Il rispetto del principio DNSH negli interventi PNRR: il vademecum del MASE

Foto di Art-x A.I artxai da PixabayIl MASE ha pubblicato un vademecum sul rispetto del principio DNSH (“non arrecare un danno significativo” all'ambiente) negli interventi PNRR, con particolare attenzione all’obiettivo di adattamento ai cambiamenti climatici. Il rispetto del principio DNSH è infatti necessario affinché i soggetti attuatori delle misure PNRR del MASE svolgano correttamente il lavoro di implementazione e monitoraggio degli interventi senza causare impatti negativi agli obiettivi ambientali dell’UE.

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A redigere il vademecum “Il principio DNSH e l’analisi dei rischi climatici nel PNRR” è stata la DG Coordinamento e Gestione Progetti (COGESPRO) dell’Unità di Missione PNRR del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), che ha il compito di fornire supporto tecnico ai soggetti che devono attuare le misure PNRR del ministero. 

Il documento, infatti, fornisce indicazioni operative e metodologiche per lo svolgimento dell’analisi dei rischi climatici fisici ai quali può essere esposto un intervento. Tale analisi rientra fra le verifiche richieste per garantire la conformità di ogni misura PNRR al principio DNSH e, in particolare, all’obiettivo dell’adattamento ai cambiamenti climatici, volto ad assicurare il maggior grado possibile di resilienza dell’opera ai rischi climatici fisici (quali siccità, alluvioni, ondate di calore, terremoti).

Prima di illustrare il tema centrale del documento - cioè l’attività di analisi e valutazione dei rischi climatici negli interventi PNRR - è opportuno inquadrare il principio DNSH, così come è stato formulato nell’ambito del Regolamento sulla Tassonomia dell’UE (Regolamento UE 2020/852). 

Il principio DNSH

Il principio “non arrecare un danno significativo” all’ambiente - anche noto con l’acronimo DNSH dall’inglese “Do No Significant Harm” - nasce dalla volontà di coniugare le politiche di sviluppo con la tutela dell’ecosistema, garantendo che gli investimenti finanziati con le risorse europee siano realizzati senza pregiudicare il patrimonio ambientale e in vista del raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo. 

A questo scopo il Regolamento (UE) 241/2021, che istituisce il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF - Recovery and Resilience Fund), dispone che possano essere finanziate, nell’ambito dei Piani Nazionali per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), soltanto le misure che rispettino il principio “non arrecare un danno significativo” agli obiettivi ambientali. 

D’altra parte, tale principio ha lo scopo di valutare se una misura possa o meno arrecare un danno ai sei obiettivi ambientali individuati dal Green Deal europeo. In particolare, l’articolo 17 del Regolamento sulla Tassonomia dispone sei casi in cui un’attività economica arreca un danno significativo: 

  • Se conduce a significative emissioni di gas a effetto serra, provoca un danno alla mitigazione dei cambiamenti climatici;

  • Se porta a un peggioramento degli effetti negativi del clima attuale e del clima futuro previsto su sé stessa o sulle persone, sulla natura o sugli attivi, ostacola l'adattamento ai cambiamenti climatici

  • Se nuoce al buono stato o al buon potenziale ecologico di corpi idrici, comprese le acque di superficie e sotterranee o al buono stato ecologico delle acque marine, ha un effetto negativo sull’uso sostenibile e sulla protezione delle acque e delle risorse marine

  • Un’attività economica provoca un danno all'economia circolare, compresi la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, se: conduce a inefficienze significative nell’uso dei materiali o nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali quali le fonti energetiche non rinnovabili, le materie prime, le risorse idriche e il suolo; l’attività comporta un aumento significativo della produzione, dell’incenerimento o dello smaltimento dei rifiuti, ad eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi non riciclabili; lo smaltimento a lungo termine dei rifiuti potrebbe causare un danno significativo e a lungo termine all’ambiente;

  • Se comporta un aumento significativo delle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo rispetto alla situazione esistente prima del suo avvio, ha un impatto negativo sulla prevenzione e sulla riduzione dell'inquinamento

  • Se nuoce in misura significativa alla buona condizione e alla resilienza degli ecosistemi o nuoce allo stato di conservazione degli habitat e delle specie, compresi quelli di interesse per l'Unione, provoca un danno alla protezione e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi

In questo contesto, in fase di attuazione degli interventi PNRR, le amministrazioni titolari delle misure devono assicurare che i soggetti attuatori - ovvero soggetti, pubblici o privati, responsabili dell’avvio, dell’attuazione e della funzionalità di un progetto ammesso a finanziamento a valere sulle risorse del PNRR - realizzino le attività in coerenza con i principi e gli obblighi specifici del PNRR relativamente al principio DNSH, in tutto il ciclo vita della misura. Da qui l’esigenza del MASE di fornire un vademecum ad hoc. 

