Il Rapporto Draghi al Parlamento UE, focus su integrazione. Accoglienza variegata
Dopo avere ripercorso le tre linee strategiche del suo rapporto (il gap di innovazione con USA e Cina; un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività; e una nuova attenzione ai temi della sicurezza e indipendenza), al Parlamento europeo Mario Draghi ha puntato l’attenzione sulla necessità di integrazione e su quella di fare oggi scelte coraggiose per evitare la marginalizzazione dell’Europa in futuro. Variegata la risposta dei parlamentari europei, divisi tra i sostenitori del rapporto, gli euroscettici e quelli contrari a politiche che parlano di competitività e non di sociale.
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
È questo, in buona sostanza, il risultato della tappa del rapporto Draghi al Parlamento europeo. Nell’intervenire dall’emiciclo, l’ex premier italiano ed ex presidente della BCE ha ripercorso sinteticamente i tre settori d’azione del suo rapporto (innovazione, energia e sicurezza) inserendoli all’interno di uno scenario globale in rapido cambiamento e sollecitando l’Europa a cambiare drasticamente e rapidamente.
"La mia preoccupazione non è che ci troveremo improvvisamente poveri e sottomessi agli altri, abbiamo ancora molti punti di forza in Europa, ma è che col tempo diventeremo inesorabilmente un posto meno ricco, meno equo, meno sicuro e che, di conseguenza, saremo meno liberi di scegliere il nostro destino", ha affermato Draghi. "L’Unione europea esiste per assicurare che i suoi valori fondanti (democrazia, pace, prosperità, ambiente sostenibile) siano sempre rispettati. Se l’Europa non potrà garantire più questi valori per i cittadini, perderà la propria ragione di essere.
Perciò questa relazione non parla solo di competitività, ma del nostro futuro. Le sfide dell’Europa sono complesse e richiedono scelte difficili che dovremo affrontare. L'obiettivo del rapporto - ha quindi sottolineato Draghi - è delineare una strategia per l'Europa per cambiare rotta, indicando le priorità su cui concentrarsi, spiegando i trade off, i pro e contro e offrendo soluzioni pragmatiche".
Molto variegata l’accoglienza da parte dei parlamentari europei. Da un lato i sostenitori dell’analisi e della strategia presentate nel rapporto, a cominciare dalla necessità di completare l’Unione dei capitali e quella bancaria. Dall’altro le posizioni dei partiti di destra euroscettici che concordano sull'analisi di Draghi relativamente alle ragioni della debolezza europea (lette come riflesso dell'ideologia ambientalista e di sinistra), ma arrivano a conclusioni diametralmente opposte a quelle del rapporto: cioè la necessità di “meno Europa” e più nazioni. Infine, gli europarlamentari di molti partiti di sinistra, scettici su alcune direzioni proposte dal rapporto come l'aumento del debito comune per realizzare grandi progetti congiunti, mentre contemporaneamente ritorna in vigore il Patto di stabilità (che impone politiche di austerity a detrimento delle fasce più deboli della popolazione), o l’aumento delle spese nel settore della difesa.
Posizioni molto distanti tra loro che mettono un'ipoteca pesante sulla capacità di attuare le strategie delineate dal rapporto, che lo stesso Draghi ritiene possibile solo se portata avanti su una piattaforma di ampio consenso democtrico, lontano da ricette tecnocratiche.
E questo nonostante le parole conclusive, molto serie, dell’ex presidente della BCE. “Sono fiducioso che si riuscirà a trovare un consenso, anche perché le alternative sono molto tetre”, ha affermato Draghi. "L'Europa si trova di fronte ad una scelta", dopo che le soluzioni trovate in questi anni (da un lato la paralisi, dall’altro l’uscita dall’UE, vedi la Brexit) non hanno dato i risultati sperati. "L'integrazione è l’unica speranza che rimane”, ha affermato Draghi, sottolineando l’importanza che tutti capiscano “che la dimensione della sfida attuale va al di là delle dimensioni delle singole economie nazionali” e che la posta in gioco, nel mondo attuale, non è solo di "perdere la pace, ma anche la libertà”.
In attesa di vedere quali saranno i prossimi step del Rapporto Draghi, ecco una sintesi dei suoi contenuti più importanti.
Rapporto Draghi: le cause profonde del rallentamento della crescita europea
Negli ultimi decenni l’Europa ha assistito al rallentamento della crescita, valutandolo “come un inconveniente, ma non come una calamità”, scrive Draghi nel rapporto.
