A che punto sono i negoziati sulla Brexit?
Con l’azione legale avviata ieri da Bruxelles, lo scontro UE-UK sulla Brexit raggiunge un nuovo livello che rischia di toccare anche l’accordo di pace del Venerdì Santo. Ma in generale, a pesare sui negoziati, è la sostanziale volontà inglese di mantenere i vantaggi del mercato unico, senza però gli obblighi che da essi derivano.
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Giovedì la Commissione europea ha avviato un’azione legale contro il Regno Unito per aver violato gli obblighi assunti con l’accordo di recesso di quasi un anno fa. A scatenare la reazione di Bruxelles è stato il progetto di legge “Internal Market Bill” presentato dal governo inglese e che, se adottato, violerebbe quanto deciso sui confini irlandesi.
Ma i motivi dello stallo negoziale sulla Brexit - di cui l’azione legale è per ora solo l’ultimo degli sviluppi - risiedono nella generalizzata volontà del governo di Boris Johnson di avere sostanzialmente mano libera su tutta una serie di capitoli cruciali per un’equa competizione tra le due sponde della Manica.
Cosa prevede l’Internal Market Bill
Lo scorso 9 settembre il governo Johnson ha presentato al parlamento inglese un progetto di legge chiamato "United Kingdom Internal Market Bill" che stabilisce le regole per il funzionamento del mercato interno del Regno Unito - commercio tra Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord - dopo la fine del periodo di transizione della Brexit, se non si dovesse arrivare ad un accordo tra Bruxelles e Londra.
I punti controversi del testo sono tre:
- La proposta di non imporre nessun nuovo controllo sulle merci in transito dall'Irlanda del Nord alla Gran Bretagna;
- La proposta di dare ai ministri inglesi il potere di modificare o "disapplicare" le regole relative alla circolazione delle merci che entreranno in vigore dal 1 ° gennaio 2021, se il Regno Unito e l'UE non saranno in grado di raggiungere un accordo alternativo attraverso un accordo commerciale;
- Il potere di annullare gli obblighi precedentemente concordati in materia di aiuti di Stato a sostegno delle imprese.
Nel presentare l’accordo i ministri inglesi - pur riconoscendo che il testo viola il diritto internazionale - hanno affermato che esso rappresenta una "rete di protezione" nel caso in cui l'Unione decidesse di interpretare l'accordo di recesso in modo "estremo e irragionevole", soprattutto per quanto riguarda l'Irlanda del Nord.
A Londra, infatti, non piace quella parte dell’accordo di recesso, che assicura confini “leggeri” tra l’Irlanda e l’ULSTER. L’accordo infatti stabilisce che l'Irlanda del Nord continuerà a seguire alcune norme dell'UE, rendendo superflui i controlli alle frontiere.
Questo significa però che le merci inglesi che arrivano in Irlanda del Nord dal resto del Paese (Inghilterra, Scozia e Galles) dovranno essere controllate per garantire che siano conformi agli standard dell'UE.
Una decisione presa a suo tempo anche a garanzia dell’accordo di pace del Venerdì Santo e che adesso, con l’Internal Market Bill, viene messo potenzialmente a rischio. Tanto che nelle settimane passate era intervenuta anche la speaker democratica americana della Camera, Nancy Pelosi, avvertendo che, se l'Internal Market Bill dovesse violare l'accordo di pace - di cui gli USA furono garanti- Washington non firmerà nessun accordo di libero scambio con il Regno Unito, dopo la Brexit.
Cosa prevede l’azione legale dell’UE contro Londra?
In tale contesto, nelle settimane passate, la Commissione europea aveva chiesto a Londra di ritirare il progetto di legge. Richiesta vane tanto che, il 1° ottobre, Bruxelles ha inviato una “lettera di costituzione in mora” del Regno Unito che adesso ha un mese di tempo per rispondere.
L’azione legale europea è stata possibile perché l’Internal Market Bill viola l’articolo 5 dell’accordo di recesso che vieta qualsiasi misura che possa mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi concordati e impone alle parti di “collaborare in buona fede nell'adempimento dei compiti derivanti dall'accordo di recesso”.
Cose che Londra, con il progetto di legge, non ha evidentemente fatto.
Gli altri “no” di Londra che bloccano l’UE
Il negoziato sulla Brexit è in stallo però da mesi. Nonostante infatti alcuni progressi maturati nei round negoziali, a pesare sul tavolo delle trattative restano altri tre punti cruciali, oltre a quello irlandese. Ad elencarli a inizio settembre è stato lo stesso capo negoziatore europeo, Michel Barnier.
Il primo è il rifiuto del Regno Unito di impegnarsi su garanzie credibili per una concorrenza aperta e leale. “Qualsiasi partenariato commerciale ed economico, tra economie così vicine e interconnesse come la nostra, deve includere meccanismi solidi e credibili per evitare distorsioni commerciali e vantaggi competitivi sleali”, aveva spiegato infatti Barnier. Parliamo soprattutto di aiuti di stato e standard ambientali e lavorativi, entrambi capaci di distorcere in modo significativo la concorrenza.
C’è poi il capitolo “pesca” e infine la riluttanza inglese a includere nel futuro accordo “qualsiasi significativo meccanismo orizzontale di risoluzione delle controversie”.
“Il governo del Regno Unito - secondo Barnier - sta ancora cercando di mantenere i vantaggi dell'UE e del mercato unico, senza obblighi”.
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Prepararsi ad una Brexit senza accordo
Con il negoziato sempre più teso, le imprese europee devono attrezzarsi per evitare di restare schiacciate in una situazione che vedrà comunque diventare il Regno Unito, dal 1 gennaio 2021, un paese terzo.
Per aiutare le imprese è intervenuto infatti anche l’ICE che ha predisposto una serie di guide pratiche per le aziende italiane che hanno relazioni imprenditoriali con il Regno Unito.
Dossier che affrontano temi come i regimi doganali e tariffari oppure le etichettature.