Analisi dei rischi climatici fisici negli interventi PNRR 

Come anticipato, il vademecum della DG COGESPRO del MASE si riferisce alle modalità di verifica del rispetto del secondo obiettivo, quello relativo all’adattamento ai cambiamenti climatici, riassumendo le metodologie che i soggetti attuatori possono utilizzare per la valutazione del rischio climatico fisico connesso all’intervento da realizzare. 

Guardando nel dettaglio a come può essere arrecato il danno significativo all’adattamento ai cambiamenti climatici, secondo la “Guida Operativa per il rispetto del Principio di non arrecare danno significativo all’ambiente (cd. DNSH)” del MEF citata nel vademecum del MASE, esso può avvenire in due casi:

  • Non adattando un'attività al peggioramento degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, qualora l'attività sia esposta al rischio di tali effetti (ad esempio un edificio costruito in una zona a rischio di alluvione); 

  • Adattando in modo inadeguato, qualora si predisponga una soluzione di adattamento che protegge una zona ma che aumenta i rischi in un'altra (ad esempio costruendo in una piana inondabile un argine intorno a un appezzamento e spostando così il danno all'appezzamento attiguo non protetto).

Pertanto, per poter escludere che l’intervento rechi un danno significativo all’obiettivo sull’adattamento è necessario svolgere un’analisi dei rischi climatici fisici correlati all’intervento stesso. Tali rischi, spiega il MASE, sono attribuibili a quattro macro-categorie di fattori climatici: temperatura, venti, acqua e massa solida. “Al fine di valutare l’eventualità che rischi climatici fisici pesino sull’intervento da realizzare e la vulnerabilità dell’intervento stesso ai potenziali effetti, è necessario che il soggetto attuatore per ciascuno dei fattori climatici identifichi il potenziale rischio, ne valuti la rilevanza e, se del caso, identifichi le soluzioni di adattamento”, si legge nel vademecum. 

Come sottolineato dagli autori del documento, sebbene per altri obiettivi DNSH esistano vincoli specifici predeterminati in base alla tipologia di attività svolta, nel caso dell’adattamento ai cambiamenti climatici i rischi climatici e le possibili soluzioni di adattamento dipendono sia dalle caratteristiche riferite alla tipologia dell’opera (analisi della sensibilità), sia dalla localizzazione dell’intervento (esposizione ai pericoli climatici). Pertanto, la vulnerabilità della misura ai rischi climatici fisici differisce da intervento a intervento

Nel dettaglio, per valutare i rischi climatici e la vulnerabilità dell’intervento nel caso dell’adattamento climatico, la già citata guida operativa del MEF individua due diverse metodologie di valutazione, che variano in base all’importo dell’investimento.

Per quanto riguarda gli interventi al di sotto dei 10 milioni di euro (IVA esclusa) si applicano i criteri DNSH generici per l'adattamento ai cambiamenti climatici secondo una metodologia indicata nell’Appendice A dell’Allegato 1 del Regolamento Delegato (UE) 2021/2139 che è integralmente riportata all’Appendice 1 della Guida Operativa MEF. La metodologia di analisi in questo caso è relativamente sintetica e semplice, soprattutto se paragonata a quella relativa agli interventi oltre i 10 milioni di euro. 

In pratica, tale metodologia semplificata, prevede:

  • Un esame dell’attività per identificare quali rischi climatici fisici possono influenzare l'andamento dell'attività durante il suo ciclo di vita; 

  • Se l'attività è considerata a rischio per uno o più rischi climatici fisici, si attua la verifica del livello di rischio climatico e della vulnerabilità, per valutare la rilevanza dei rischi fisici legati al clima sull'attività. La valutazione della vulnerabilità, in particolare, corrisponde alla Fase 1 (“Fase di screening”) descritta nella Comunicazione della Commissione europea “Orientamenti tecnici per infrastrutture a prova di clima nel periodo 2021-2027” nella parte relativa all’adattamento cambiamenti climatici. In sintesi, la fase di screening prevede: l’analisi del grado di sensibilità delle componenti del progetto ai pericoli climatici in generale; la valutazione dell’esposizione; la stima della vulnerabilità, ovvero la combinazione di sensibilità ed esposizione;

  • La valutazione delle soluzioni di adattamento che possono ridurre il rischio fisico identificato legato al clima. Nel caso specifico in cui venga individuato un rischio climatico significativo, i soggetti attuatori devono poi individuare e vagliare le più opportune misure di adattamento del caso. Tali misure sono finalizzate a migliorare la resilienza dell’intervento agli effetti prodotti dai rischi climatici lungo tutto il ciclo di vita dell’investimento. Una volta individuate delle possibili soluzioni di adattamento, si sottolinea nel vademecum, i soggetti sono tenuti a verificare che le soluzioni non provochino effetti significativi agli altri obiettivi ambientali ed eventualmente individuare misure di mitigazione per limitare tali effetti. Infine, è richiesta la redazione di una relazione tecnica specialistica in cui si evidenzino le analisi effettuate e le relative scelte progettuali individuate. 

