Reti di Impresa: aumentano PMI che si aggregano
Fra il 2014 e il 2015, il numero delle imprese che hanno sottoscritto contratti di rete è cresciuto del 34%, toccando quota 2.348
A fornire la fotografia del settore, lo studio condotto da RetImpresa di Confindustria con la Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome e in collaborazione con Gfinance Gruppo Impresa, presentato a Expo, nel corso della IV giornata nazionale delle reti d’impresa.
Reti di impresa: cosa, quante e dove sono
Il decreto-legge n. 5 del 10 febbraio 2009, convertito dalla legge 33/2009, ha introdotto la formula giuridica del contratto di rete, vale a dire un contratto stipulato da più imprenditori con lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato.
A tal fine gli imprenditori si impegnano a collaborare in forme e in ambiti predeterminati e attinenti all’esercizio delle proprie imprese sulla base di un programma comune, scambiandosi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ed esercitando insieme una o più attività che rientrino nell’oggetto della propria impresa.
Il “contratto di rete”, introdotto nell’ordinamento dal dl n. 5-2009, è stato poi modificato dal dl n. 78-2010 che ha anche istituito un incentivo fiscale in favore delle imprese che vi aderiscono, sia per originaria sottoscrizione, sia per adesione successiva.
Lo studio presentato a Expo analizza i dati forniti da Infocamere nel rapporto relativo al numero di contratti di rete stipulati fra il 3 settembre 2014 e il 3 settembre di quest'anno: dai 1.752 dello scorso anno si è passati a 2.348 contratti di rete nel settembre 2015, segnando un +34%. In totale sono 11.879 le imprese coinvolte.
Presenti su tutto il territorio nazionale, le imprese fanno rete soprattutto in Lombardia (con 2.299 aziende che hanno stipulato un contratto di questo tipo), Emilia-Romagna (1.257) e Toscana (1.167).
Quanto ai settori, spicca il manifatturiero, con il 29% delle reti censite, seguito dalle attività scientifiche e tecniche (11%) e dalle costruzioni (10%). Di rilievo anche il peso delle reti nei settori agricoltura e pesca (9%) e nei servizi di informazione e comunicazione (7%).
Il ruolo dei finanziamenti pubblici
A dare ancor meglio il polso della situazione, i dati relativo alla crescita graduale, ma costante, dei contratti nel corso degli anni: se nel settembre 2011 (a un anno dal varo delle agevolazioni) erano 135, nel 2012 i contratti di questo tipo sono quasi triplicati, toccando quota 394, per poi raddoppiare nel 2013 (1.134).
“La crescita delle reti è ormai una ruota che gira da sola, un fenomeno che non deve nulla alla politica. La diffusione del contratto di rete non è una conseguenza del finanziamento pubblico. Le reti si creano perché rappresentano un modello di aggregazione vincente per le imprese”, dichiara il vicepresidente di Confindustria Aldo Bonomi.
Lo studio, presentato a Expo e i cui dati sono stati anticipati da La Repubblica, rileva che mentre fra il 2010 e il 2013 il 40% delle reti avevano ottenuto finanziamenti pubblici, allargando la rilevazione al periodo compreso fra il 2010 e il 2014 la percentuale è scesa al 34%.
Ad ogni modo, precisa Bonomi, non c'è dubbio che gli incentivi pubblici abbiano facilitato e facilitino lo sviluppo delle reti.
Lo studio precisa, in effetti, che fra il 2010 e il 2014 hanno beneficiato di un finanziamento regionale 648 reti e circa 3mila imprese: complessivamente si tratta di 122 milioni di euro erogati nell’arco di un quinquennio a maggioranza nella forma di contributi a fondo perduto, pari al 50% dell’investimento complessivo. Dal 2013 al 2014, inoltre, si registra un aumento dei finanziamenti, da 25 a 27 milioni di euro. Contemporaneamente sale il valore medio delle agevolazioni a favore delle reti.
Dunque, nel 2014 vengono supportati progetti più ambiziosi riducendo così la dispersione delle risorse, e gli incentivi pubblici si indirizzano verso obiettivi strategici ben definiti. I bandi per le reti sono infatti destinati per il 40% ai progetti di ricerca e innovazione, per il 30% allo sviluppo aziendale e per il 22% all’internazionalizzazione.
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