Pratiche commerciali sleali: Garante Concorrenza, direttiva da migliorare
I dubbi sollevati dall'Autorità garante della Concorrenza sulla proposta di direttiva UE in materia di pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare, durante un'audizione al Senato.
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La proposta di Direttiva presentata dalla Commissione europea “potrebbe rendere meno efficace il contrasto e la repressione delle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare e determinare la rapida obsolescenza del testo normativo in questione”. Lo ha spiegato, durante un'audizione in commissione Agricoltura al Senato, il Segretario generale dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Filippo Arena.
L'Autorità è da tempo impegnata sul tema, ha spiegato Arena, ricordando le istruttorie avviate a fine settembre nei confronti dei principali operatori nazionali della Grande Distribuzione Organizzata (Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan e Carrefour) per verificare la sussistenza di una presunta pratica sleale a danno delle imprese di panificazione, cioè l’imposizione ai fornitori di pane fresco dell’obbligo di ritirare e smaltire a proprie spese l’intero quantitativo di pane acquistato dalla GDO ma non venduto a fine giornata, con un conseguente trasferimento sul contraente più debole del rischio commerciale dell’invenduto.
La proposta della Commissione UE
Annunciata nel programma di lavoro della Commissione per il 2018, la proposta di Direttiva intende migliorare il funzionamento della filiera alimentare e proteggere gli agricoltori sul mercato vietando pratiche commerciali ritenute sleali, quali i pagamenti tardivi per i prodotti alimentari deperibili, la cancellazione degli ordini all'ultimo minuto, le modifiche unilaterali o retroattive ai contratti e l'obbligo imposto al fornitore di pagare per gli sprechi.
Altre pratiche, ad esempio quelle per cui l'acquirente restituisce a un fornitore i prodotti alimentari invenduti o impone al fornitore un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura relativo a prodotti alimentari, sarebbero invece ammesse solo se soggette ad un accordo iniziale tra le parti chiaro e privo di ambiguità.
La proposta della Commissione impone agli Stati membri di designare un'autorità pubblica responsabile di garantire l'applicazione delle nuove norme e di avviare indagini autonomamente o sulla base di denunce, anche anonime, e, in caso di accertata violazione, di imporre sanzioni proporzionate e dissuasive.
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La posizione dell'Autorità garante della concorrenza
Il Garante condivide la proposta di armonizzare, almeno in parte, la disciplina delle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare a livello UE, in modo da garantire una tutela minima ai produttori di fronte a pratiche che in molti casi non possono essere contrastate efficacemente a livello nazionale senza il rischio di alterare la concorrenza tra imprese che operino in diversi Paesi dell’Unione.
Il testo presentato dalla Commissione, però, presenta diversi punti deboli.
Il primo, ha spiegato Arena, riguarda “la scelta di definire il campo di applicazione della Direttiva prescindendo dall’accertamento dello squilibrio significativo nel potere di mercato e di valersi invece di un sistema di presunzioni suscettibile di determinare per un verso importanti lacune di tutela, e per altro verso ingiustificati automatismi”.
Nella proposta della Commissione, infatti, l’ambito di applicazione del divieto fa riferimento a tutte le pratiche commerciali sleali adottate in relazione alla compravendita di prodotti agroalimentari tra un fornitore che sia una PMI e un acquirente che non sia una PMI. In questo modo si prescinde dalla verifica in concreto di una situazione di soggezione economica da parte di uno dei contraenti e si va ad equiparare la situazione contrattuale di tutte le PMI, nonostante le differenze tra la media impresa con decine di dipendenti e un volume di affari nell’ordine di centinaia di milioni di euro e il piccolo produttore agricolo che gestisce una impresa familiare.
L'Autorità propone quindi una diversa formulazione dell'ambito di applicazione della direttiva, che farebbe così riferimento alle “pratiche commerciali sleali adottate nelle relazioni economiche tra gli operatori della filiera agroalimentare connotate da un significativo squilibrio nel rispettivo potere di mercato”.
In secondo luogo, manca una definizione generale di pratiche commerciali sleali, a cui le autorità competenti possano fare riferimento per valutare nuove condotte sospette. L'Esecutivo UE propone infatti una “lista nera” di pratiche vietate e una “lista grigia” di condotte lecite solo quando costituiscano l’oggetto di un accordo chiaro ed inequivoco, espresso al momento della conclusione del contratto. In questo modo, però, osserva Arena, si indebolisce la proposta e si limita la capacità del testo legislativo di adattarsi a nuove evoluzioni dei mercati interessati.
Suscita dubbi anche la proposta di porre come autorità competente a intervenire solo quella dello Stato membro in cui è stabilito l’acquirente sospettato di aver attuato una pratica commerciale sleale. In molti casi, infatti, le prove dell’infrazione possono verificarsi nel Paese del soggetto che ha subito la pratica commerciale sleale e in cui l’acquirente ha una presenza stabile.
Infine, ha concluso Arena, andrebbero rafforzati i meccanismi di cooperazione transfrontaliera tra le autorità competenti, superando il vincolo della riservatezza e autorizzandole ad adottare misure investigative o decisorie o a scambiarsi informazioni confidenziali.
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