Finora a tenere alto l’umore, se così si può dire, erano stati una serie di indicatori e fattori (come l’aumento dell’export, la riduzione della disoccupazione, l’incremento della presenza delle donne nel mondo del mercato, etc) che hanno dato la sensazione di trovarsi, in ogni caso, all'interno di un trend di crescita complessivo, nonostante il divario con gli Stati Uniti stesse aumentando.
Su tutto ha giocato a favore anche un contesto globale sostanzialmente favorevole, segnato da un lato dal normalizzarsi delle relazioni con la Russia, diventato in breve il più importante fornitore energetico del nostro continente. Dall’altro, la costante presenza dello scudo difensivo USA che di fatto, in questi decenni, ha permesso all’UE e ai suoi paesi membri di allocare budget molto ridotti nel settore difesa, a favore di altri comparti che hanno beneficiato di tali risorse.
“Ma le fondamenta su cui abbiamo costruito stanno ora vacillando. Il precedente paradigma globale sta svanendo. L’era della rapida crescita del commercio mondiale sembra essere passata, e le aziende dell’UE si trovano ad affrontare sia una maggiore concorrenza dall’estero che un minore accesso ai mercati esteri. L’Europa ha perso bruscamente il suo più importante fornitore di energia, la Russia”, si legge nel rapporto.
Un brusco risveglio che mette sotto la luce del sole le fragilità intrinseche del nostro modello di crescita, a cominciare da quella che per Mario Draghi è una, se non la più importante, criticità che ora ci troviamo ad affrontare: la costante perdita di produttività, rispetto agli USA, soprattutto a causa della partita persa nel campo della tecnologia.
“Il divario di produttività tra l’UE e gli Stati Uniti è in gran parte spiegato dal settore tecnologico”, si legge nel rapporto, con l’UE che è troppo debole in quelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura.
“Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.
L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente”.
Per raggiungere tali obiettivi, il rapporto stima che servano 750-800 miliardi di euro di investimenti supplementari ogni anno, il che portano Draghi a due conclusioni.
Da un lato la sicurezza che, in caso di attuazione della strategia presente nel rapporto, il risultato sarà l’aumento della produttività europea a cui dovrebbe seguire una maggiore risposta da parte del mercato dei capitali, il che permetterà al settore privato di finanziare maggiormente e più facilmente la propria quota di investimenti.
Dall’altra la consapevolezza che alcuni investimenti congiunti in progetti fondamentali (come la ricerca di frontiera, le reti e gli appalti per la difesa) saranno fondamentali per il futuro dell’Unione e che tali progetti potranno essere finanziati solo da investimenti pubblici per i quali è necessario un debito comune. Un tema che l’ex presidente della BCE sa essere molto scottante, ma sul quale - nel suo discorso al parlamento europeo del 17 settembre - Draghi interviene nel modo seguente. Per quanto sia comprensibile e legittimo nutrire paure sull’idea di debito comune. è importante notare che parliamo di un debito che non serve per le spese generali o i sussidi. La sua finalità è attuare obiettivi che abbiamo concordato e se qualcuno non è d'accordo con la costruzione di un vero mercato unico, con l’integrazione del mercato dei capitali e con l’emissione del debito comune, allora non è d'accordo neanche con gli obiettivi europei".
L'obiettivo del Rapporto Draghi
Come già accennato, il Rapporto sulla competitività di Mario Dagh identifica tre aree principali di intervento per rilanciare la crescita:
- la necessità di colmare il divario di innovazione con USA e Cina;
- la promozione di un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività;
- il sostegno all’aumento della sicurezza e alla riduzione delle dipendenze.
Per ognuna di esse, il Rapporto non si limita a fornire un’analisi di contesto. Il suo obiettivo è piuttosto quello “di delineare una nuova strategia industriale per l’Europa per superare queste barriere”, presentando “una serie di proposte per ripristinare la forza competitiva dell’UE”.
Proposte che “non sono da intendersi come aspirazioni”, dal momento che “la maggior parte di esse sono pensate per essere attuate rapidamente”, si legge nel documento.
Rapporto Draghi: colmare il divario di innovazione con USA e Cina
La prima area di intervento per assicurare un futuro di prosperità e crescita per l'Europa, le sue imprese e i suoi cittadini è la necessità di riorientare profondamente gli sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate.
La realtà che ci troviamo davanti è messa nero su bianco da una serie di dati e numeri, a cominciare dl seguente: in Europa non abbiamo “nessuna azienda con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro che sia stata creata da zero negli ultimi cinquant’anni, mentre tutte le sei aziende statunitensi con una valutazione superiore a 1.000 miliardi di euro sono state create in questo periodo”.
