Investimenti su piattaforme di P2P Lending: chiarimenti delle Entrate
Rispondendo a due interpelli, l’Agenzia delle Entrate chiarisce alcune questioni in materia di tassazione di finanziamenti e proventi da peer to peer lending.
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In sostanza, il Fisco afferma che il gestore non autorizzato dalla Banca d’Italia non effettua la ritenuta e che, se la ritenuta non è operata, il provento finisce nel reddito imponibile del finanziatore.
Nella prima risposta, n. 168, una società italiana, intenzionata a gestire una piattaforma online di Peer to Peer Lending – finalizzata alla raccolta di capitali da parte di soggetti professionali e non per sostenere lo sviluppo di progetti di tecnologia digitale applicata ai servizi finanziari, proposti da imprese, enti pubblici e privati – in qualità di gestore e agente di un Istituto di pagamento francese con cui autorizzerà le varie transazioni, chiede se, in merito ai capitali gestiti ed erogati, può operare come sostituto d’imposta ed effettuare la ritenuta prevista dall’articolo 1, comma 44, legge n. 205/2017.
Nel secondo interpello, il n. 169, invece, è il contribuente finanziatore che vuole sapere come tassare (anche ai fini dell’Ivafe) i proventi ricevuti attraverso una società di gestione estera che, non essendo autorizzata dalla Banca d’Italia, non ha effettuato la prevista ritenuta.
P2P Lending: chiarimenti delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate ricorda innanzitutto che la legge n. 205/2017 ha introdotto alcune novità sulla disciplina fiscale relativa alle attività di raccolta ed erogazione fondi da parte di soggetti che svolgono l'attività del Peer to Peer Lending, con riferimento a una specifica tipologia di finanziatori non professionali, ossia le persone fisiche non esercenti attività d'impresa.
In particolare, ha accolto tra i redditi di capitale “i proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di Peer to Peer Lending) gestite da società iscritte all'albo degli intermediari finanziari o da istituti di pagamento autorizzati dalla Banca d'Italia”.
Inoltre ha stabilito che tali gestori “operano una ritenuta alla fonte a titolo di imposta sui redditi di capitale corrisposti a persone fisiche”, applicando l’aliquota del 26% (attualmente prevista dall’articolo 3, comma 1, del Dl n. 66/2014).
Quindi, ai fini dell'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sui proventi derivanti da investimenti su piattaforme di P2P lending, è necessario che:
- il finanziatore sia una persona fisica, al di fuori dell'esercizio di un’attività d'impresa;
- il gestore della piattaforma debba essere un intermediario finanziario iscritto all’albo o un istituto di pagamento ai sensi della normativa prevista dagli articoli 106 e 114 del Tub, autorizzato dalla Banca d'Italia.
Ciò risponde al primo quesito: la società istante, infatti, non essendo un intermediario finanziario iscritto all’albo né un istituto di pagamento, autorizzati dalla Banca d'Italia, non può applicare la ritenuta prevista dall’articolo 1, comma 44 della Legge di Bilancio 2018 sugli interessi erogati attraverso la piattaforma online in relazione ai finanziamenti di Peer to Peer Lending.
Per quanto riguarda, invece, la seconda istanza, preso atto che la ritenuta non è stata giustamente operata dal gestore estero, l’Agenzia osserva che i proventi derivanti all’investimento effettuato dall’istante possono essere considerati redditi di capitale da ricondurre nella categoria degli “gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti” da indicare nella dichiarazione annuale, ai fini della formazione della base imponibile Irpef.
Con riferimento, infine, all'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (Ivafe), dovuta, nel caso in esame, perché l’investimento possiede il requisito della "negoziabilità" nel mercato dei capitali ed è quindi un “prodotto finanziario”, il contribuente dovrà versarla nella misura del 2 per mille da applicare al valore rapportato alla quota di possesso e al periodo di detenzione.