Gli stakeholder italiani sulla revisione della politica commerciale UE
C’è tempo fino al 15 settembre per partecipare alla consultazione sulla revisione della politica commerciale UE. Tra le prime richieste che arrivano dagli stakeholder italiani ci sono: un ruolo globale più forte dell’UE, clausole su lavoro e sostenibilità per una competizione internazionale più fair e la riforma del WTO.
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Nel corso della digital conference “Trade Policy Review. La revisione delle politiche commerciali UE dopo il Covid-19” promossa dalla Commissione europea in Italia, gli stakeholder italiani hanno illustrato le priorità su cui - a loro avviso - andrebbe aggiornata la politica commerciale UE.
Un’anticipazione, insomma, di quelli che dovrebbero essere i contributi che aziende, banche e sindacati invieranno alla Commissione, nell’ambito della consultazione pubblica sulla revisione della politica commerciale dell’Unione, che resterà aperta fino al 15 settembre.
Perchè l’UE ha bisogno di una nuova politica commerciale?
Come illustrato da Antonio Parenti, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione, la consultazione lanciata a metà giugno prende il via da due macro aspetti che hanno caratterizzato il 2020: da un lato il Covid-19 (che ha messo in evidenza alcune fragilità delle catene globali del valore) e dall’altro la nuova Commissione UE che ha messo al centro del proprio mandato la lotta ai cambiamenti climatici e la transizione verso un modello produttivo green e digital.
A questi si aggiungono una serie di processi in atto da tempo e che impongo ormai un adeguamento della politica commerciale UE ad uno scenario internazionale sempre più segnato da:
- Le guerre commerciali (USA- Cina, ma in parte anche USA-UE);
- L'indebolimento dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO);
- Un sistema sempre più pervasivo di finanziamento pubblico alle imprese da parte di alcuni stati (Cina in primis);
- L’importanza crescente degli accordi commerciali bilaterali.
Un mix esplosivo, insomma, di vecchi e nuovi fenomeni, che hanno portato Bruxelles a voler sviluppare un nuovo modello di politica commerciale basata su quella che è stata definita la “Open strategic autonomy”. Tradotta in italiano, suonerebbe più o meno come “l'autonomia strategica basata sull’apertura dei mercati”. In buona sostanza si tratta di una strategia che mira a tenere assieme e a bilanciare: da un lato l’indipendenza dell’UE sulle filiere strategiche e dall’altro la tutela del commercio internazionale. Un’autonomia produttiva europea, insomma, che però resta stabilmente ancorata ai mercati internazionali.
In tale contesto la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica sulla revisione della politica commerciale che consiste in 13 domande, incardinate su sei punti:
- Una maggiore resilienza interna ed esterna ed una leadership globale dell’UE;
- Un sostegno forte alla ripresa e alla crescita socio-economica;
- Un maggior sostegno alle PMI;
- Il supporto alla transizione ecologica e ad un commercio più sostenibile;
- Il sostegno alla transizione digitale e allo sviluppo tecnologico;
- Una maggiore capacità di assicurare parità di condizioni alle imprese europee, sia nel mercato interno che al fuori dall’UE.
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Un ruolo più forte dell’UE nel mondo
Da industriali, sindacati e banche arriva la richiesta unanime di un ruolo più forte dell’Unione europea nel mondo, dentro cui far confluire la politica commerciale che - a questo punto - dovrebbe diventare un vero e proprio tassello della politica estera UE.
Sia i lavoratori che le imprese, infatti, hanno ben chiaro che in un mondo dominato da superpotenze, gli stati europei hanno bisogno delle dimensione europea per sopravvivere, l’unica capace di assicurare una massa critica adeguata per la competizione.
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Gli accordi commerciali bilaterali e la riforma del WTO
Visioni più sfumate, invece, emergono sul fronte della crescente importanza degli accordi commerciali bilaterali, in un quadro che vede in crisi il WTO e con esso il multuraletarlimo.
Per Marco Felisati, vice direttore affari internazionali e politica commerciale di Confindustria, e Antonio Franceschini, Responsabile Ufficio Promozione e Mercato Internazionale - CNA Nazionale, infatti, è fondamentale proseguire con decisione sull’agenda bilaterale, considerata come il miglior antidoto contro il protezionismo.
Più cauti, invece, i sindacati. Nonostante i risultati positivi degli accordi bilaterali finora siglati per l’export italiano, infatti, secondo Tiziana Bocchi (UIL) e Andrea Cuccello (CISL) la strada maestra deve restare il multilateralismo. Gli sforzi, quindi, andrebbero concentrati sulla riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Dello stesso parere anche Elisabetta Falchi, Vice Presidente della Giunta esecutiva Confederale di Confagricoltura. Pur riconoscendo gli effetti positivi degli accordi bilaterali anche per l'agroalimentare italiano, infatti, gli agricoltori continuano comunque a ritenere che questi accordi possano essere rischiosi per il settore. Per questo serve, invece, rafforzare il multilateralismo, al cui interno si possano avviare accordi bilaterali.
