approccio più ambizioso e completo per affrontare le debolezze delle amministrazioni nazionali e regionali, nonché dei beneficiari e dei partner, ad esempio combinando un supporto tecnico su misura con requisiti di riforma in alcuni settori.
Le riforme, in generale, sono un nodo chiave da affrontare secondo la relazione. Le condizioni abilitanti, si legge, stabiliscono un quadro uniforme utile ad aumentare l'efficacia degli investimenti della Politica di Coesione. Allo stesso tempo, l'applicazione di queste condizioni attraverso un insieme comune di requisiti stabiliti nel quadro normativo può limitarne l'adattabilità alle esigenze specifiche degli Stati membri, che tra l'altro si evolvono nel tempo. Senza dimenticare che collegare lo sblocco dei fondi alla realizzazione delle riforme rischia di penalizzare i governi locali per i ritardi di processi che spesso fanno capo alle autorità nazionali.
La riflessione su come strutturare il legame tra investimenti e riforme chiama in causa anche una rielaborazione dell'eredità del Recovery and Resilience Facility (RRF) e dei PNRR, esperienza cui si guarda anche relativamente all'ipotesi di adottare il modello basato sui risultati anche nella Coesione, in maniera più estensiva rispetto a quanto fatto finora con il FSE e il FSE+.
Un primo interrogativo è però se legare l'erogazione dei pagamenti al raggiungimento dei risultati (anziché al rimborso dei costi sostenuti) possa effettivamente ridurre gli oneri amministrativi o se non li complichi, introducendo ulteriori rigidità. E a questo si legano due rilievi già sollevati dalla Corte dei Conti europea. Il primo, affrontato dalla relazione sul quadro di monitoraggio della performance dell’RRF dell'ottobre 2023, è che l'attuale sistema misura i progressi compiuti nell’attuazione, ma solo in parte le effettive performance dell’RRF. Milestone e indicatori si concentrano sulle realizzazioni, ma queste sono solo una componente dei risultati e non sono sufficienti a misurare gli impatti.
Il secondo, segnalato dalla Corte già a marzo dello scorso anno con la relazione n. 7/2023, riguarda la debolezza del sistema di audit e controllo pensato per il Recovery, che in assenza di informazioni centralizzate e standardizzate non previene adeguamente irregolarità e frodi ai danni degli interessi finanziari dell'Unione. Un tema non trascurabile e che proprio oggi, alla luce della maxi frode da 600 milioni di euro ai danni del PNRR italiano smascherata dall’Ufficio della procura europea dopo un'inchiesta internazionale che ha condotto ad arresti in Italia, Austria, Romania e Slovacchia, è sul tavolo dei ministri dell'Economia dell'Unione riuniti nell'Ecofin.
Per approfondire: Recovery e Politica di Coesione: ispirazione o sostituzione per il post 2027?