“Il problema - prosegue il report - non è che l’Europa manchi di idee o di ambizione. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurre l’innovazione in commercializzazione e le aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive”.
Con il mondo che si trova sull’orlo di una rivoluzione AI, l’Europa non può permettersi di rimanere bloccata nelle “tecnologie e industrie di mezzo” del secolo precedente.
Da qui partono una serie di analisi e raccomandazioni piuttosto concrete. Tra queste una particolarmente rilevante - anche per la sua tempistica, che arriva all’alba del dibattito sul frutto bilancio pluriennale - è quella che richiede che l’Europa migliori le condizioni per l'innovazione rivoluzionaria, affrontando le debolezze dei suoi programmi comuni per R&I.
In tale contesto, il rapporto Draghi raccomanda ad esempio di riformare il prossimo programma quadro per R&I dell'UE in termini di focus, allocazione del budget, governance e capacità finanziaria:
- In primo luogo, il programma dovrebbe essere riorientato su un numero inferiore di priorità concordate di comune accordo;
- In secondo luogo, una quota maggiore dell'allocazione del budget dovrebbe essere destinata al finanziamento dell'innovazione dirompente. In tale contesto lo European Innovation Council (EIC) dovrebbe essere riformato per diventare una vera e propria "agenzia di tipo ARPA", che supporti progetti ad alto rischio con il potenziale di fornire progressi tecnologici rivoluzionari;
- In terzo luogo, la governance del programma dovrebbe essere gestita da project manager e da persone con comprovata esperienza alla frontiera dell'innovazione e, per massimizzare l'accesso per le giovani aziende innovative, i processi di candidatura dovrebbero essere più rapidi e meno burocratici;
- in quarto luogo, l'organizzazione del programma dovrebbe essere riprogettata e semplificata per diventare più basata sui risultati ed efficiente;
- Infine, subordinatamente alle riforme, il bilancio del nuovo programma quadro dovrebbe essere raddoppiato, arrivando a 200 miliardi di euro ogni 7 anni.
L'Europa, inoltre, dovrebbe rendere più facile per gli "inventori diventare investitori" e facilitare l'espansione delle iniziative di successo. A tal fine il rapporto raccomanda una serie di misure per supportare la transizione dall'invenzione alla commercializzazione in Europa:
- In primo luogo, per superare le barriere burocratiche nelle università e negli istituti di ricerca per la gestione dei diritti di proprietà intellettuale con i loro ricercatori, si raccomanda un nuovo modello per una condivisione equa e trasparente delle royalty;
- In secondo luogo, per ridurre i costi di domanda per le giovani aziende e offrire una protezione uniforme della proprietà intellettuale, si propone di adottare il brevetto unitario in tutti gli Stati membri dell'UE;
- In terzo luogo, l'UE dovrebbe effettuare una valutazione d'impatto approfondita dell'effetto della regolamentazione digitale e di altro tipo sulle piccole aziende, con l'obiettivo di escludere le PMI dalle normative che solo le grandi aziende sono in grado di rispettare;
- Infine, l'UE dovrebbe sostenere una rapida crescita all'interno del mercato europeo dando alle start-up innovative l'opportunità di adottare un nuovo statuto giuridico a livello di UE (“Innovative European Company”). Questo status fornirebbe alle aziende un'unica identità digitale valida in tutta l'UE e riconosciuta da tutti gli Stati membri, permettendo loro di avere accesso ad una legislazione armonizzata in materia di diritto societario e insolvenza, solo per citarne alcuni.
Ma non solo. Il Rapporto Draghi elenca anche una serie di altri interventi, molto concreti, in aree come:
- la necessità di avere un migliore ambiente di finanziamento per l'innovazione dirompente, per le start-up e le scale-up, mediante la rimozione delle barriere alla loro crescita all'interno dei mercati europei;
- la riduzione dei costi di distribuzione dell'AI, mediante l'aumento della capacità di calcolo da raggiungersi attraverso ad un ricorso più massiccio alla propria rete di computer ad alte prestazioni;
- la necessità di promuovere il coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare l'integrazione dell'IA nell'industria europea
- la necessità di facilitare il consolidamento nel settore delle telecomunicazioni per fornire tassi più elevati di investimento nella connettività.
Oltre ad intervenire sul fronte dell'innovazione, il rapporto aggiunge anche che una parte centrale dell’agenda dovrà essere incentrata anche sulla necessità di fornire agli europei le competenze necessarie per trarre vantaggio dalle nuove tecnologie, in modo che tecnologia e inclusione sociale vadano di pari passo.