La tutela del lavoro
UIL e CISL pongono l’accento sul lavoro - sia in Europa che nei paesi terzi - e della sua connessione con le catene globali del valore (CGV). Nella revisione delle regole del commercio internazionale, infatti, secondo i sindacati va posta maggiore attenzione al valore delle persone e del lavoro su cui invece, in questi anni, si è assistito ad una corsa al ribasso su salari e tutele.
Un fenomeno dannoso per il Made in Italy, sia per il depauperamento proprio di quelle maestranze che hanno reso i prodotti italiani famosi nel mondo, sia sul fronte della contrazione della domanda interna, su cui invece andrebbero operate politiche di rilancio.
L’obiettivo, dunque, dovrebbe essere quello di una governance sistemica delle politiche commerciali, capace di operare contemporaneamente su più fronti attraverso:
- L’inserimento negli accordi commerciali di clausole più stringenti sul tema lavoro, anche come arma anti-dumping a tutela dei prodotti europei;
- Una maggiore integrazione tra i fattori che influenzano il commercio internazionale, inclusa l’integrazione delle politiche fiscali in quelle sulla globalizzazione;
- Una maggiore trasparenza verso i consumatori, per metterli nelle condizioni di capire la qualità e la sostenibilità di un prodotto, anche sul fronte del rispetto del lavoro.
D’accordo CNA che, anche sulla base del peso delle piccole imprese nell’export italiano (il 58,3% delle imprese esportatrici ha meno di 9 addetti), pone chiaramente l'accento sulla costruzione di un sistema internazionale più aperto, ma anche più equo.
Più scettica Confindustria che, pur riconoscendo la rilevanza del tema, paventa il rischio paralisi degli accordi commerciali, laddove li si trasformasse in un’agenda negoziale aperta a tutta la società civile, stravolgendone le finalità. Bene quindi il rispetto di clausole sul lavoro, ma la strada è il rafforzamento delle organizzazioni internazionali a ciò preposte e non la trasfigurazione di uno strumento commerciale che, anche volendo, non sarebbe capace di risolvere i problemi del mondo.
La sostenibilità
Discorso analogo al tema “lavoro” è quello sollevato da Confagricoltura sul fronte sostenibilità.
Anche in questo caso, infatti, la parola chiave dovrebbe essere quella di “reciprocità”, cercando di imporre ai paesi terzi gli stessi standard ambientali a cui sono sempre più soggette le imprese europee.
Se così non fosse, l'opportunità di crescita e innovazione rappresentata dalla rivoluzione green, si trasformerebbe in un boomerang in termini di competizione, con le imprese europee soggette a vincoli e costi di produzione molto più alti rispetti ai competitor.
La richiesta, quindi, è quella di inserire nel WTO e negli accordi commerciali, clausole stringenti sulla sostenibilità, in modo da tutelare sia l'ambiente, sia la competitività delle imprese europee.
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Le pre-condizioni per competere sui mercati internazionali
Ma una nuova politica commerciale non può esimersi dall'affrontare anche i temi che stanno a monte del processo di internazionalizzazione e che riguardano la crescita economica e la competitività delle imprese. Ne è convinta Annalisa Guidotti, Direttore relazioni esterne ed internazionalizzazione di Confapi, focalizzandosi su tre aspetti:
- La necessità - soprattutto sul fronte italiano - di liberarsi di quei fardelli come la burocrazia, l'eccessivo carico fiscale e gli ostacoli agli investimenti esteri, che da troppo tempo gravano sul tessuto produttivo;
- L’urgenza di una nuova politica industriale, capace di accompagnare le imprese lungo il percorso dell’innovazione e della digitalizzazione;
- La formazione di imprenditori e lavoratori sui nuovi elementi indispensabili per restare competitivi.
Senza queste pre-condizioni, infatti, la competitività delle imprese sui mercati esteri è minata all’origine.
Il mercato dei capitali
Ma se si parla di crescita, un ruolo fondamentale è rappresentato dall’accesso al credito, linfa vitale per la competitività delle imprese. Per questo Paolo Garonna, Segretario generale del FeBAF, focalizza l’attenzione sulla Capital Market Union, sottolineando come la liberalizzazione commerciale e quella finanziaria dovrebbero andare di pari passo.
Brexit, USA e Africa
Le altre richieste e valutazione che arrivano, infine, sono quelle di:
- Evitare a tutti i costi un no-deal sulla Brexit, che avrebbe risultati distrasi per l’export italiano;
- Fermare ad ogni costo ogni forma di escalation con gli USA, cercando di rivitalizzare l’accordo sui beni industriali, al centro dell’incontro al vertice del luglio 2019.
Ma oltre alle relazioni con il Regno Unito e con gli Stati Uniti, sia CNA che Confapi sollevano anche il fronte “Africa”, invitando l’UE a rafforzare i rapporti con il continente africano, sia come soluzione al tema “migrazioni”, sia per ridurre ‘influenza della Cina in un’area vicino all’UE e sia, infine, per le interessanti opportunità di crescita per le nostre imprese.
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