La seconda metodologia di valutazione dei rischi climatici riguarda invece gli interventi infrastrutturali che prevedono un investimento che supera i 10 milioni di euro (IVA esclusa). In questo caso, l’analisi da svolgere è più approfondita e prevede una valutazione della vulnerabilità e del rischio svolta sulla base della metodologia indicata nel documento di indirizzo della Comunicazione della Commissione “Orientamenti tecnici per infrastrutture a prova di clima nel periodo 2021-2027” (2021/C373/01). 

In particolare, il processo di valutazione per questo tipo di interventi è suddiviso in due fasi. 

Anzitutto, la Fase 1 (“Fase screening”), che coincide con quella per gli investimenti inferiori ai 10 milioni di euro, quindi composta da: analisi di sensibilità; valutazione dell’esposizione; analisi di vulnerabilità, derivante dalla combinazione del grado di sensibilità delle componenti del progetto ai pericoli climatici in generale, e della probabilità che questi pericoli si verifichino ora e in futuro nel luogo prescelto per il progetto (esposizione attuale e futura).

C’è poi la Fase 2, che prevede un’analisi dettagliata dei rischi, richiesta per tutti gli interventi con importi uguali o superiori ai 10 milioni di euro a prescindere dall’esito della valutazione di vulnerabilità. Nel dettaglio, l’analisi dettagliata dei rischi proposta dagli Orientamenti tecnici prevede:

  • Un’analisi del grado di probabilità che i pericoli climatici individuati come rilevanti si verifichino, entro un lasso di tempo adeguato all’analisi; 

  • Un esame dell’impatto per determinare le conseguenze derivanti dal verificarsi del pericolo climatico individuato; 

  • Per la voce “Impatti” è riportata una scala indicativa per la valutazione del possibile impatto di un pericolo climatico (insignificante, lieve, moderato, grave, catastrofico) e del settore di rischio (tipologie dei possibili danni); 

  • Una valutazione dei rischi, ovvero una combinazione di probabilità ed impatto, al fine di stimare l’entità di ciascun rischio potenziale (basso, medio, alto, estremo) legato ai pericoli climatici. Una volta valutati la probabilità e l’impatto di ciascun pericolo climatico è quindi possibile sviluppare un quadro dei rischi legati al cambiamento climatico. 

Nel caso in cui la fase di valutazione dei rischi porti all’individuazione di rischi significativi, occorrerà valutare misure di adattamento mirate a ridurre il rischio climatico ad un livello accettabile, affinché queste possano essere integrate nella progettazione dell’infrastruttura o nella sua gestione operativa, allo scopo di migliorarne la resilienza al cambiamento climatico. Le misure di adattamento mirate, si evidenzia nel vademecum, vanno valutate in fase di progetto di fattibilità tecnico-economica per tenere conto di tutti gli impatti che ne possono derivare, anche dal punto di vista economico. “La norma ISO 14091:2021 fornisce una metodologia idonea a valutare misure di adattamento mirate, attraverso un processo di individuazione delle misure di adattamento, valutazione delle diverse opzioni di adattamento ed infine pianificazione dell’adattamento”, si precisa nel documento. 

In sintesi, al di là delle differenze menzionate, sia per il procedimento che riguarda gli interventi al di sotto dei 10 milioni di euro, sia per quello relativo agli investimenti che superano i 10 milioni, è prevista l'individuazione, il vaglio e l'attuazione di misure di adattamento, se necessario. 

Inoltre, in entrambi i casi, tali analisi e valutazioni si collocano nell’ambito delle verifiche che il soggetto attuatore deve effettuare in fase ex ante. “Pertanto, in fase progettuale, (il soggetto attuatore, ndr) sarà tenuto a redigere una relazione in cui si dia conto di aver verificato se e in che misura l’intervento da realizzare è esposto a rischi climatici fisici. In fase ex post, nel caso in cui tale analisi abbia evidenziato la vulnerabilità dell’opera ad uno o più rischi, il soggetto attuatore dovrà attestare di aver implementato nel corso della realizzazione del progetto le necessarie soluzioni di adattamento ai rischi climatici pertinenti”, si legge nel documento del MASE.

A conclusione del vademecum, una volta descritta la metodologia di analisi prevista per la valutazione dei rischi climatici rispetto all’obiettivo dell’adattamento, la DG COGESPRO fornisce anche dei suggerimenti operativi e link utili per chi deve redigere la documentazione progettuale degli interventi PNRR.  

Consulta la versione integrale del vademecum del MASE

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