Per approfondire: Dall'IA ai semiconduttori, il ruolo della digitalizzazione nel Rapporto Draghi
Rapporto Draghi: tenere insieme la rivoluzione green e la competitività
La seconda area di azione è un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività.
“Se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita”, scrive Draghi nel rapporto.
Su questo fronte, l’Europa deve ridurre i prezzi elevati dell’energia proseguendo al contempo il processo di decarbonizzazione e di transizione a un’economia circolare.
Secondo Draghi, dal momento che “la transizione energetica sarà graduale e i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo centrale nella determinazione dei prezzi dell’energia per il resto di questo decennio, con una conseguente continua minaccia di volatilità dei prezzi per gli utenti finali”, l’UE dovrà “elaborare una strategia coerente per tutti gli aspetti della decarbonizzazione, dall’energia all’industria”.
Rapporto Draghi: non esiste competitività senza sicurezza
In terzo luogo, l’Europa deve reagire a un mondo geopolitico meno stabile, in cui le dipendenze stanno diventando vulnerabilità e non si può più contare su altri soggetti per la propria sicurezza.
I decenni di globalizzazione hanno prodotto un elevato livello di “interdipendenza strategica” tra le principali economie, aumentando i costi di un rapido svincolamento. Ma questo equilibrio globale sta cambiando: tutte le principali economie stanno cercando attivamente di ridurre l’interdipendenza e di aumentare il proprio margine di azione indipendente. Data la sua elevata apertura commerciale, l’Europa sarà particolarmente esposta in caso di accelerazione di queste tendenze.
“I Paesi dell’UE stanno già rispondendo a questo nuovo contesto con politiche più assertive, ma lo fanno in un modo frammentato che mina l’efficacia collettiva”, si legge nel report. “Il ricorso a interventi di politica industriale è in aumento in tutte le economie avanzate. Ma l’efficacia di queste politiche in Europa è ostacolata da tre principali problemi di coordinamento.
In primo luogo, manca il coordinamento tra gli Stati membri. Politiche nazionali non coordinate spesso portano a notevoli duplicazioni, standard incompatibili e mancata considerazione delle esternalità.
In secondo luogo, manca il coordinamento tra gli strumenti di finanziamento. Mentre l’UE spende collettivamente una grande quantità di denaro per i suoi obiettivi industriali, gli strumenti di finanziamento sono suddivisi secondo le linee nazionali e tra gli Stati membri e l’UE. E questa frammentazione ostacola la scalabilità.
Infine vi è una mancanza di coordinamento tra le varie politiche. Oggi le politiche industriali – come quelle degli Stati Uniti e della Cina – comprendono strategie multi-politiche, che combinano politiche fiscali per incentivare la produzione interna, politiche commerciali per penalizzare i comportamenti anticoncorrenziali all’estero e politiche economiche estere per garantire le catene di approvvigionamento”.
Ma collegare le politiche in questo modo richiede un alto grado di coordinamento che l’UE, a causa del suo processo decisionale lento e disaggregato, è meno in grado di assicurare. Il risultato è un processo legislativo con un tempo medio di 19 mesi per approvare nuove leggi, dalla proposta della Commissione alla firma dell’atto adottato – e prima ancora che le nuove leggi vengano attuate negli Stati membri.
Per approfondire: Rapporto Draghi, necessarie più risorse e coordinamento per difesa e spazio
Rapporto Draghi: l’Unione europea deve cambiare profondamente
Le sfide tracciate nel rapporto e gli interventi da attuare richiedono un cambio di passo molto marcato e molto celere sia dell’UE, sia dei suoi stati membri.
Nonostante “il momento difficile per il nostro continente, scrive Draghi, “dovremmo abbandonare l’illusione che solo la procrastinazione possa preservare il consenso.
Affinché la strategia delineata in questo rapporto abbia successo, dobbiamo iniziare con una valutazione comune della nostra posizione, degli obiettivi a cui vogliamo dare priorità, dei rischi che vogliamo evitare e dei compromessi che siamo disposti a fare”.
Il tutto garantendo che “le nostre istituzioni democraticamente elette siano al centro di questi dibattiti” perché “le riforme possono essere veramente ambiziose e sostenibili solo se godono di un sostegno democratico”.
Consulta il Rapporto Draghi sulla competitività
Photocredit: European Union, 2022 | Photographer: Christophe Licoppe