Bruxelles pubblica la nona relazione sulla Politica di Coesione. Le sfide per i fondi UE 2028-2034
A vent'anni di distanza dall’allargamento del 2004, la Politica di Coesione può intestarsi il successo di aver reso possibile la convergenza tra vecchi e nuovi Stati membri, passati da un reddito pro capite pari al 52% della media UE a quasi l’80%. Divari di crescita e competitività persistono però non solo tra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo, ma anche all'interno delle stesse regioni sviluppate, che si trovano ad affrontare nuove sfide - transizione digitale, decarbonizzazione, invecchiamento della popolazione, crisi geopolitiche, solo per citarne alcune - e richiedono un ripensamento degli strumenti e dei metodi che la Politica di Coesione ha messo in campo fino ad oggi.
Recovery e Politica di Coesione: ispirazione o sostituzione per il post 2027?
La nona relazione sulla Politica di Coesione, presentata il 27 marzo dalla Commissione europea, arriva così a porsi come lo snodo decisivo per il dibattito sulla programmazione post 2027. Il documento fa infatti seguito alla presentazione della relazione finale del gruppo di alto livello sulla Coesione, che per tutto il 2023 ha visto gli esperti guidati del professor Andres Rodriguez-Pose della London School of Economics scadagliare punti di forza e di debolezza dell'attuale Politica, e precede di pochi giorni il Forum della Coesione, che l'11 e il 12 aprile riunirà a Bruxelles gli stakeholder a livello nazionale, regionale e locale.
L'obiettivo del confronto tra autorità e portatori di interesse, a partire dalla nona relazione della Commissione e dal report degli esperti, sarà ora individuare i nuclei imprescindibili da mantenere nella programmazione dei fondi europei 2028-2034 e le innovazioni da introdurre, anche attingendo all'esperienza del Recovery and Resilience Facility, il Dispositivo di ripresa e resilienza che nella cornice di NextGenerationEU finanzia i PNRR.
Ferma restando l'importanza di alcuni principi chiave della Coesione - governance multilivello, principio di partenariato, approccio bottom up - è infatti ricorrente il richiamo a trarre ispirazione dall'esperienza dei PNRR per mutuarne alcuni elementi nella programmazione dei fondi strutturali, a cominciare dal meccanismo di finanziamento basato sui risultati.
Per approfondire: Le raccomandazioni del gruppo di alto livello sulla Coesione
Nona relazione sulla Politica di Coesione: quadro a luci e ombre
Secondo i calcoli di Bruxelles, ogni euro investito attraverso la Politica di Coesione sarà triplicato entro il 2043, con un tasso di rendimento annuo del 4% circa. Nel ciclo 2014-2020 i finanziamenti della Coesione hanno sostenuto oltre 4,4 milioni di imprese, creato 370mila posti di lavoro e garantito il 13% degli investimenti pubblici effettuati nell'UE, media che sale al 51% restringendo lo sguardo agli Stati membri meno sviluppati. E' qui che la Coesione può intestarsi i risultati più evidenti, con gli Stati membri entrati nell'Unione nel 2004 che in venti anni hanno visto dimezzarsi il divario con il resto dell'UE.
La relazione ricorda poi il ruolo cruciale svolto dalla Politica di Coesione nel contesto della pandemia, quando la Commissione ha reinventato con grande flessibilità le regole di utilizzo dei fondi strutturali con i pacchetti CRII e CRII Plus, permettendo di mobilitare 23 miliardi di euro contro l'emergenza Covid-19. Una flessibilità che ha permesso alle regioni di tornare ai livelli di crescita pre-Covid in appena due anni, contro gli oltre dieci anni per la ripresa dalla crisi finanziaria del 2008. La stessa flessibilità è stata messa in campo poco dopo per accogliere le persone in fuga dalla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina e per la crisi energetica esacerbata dal conflitto tra Mosca e Kiev.
Fin qui, i meriti. Allo stesso tempo la nona relazione riconosce dei limiti di efficacia nel persistere di divari subnazionali tra le regioni europee e, all'interno delle singole regioni, tra aree metropolitane, territori marginali, aree imprigionate nella cosiddetta "trappola dello sviluppo". Sono rilievi che già l'ottava relazione sulla Coesione aveva mosso nel 2022, sottolineando l'importanza di investire più e meglio in istruzione, ricerca, innovazione e qualità della governance per sbloccare il potenziale di competitività dei territori a rischio arretramento.
Non solo: la riflessione sul futuro della Politica di Coesione deve misurarsi anche con le sfide che l'UE ha davanti, sfide che - riconosce la nona relazione - non hanno un impatto simmetrico sui diversi territori. Considerazioni che valgono per la transizione digitale e ancor di più per il cambiamento climatico. Alcune regioni sono già maggiormente esposte alle sue conseguenze, altre faticheranno di più a intraprendere il percorso di decarbonizzazione, perchè più dipendenti dalle fonti fossili. Il tutto in un contesto di policrisi che vede emergere priorità sempre nuove e sempre più pressanti a livello UE, ma anche in un quadro di restrizioni di bilancio, che soprattutto in alcuni paesi dell'Unione limita la potenza di fuoco della spesa pubblica nazionale.
