Fondo innovazione - idee per attivare gli investimenti
Per non disperdere lo slancio positivo proveniente dalla nascita del Fondo nazionale innovazione e attrarre davvero investimenti, soprattutto esteri, serve porre attenzione a una serie di fattori: dalla governance al segmento che tali investimenti dovranno intercettare.
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Una serie di appunti arrivano dagli esperti del settore, impegnati ad indicare al Governo come canalizzare le energie, e le risorse tutt’altro che irrisorie, del Fondo nazionale innovazione. Ma facciamo un momento un passo indietro.
Cos'è e come funziona il Fondo Nazionale Innovazione
"Di partenza mettiamo un miliardo, ma con gli sgravi fiscali puntiamo a raggiungere due miliardi. Bisogna che tutto il sistema lavori insieme per far lavorare i venture capital italiani e attrarre quelli stranieri", ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio annunciando la nascita del Fondo Nazionale Innovazione.
Il Fondo sarà un soggetto (SGR) multifondo che potrà investire in Fondi di Venture Capital o direttamente in startup e PMI innovative, e convoglierà risorse ed investimenti su settori strategici come Intelligenza Artificiale, Blockchain, Nuovi Materiali, Spazio, Healthcare, EcoIndustries, AgriTech/Foodtech, Mobilità, Fintech, Design/Made in Italy, Social Innovation.
In base alle recenti ricostruzioni, il miliardo annunciato da Di Maio dovrebbe ottenersi sommando una serie di voci: circa 400 milioni saranno risorse pubbliche pre-esistenti, già oggi in capo a Invitalia Sgr, 110 milioni (in 7 anni) provenienti da fondi statali stanziati con la Manovra 2019 e risorse almeno pari al contributo statale, quindi 510 milioni totali, dovranno essere apportate progressivamente dalla CDP, che metterà in campo più investimenti diretti che investimenti in altri fondi. Cassa depositi e prestiti, inoltre, avrà il diritto di opzione per acquisire da Invitalia il 70% della società di gestione del risparmio Invitalia Sgr.
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Una rivoluzione copernicana cui occorre una governance efficace
La somma di tutte le misure presentate dal Governo è una vera e propria rivoluzione copernicana nella creazione d’impresa italiana, scrive su Agenda Digitale Gianmarco Carnovale, tra i pionieri dell’innovazione sulla scena romana e presidente di Roma Startup.
“Si abbandona la via del debito, verso la quale erano state forzosamente ed indebitamente spinte le startup fino ad oggi attraverso il fondo di garanzia del MiSE ed i prestiti a medio termine di Invitalia Smart&Start, e si opera per decuplicare la massa di investimenti in venture capital operati nel paese, che tra il Fondo Nazionale per l’Innovazione e i soldi a leva che verranno scaricati sulle imprese, passerà velocemente ad almeno 2 miliardi di euro di investimenti annui”.
Gli fa eco Paolo Anselmo, presidente dell’associazione IBAN, sempre dalle colonne di Agenda Digitale: “Le iniziative del Governo in tema di venture capital e sostegno alle startup vanno nella giusta direzione e saranno un importante volano per le imprese innovative, ma ora occorre mettere in piedi la governance della cabina di regia per eseguire il piano operativo in modo trasparente, efficace e partecipativo.
Business angel: serve un riconoscimento ufficiale. O no?
Per farlo, occorre avvalersi di competenze specifiche, aggiunge Anselmo. Quelle degli stakeholder e degli addetti ai lavori, o meglio di chi da sempre lavora sul campo “per dare sostegno alle startup in termini di finanza, mentorship e sviluppo dell’innovazione”.
I business angel, per intenderci: sarebbe “necessario riuscire a definire dei criteri per qualificare questa mentorship fornita dai business angels, per andare oltre al solo ammontare di equity, e ‘validare’ oggettivamente gli investitori, in grado di dare un valore aggiunto (non solo economico) alle startup”.
