Etica e concorrenza nella liberalizzazione delle professioni
Anche i grandi quotidiani, negli articoli di fondo, hanno preso ad affrontare il tema delle liberalizzazioni; e, per le circostanze connesse, quello dell’etica. Nel programma che l’attuale governo si appresta a realizzare, la usuale distinzione fra poteri “forti” e quelli “diffusi” da liberalizzare non trova ingresso: quel che conta è che nel brevissimo periodo si materializzerà finalmente il concetto di tutela della concorrenza. Secondo i piani prestabiliti, residueranno agli ordini professionali solo la custodia dell’etica e della deontologia degli associati; il risultato è che questi si vedranno obbligati ad abbandonare la presa sulle tariffe e su altre questioni economiche.
Visibili e ben definiti i progetti e la loro realizzazione, a questo punto. Come professionisti, tuttavia, vale la pena di mettere qualche puntino sulle i, solo al fine di aver bene chiaro in mente quali siano gli scenari che si vanno disegnando. E di non essere presi per i fondelli.
La prima valutazione, quella più larga, attiene al concetto di tutela della concorrenza. Guardando alle misure in generale, e in attesa di leggere la normativa di dettaglio, indossando gli occhiali del fruitore finale è immediatamente intuibile che, dall’apertura delle riserve di caccia, non possono che discendere grandi vantaggi: coloro che vengono ritenuti affidabili per la fornitura di quel determinato sevizio ne effettueranno l’erogazione, secondo proprie modalità organizzative, con benefici di qualità e di prezzo. Altrimenti, borbotta fra sé e sé il nostro consumatore finale, cambio bottega e vado da un altro che ha prezzi più bassi e che mi offre anche il caffè.
La costruzione dell’ipotesi governativa appare lineare; le eventuali obiezioni sono tutte di immediata e diretta declinabilità, tanto che anche i tassisti meno alfabetizzati hanno imparato a citarle a menadito. Sotto questo aspetto la partita, almeno per alcuni grandi ordini professionali, è già perduta.
Appaiono distorti e distorsivi, però, tanto il sentiero con il quale l’obiettivo sarà raggiunto quanto la giustificazione che ne viene data dai media.
Il segmento di mercato degli adempimenti amministrativi e fiscali, per esempio, è stato fiutato dalle banche, che sono riuscite ad ottenere di saltare a pie’ pari la questione della libera concorrenza, riscrivendo in un colpo solo le norme di tenuta delle scritture contabili e la standardizzazione dei processi. Pronte a lanciare i propri CAF per dichiarazioni e contabilità semplificate.
La sensazione è che i poteri forti non desiderino avere sul territorio, come competitors, la miriade di braccianti telematici – soggetti peraltro incapaci di organizzare un seppur timido sciopero, neppure a tutela dei propri interessi - depositari ad oggi della conoscenza e dell’astrusità delle norme fiscali.
Evidentemente, in quella nicchia, si avverte il pericolo. Nell’ottica delle grandi corporations e dei poteri forti, quel segmento è occupato da soggetti non controllabili, in grado di chiedere un parcella per il loro lavoro, senza dover dire grazie a nessuno; in più efficaci ed economici, quindi bravi: avere tra le scatole questi esseri pensanti, avvezzi alla soluzione di questioni complesse, tecnici veri quindi, sparpagliati nei loro uffici, significa avere un più largo terreno di discussione, un maggior passaggio di idee, anche una democrazia diffusa.
Vivendo di concorrenza vera, e non di quella fasulla creata con un tratto di penna, sembrerebbe importante, almeno a chi scrive, evitare di concentrare il potere di controllo in pochi grandi palazzi.
Appare invece singolare fare la conta dei media, schierati tutti apertamente sull'argine opposto, quello della ulteriore gloria dei grandi istituti bancari.
Il secondo tema attiene alla bella favola che gli ordini devono badare solo all'etica dei propri associati: si sostiene da più parti che il controllo delle tariffe (e dei minimi) deve essere sottratto agli ordini professionali, perché questi non sono un sindacato.
I principi etici, lo abbiamo detto più volte e senza dover scomodare pensatori importanti e trattati filosofici, rappresentano la regola delle regole. Sono i primi insegnamenti, quelli che fanno scattare i campanelli d’allarme, quelli che ci dovrebbero essere stati insegnati da bambini: vale a dire la percezione di ciò che deve o non deve essere fatto, in quanto istintivamente e immediatamente si avverte che la mancata azione positiva, o la realizzazione di quella negativa, rappresenti un danno per la comunità a cui apparteniamo o per coloro che ci sono vicini, lavorativamente e non.
Il principio etico, rappresentando il primo e più facilmente avvertibile segnale di sopravvivenza, è riconoscibile in maniera chiara e inequivocabile, proprio come una struttura architettonica fondante. Come quest’ultima, se è universalmente condivisa, non ha bisogno di abbellimenti; se stride con il nostro modo di sentire, non si possono apporre orpelli apposti per renderla più digeribile.
Gli ordini professionali, quali puri guardiani dell’etica, non hanno motivo di esistere; quella cultura già ci appartiene, nella stragrande maggioranza dei casi: le mele marce sono sempre esistite. Purtroppo solo a quelle guardano coloro che ci vogliono togliere di mezzo.
La maggioranza dei professionisti fatica a percepire il messaggio; anche i più attenti non sanno come comportarsi. Il mondo è cambiato, bisogna prenderne atto e trovare soluzioni alternative.
E’ intollerabile, però, subire la beffa delle parole. Lo zuccherino della sopravvivenza di ordini svuotati delle proprie competenze, visto che il lavoro verrà svolto da strutture sotto il controllo dei poteri forti, è semplicemente ridicolo.
Prima di essere ridotti a scimmie ammaestrate, converrà a noi professionisti, portatori del sapere diffuso e della circolazione delle idee e dei dibattiti, invocare l’autodistruzione degli ordini professionali.
* Luigi Troiani, Dottore Commercialista