Comune all'intera Unione, ma anche qui con un impatto asimmetrico sui diversi territori, è poi la sfida dei cambiamenti demografici, con una popolazione che invecchia, un bacino di forza lavoro che si restringe e la difficoltà di trattenere giovani talenti, che è maggiore proprio nelle regioni che più ne avrebbero bisogno, come dimostrano le dinamiche di emigrazione di una delle principali aree target della Politica di Coesione dell'UE, il nostro Mezzogiorno.
Le principali priorità da affrontare per aumentare l'efficacia della Politica di Coesione sono indicate già nella nona relazione, altre iniziano a farsi avanti nel dibattito degli ultimi mesi: aumentare la flessibilità per rispondere rapidamente alle dinamiche economiche emergenti e adattare il sostegno dei fondi UE alle esigenze regionali; accelerare l'attuazione di una Politica che parte cronicamente in ritardo rispetto all'avvio formale del ciclo di programmazione; introdurre nuove semplificazioni per le autorità di gestione e i beneficiari finali; ragionare su nuovi criteri di accesso ai fondi strutturali, in vista dell'eventuale ingresso di nuovi Stati membri; aumentare l'orientamento alle prestazioni, sulla scorta dell'esperienza del Recovery and Resilience Facility (RRF), di possibile ispirazione anche per quanto riguarda i meccanismi di pagamento sganciati dai costi.
Il Forum dell'11 e 12 aprile a Bruxelles inizierà a dipanare la matassa, ma il dibattito proseguirà ancora a lungo e il processo legislativo per la riforma del quadro normativo entrerà nel vivo solo nel corso del 2025.
Per approfondire: Il testo della Nona relazione sulla Politica di Coesione
Il parere del Comitato delle Regioni sulla Coesione post 2027
Alcuni dei principali stakeholder, però, sono già pronti al confronto, a cominciare dai rappresentanti delle Regioni, che hanno messo in fila le loro priorità per il ciclo 2028-2034 alla fine dello scorso anno. Governance multilivello, approccio place-based e principio di partenariato, si legge nella posizione adottata dal Comitato delle Regioni (CdR) il 29 novembre scorso, sono punti fermi da assicurare, insieme alla garanzia di risorse adeguate. Nel prossimo settennato, per il CdR, il budget della Coesione dovrebbe essere almeno equivalente a quanto previsto nel periodo 2021-2027, inclusa l'integrazione a titolo di REACT-EU.
La Coesione dovrebbe anche continuare a sostenere tutte le regioni europee, un passaggio non scontato alla luce del processo di allargamento dell'Unione. In più, il CdR vorrebbe vedere applicata una proposta cara alla commissaria Elisa Ferreira: il rispetto del principio del "non nuocere alla coesione" in tutte le politiche dell'UE, al pari del Do no significant harm (DNSH).
Allo stesso tempo, le Regioni ammettono che la Coesione deve funzionare meglio, anche per rispondere alle critiche dei suoi detrattori “in modo che non vi siano dubbi circa il suo ruolo di principale strumento di investimento dell'UE per conseguire la coesione economica, sociale e territoriale a lungo termine”. Anche la misurazione dei benefici, e le modalità di comunicazione ai cittadini andrebbero ripensate: parlarne solo in termini di “tasso di assorbimento dei fondi” concentra l'attenzione più sul ritmo di spesa che sui risultati.
Per il Comitato delle Regioni servono anche un quadro strategico unitario, una sorta di "patto di partenariato europeo", che garantisca coerenza nella programmazione a livello UE, pur garantendo la partecipazione degli enti locali e regionali, e nuovi indicatori qualitativi e quantitativi. Questi indicatori aiuterebbero a misurare le diverse vulnerabilità dei territori, ma anche a definire più correttamente l'ammissibilità alla Politica di Coesione e a progettare risposte adeguate alle differenti sfide. Indicatori che vadano oltre il Pil, anche considerando che l'allargamento dell'UE porterebbe a una riduzione del reddito pro capite medio, che potrebbe alla fine escludere alcuni territori dall'accesso ai fondi.
La riforma della Politica di Coesione dovrebbe portare anche a nuove semplificazioni nell'architettura complessiva dei finanziamenti europei e nelle procedure amministrative a carico delle autorità di gestione e di audit e dei beneficiari, cui dovrebbe aggiungersi il ripristino del FEASR nella cornice del Regolamento contenente le disposizioni comuni ai fondi UE. Ad accelerare i tempi di attuazione potrebbe contribuire anche un incremento dei livelli di prefinanziamento, che le Regioni vorrebbero non inferiori al 13% nel primo anno di attuazione, per facilitare l'accesso ai fondi per PMI e ad altri beneficiari con liquidità limitata.
Infine, quanto al rapporto con l'esperienza del Recovery and Resilience Facility, la priorità del CdR è chiara: quale che sia la valutazione del RRF e lo strumento di follow-up del Dispositivo per la ripresa e la resilienza che si vorrà eventualmente implementare, l'attuazione dovrebbe essere sempre in regime di gestione concorrente, chiudendo con l'esperienza di gestione centralizzata dei fondi europei che ha caratterizzato i PNRR.
Tra l'altro, osserva il CdR, “non vi sono prove chiare che la governance nazionale sia più efficace di una governance decentrata o multilivello”. E in effetti in Italia le performance dei Programmi operativi nazionali gestiti dai Ministeri sono, con alcune eccezioni, peggiori di quelli regionali.