Aiuti di Stato: UE chiede all'Italia di mettere fine alle esenzioni fiscali a favore dei porti
La Commissione europea ha chiesto all'Italia di abolire le esenzioni dall'imposta sulle società di cui beneficiano i porti italiani allo scopo di allineare il regime fiscale nazionale alle norme UE in materia di aiuti di Stato.
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I porti degli Stati membri sono in concorrenza tra loro e la Commissione si è impegnata a garantire condizioni concorrenziali eque in questo importante settore economico. Le autorità portuali svolgono attività di tipo sia economico che non economico:
- le attività non economiche, quali le attività di sicurezza e di controllo del traffico marittimo o di sorveglianza antinquinamento, rientrano solitamente nell'ambito di competenza delle autorità pubbliche. Queste attività di servizio pubblico sono escluse dal campo di applicazione delle norme UE in materia di aiuti di Stato;
- lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture portuali – ad esempio la concessione dell'accesso al porto a fronte di un pagamento – costituisce invece un'attività economica. A questo secondo tipo di attività si applicano le norme UE in materia di aiuti di Stato.
L'esenzione dall'imposta sulle società per i porti che realizzano profitti da attività economiche rappresenta un vantaggio competitivo sul mercato interno e pertanto comporta un aiuto di Stato che potrebbe essere incompatibile con la normativa dell'UE.
L'eliminazione dei vantaggi fiscali ingiustificati non significa che i porti non possano più ricevere contributi statali: gli Stati membri hanno numerose possibilità di sostenerli nel rispetto delle norme UE in materia di aiuti di Stato, ad esempio al fine di conseguire gli obiettivi dell'Unione nel settore dei trasporti o di realizzare i necessari investimenti infrastrutturali che non sarebbero possibili senza l'intervento pubblico.
Nel maggio 2017 la Commissione ha semplificato le regole che disciplinano gli investimenti pubblici nei porti. In particolare, ha esteso l'ambito di applicazione del regolamento generale di esenzione per categoria agli investimenti non problematici nei porti.
Grazie a tale modifica gli Stati membri possono investire fino a 150 milioni di euro nei porti marittimi e fino a 50 milioni nei porti interni nella piena certezza giuridica e senza previo controllo della Commissione.
Il regolamento autorizza ad esempio le autorità pubbliche a coprire le spese di dragaggio dei porti e delle relative vie di accesso. Inoltre, le norme dell'UE consentono agli Stati membri di compensare i porti per i costi sostenuti nello svolgimento di compiti di servizio pubblico (i cosiddetti "servizi di interesse economico generale").
Bruxelles chiede all'Italia di mettere fine alle esenzioni fiscali a favore dei porti
Nel gennaio 2019 la Commissione ha invitato l'Italia ad adeguare la legislazione nazionale per assicurare che i porti pagassero l'imposta sugli utili generati dalle attività economiche allo stesso modo delle altre imprese attive sul suo territorio, in linea con la normativa UE sugli aiuti di Stato. A novembre dello scorso anno Bruxelles ha avviato un'indagine approfondita volta ad accertare il fondamento delle sue preoccupazioni iniziali sulla compatibilità delle esenzioni fiscali concesse ai porti italiani con le norme sugli aiuti di Stato dell'UE.
Al termine della sua valutazione la Commissione ha concluso che l'esenzione dall'imposta sulle società conferisce ai porti italiani un vantaggio selettivo, violando così le norme UE in materia di aiuti di Stato.
Nello specifico, l'esenzione non persegue un chiaro obiettivo di interesse pubblico, ad esempio la promozione della mobilità o del trasporto multimodale, mentre le autorità portuali possono usare il risparmio d'imposta che ne deriva per finanziare qualunque tipo di attività o sovvenzionare i prezzi praticati dai porti ai clienti, a scapito dei loro concorrenti e della concorrenza leale.
La decisione della Commissione precisa che se le autorità portuali realizzano profitti grazie alle loro attività economiche, questi dovrebbero essere soggetti all'imposizione ordinaria prevista dalla normativa fiscale italiana per evitare distorsioni della concorrenza.
Il dialogo tra la Commissione e le autorità italiane prosegue. Ora l'Italia deve adottare le misure necessarie ad abolire l'esenzione, in modo da garantire che dal 1º gennaio 2022 a tutti i porti si applichino le stesse norme fiscali che valgono per le altre imprese; l'Italia e la Commissione continueranno a confrontarsi in modo costruttivo al riguardo.
Dal momento che risale a prima del 1958, anno in cui il trattato è entrato in vigore in Italia, questa misura è considerata un "aiuto esistente": la decisione odierna non impone pertanto all'Italia di recuperare l'imposta sul reddito delle società che non è stata versata in passato.
“Siamo impegnati a risolvere il tema della tassazione senza penalizzare il sistema della portualità italiana e chiedendo tutta la flessibilità necessaria per valorizzare al massimo le attività con una valenza pubblica svolte dai porti. A breve arriveremo a una proposta da formalizzare alle Autorità Europee in accordo con tutti gli attori del settore”, ha dichiarato la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli.
“L’economia del mare e la piena valorizzazione dei nostri scali marittimi è uno dei capisaldi strategici del piano infrastrutturale “Italia Veloce” per il rilancio del nostro Paese. Abbiamo già stanziato importanti finanziamenti per sostenere i porti nella crisi causata dalla pandemia e una quota rilevante di risorse del Recovery Fund verrà destinata al sistema portuale per far compiere un salto di qualità, nella direzione della competitività e dell’ammodernamento infrastrutturale”, aggiunge De Micheli.
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