“Abbiamo sempre sostenuto che è fondamentale dare un riconoscimento giuridico alla professione di business angel in modo da avvicinare imprenditori già di successo e manager all’ecosistema dell’angel investing, vera cerniera di connessione tra PMI e startup. Il tutto per mettere a fattore comune le competenze. Ad esempio, favorendo programmi di formazione degli investitori, con un’ottica anche internazionale”, conclude Anselmo.
“Il vero vantaggio dell’aver ufficializzato la figura”, sottolinea Carnovale, “è quello di poter andare a proporre loro degli investimenti senza ricadere nel reato della sollecitazione del pubblico risparmio, ma al momento non avranno vantaggi fiscali particolari se non il godere – come tutti i piccoli investitori – della nuova percentuale di incentivo fiscale sugli investimenti, portata al 40%”.
Secondo Michele Costabile, professore ordinario di Management e Marketing nell'Università LUISS “Guido Carli” di Roma, la proliferazione di certificazioni, come l’ipotizzato registro dei business angel, non sempre è un bene.
“I censimenti sono utili ma sono ‘foto spontanee’ non ‘foto in posa’ e quindi vanno progettati come tali, altrimenti sono rappresentazioni distorte della realtà. I dati sul bassissimo tasso di fallimento delle startup innovative registrate al MISE e quelli sull’ancora più basso tasso di successo nella raccolta di capitali dello stesso database generano legittimi dubbi su cosa si stia fotografando. Insomma il rischio di rappresentare un soggetto ‘fotoshoppato’, che non produce effetti reali è elevato. E di percorsi da tanto rumore per nulla ne abbiamo già avuti”, scrive su EconomyUp.
Occorre attirare investitori dall’estero
“Il collo di bottiglia, in questo scenario, diventano gli operatori del venture capital: i 15 micro VC esistenti non sono neanche lontanamente in grado di gestire ed investire ogni anno una simile massa, per cui la prossima mossa del Governo dovrà necessariamente passare per attrarre dall’estero un elevato numero di investitori internazionali di primo e secondo livello, in grado di portare nel paese quelle buone pratiche in grado di farci fare davvero il salto di qualità che gli imprenditori di questo paese attendono e meritano da troppo tempo”, sottolinea ancora Carnovale.
Indirizzare bene gli investimenti
Un appello corale è quello, piuttosto ovvio, di non disperdere le risorse. Un miliardo è un bel gruzzolo, ma se non indirizzato nelle giuste operazioni di investimento, è l’ennesimo buco nell’acqua.
Come suggeriva nel corso dell’evento romano VentureUp Carlo Mammola, ad del Fondo italiano d’investimento, gli investimenti dovranno presidiare un settore finora scoperto del mercato italiano, quello del late stage: “un presidio domestico per facilitare le scaleup ad affacciarsi sul mercato ed interfacciarsi con gli investitori” esteri, così da far affluire sul nostro sistema fondi di provenienza internazionale assicurando allo stesso tempo la stabilizzazione di queste imprese nel nostro Paese.
Una richiesta che viene anche dal presidente di Italia Startup Angelo Coletta. Il Governo dovrebbe cioè porre attenzione a due fasi importanti nello sviluppo delle startup/scaleup, “quelle più scoperte quanto a investimenti nel processo di crescita delle imprese innovative, relativamente all’ecosistema italiano: la fase pre-seed e seed (fino a 300/500mila euro per singolo investimento), chiedendo di impegnare almeno il 20/25% dell’investimento pubblico previsto; e la fase di Series B (oltre i 10 milioni di investimento) con un impegno di almeno il 10/15% dello stanziamento previsto”.
Il sostegno agli investimenti nella fase seed, aggiunge, “può essere attuato anche dalle cosiddette SIS (Società di Investimento Semplice), tolte dalla Legge di Semplificazione per motivi tecnici e che sarebbe molto opportuno attivare quanto prima”.