PIR, minibond e Piano Juncker - come la nuova finanza sta puntando sulle PMI
Piano Juncker, ma anche strumenti come i PIR e i minibond. Le Pmi italiane sfruttano i nuovi meccanismi di finanziamento, ma resta ancora un potenziale inespresso sul mercato.
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E’ quanto viene fuori da un’analisi delle nuove forma di finanziamento a disposizione delle piccole e medie imprese in Italia. Il Piano Juncker sta svolgendo la funzione per la quale era stato immaginato: la pecca principale, per adesso, riguarda alcuni settori, come le nuove energie.
Bene stanno andando anche alcune forme innovative di finanziamento, come i nuovi PIR. Ma anche i minibond, dopo anni di rodaggio, si stanno affermando. Eppure, resta da testare il potenziale di altri strumenti, come il crowdfunding e il peer-to-peer lending. E resta sempre sullo sfondo il venture capital.
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L'analisi del Piano Juncker
Partiamo proprio dalla piattaforma della Commissione europea. Complessivamente, le ultime stime di Bruxelles dicono che il piano Juncker ha mobilitato finora oltre 225 miliardi di euro di investimenti, conteggiando l’effetto leva. Le operazioni approvate nel perimetro del fondo Efsi rappresentano un valore totale di oltre 43 miliardi di euro e sono collocate in tutti gli Stati membri.
Il bilancio
L’Italia in questa prima fase è stata tra i paesi più attivi. Soprattutto sul fronte delle piccole e medie imprese che, in totale, sono state coinvolte in 445mila circa. E sono destinate ad aumentare nei prossimi anni: il piano, insomma, ha rispettato le attese in termini di sostegno diffuso alle Pmi europee, tanto che da poco la sua vita è stata prorogata dal 2018 fino al 2020.
Le operazioni attivate
Il nostro paese ha finanziato complessivamente 82 operazioni, che valgono 5,1 miliardi e che hanno innescato investimenti per 32,1 miliardi. Insieme alla Francia siamo in testa alla classifica dei paesi che hanno raccolto più risorse dal piano Juncker. Il problema principale del piano riguarda l’impatto scarso che avrebbe avuto su alcuni settori, come quello delle nuove energie.
I piani individuali di risparmio
Oltre al Piano Juncker, però, ci sono altri strumenti che stanno sostenendo le Pmi italiane. Come i Piani individuali di risparmio: sono contenitori di strumenti finanziari di diverso tipo, come azioni, obbligazioni, fondi comuni. Sono stati introdotti dalla legge di Bilancio 2017 per stimolare gli investimenti in piccole e medie imprese.
> PIR - i chiarimenti del MEF sui Piani individuali di risparmio
Le caratteristiche dei PIR
Devono essere sottoscritti da persone fisiche e mantenuti per almeno cinque anni. Nel corso del 2017, nei primi mesi di operatività e grazie a un interessante pacchetto di agevolazioni fiscali, hanno ricevuto una buona accoglienza, con una raccolta che ha superato i 5 miliardi di euro.
Le regole
Ricordiamo le regole principali degli strumenti. In base alla legge di Bilancio 2017 la soglia massima di investimento in questo tipo di strumento è di 30mila euro all'anno, per un valore complessivo non superiore a 150mila euro. Almeno il 70% del valore complessivo deve essere investito in strumenti finanziari emessi da aziende italiane o europee con stabile organizzazione in Italia, escluse le imprese che operano nel settore immobiliare.
Le novità della manovra
La manovra 2018 interviene su questa normativa allargando l’ambito di azione dei PIR agli investimenti dei risparmiatori in strumenti finanziari emessi da imprese che svolgono attività immobiliari, in linea con quanto richiesto dalle società del real estate. Dai PIR potrebbe derivare infatti un importante contributo alla liquidità del settore.
> Legge Bilancio 2018 - PIR anche per investimenti in societa' immobiliari
I minibond
Altro strumento pensato per favorire la raccolta delle piccole e medie imprese sono i minibond. Si tratta di titoli di debito emessi dalle imprese sul mercato mobiliare e sottoscritti da investitori professionali e qualificati, che a fronte della raccolta di capitale offrono una remunerazione contrattualmente stabilita attraverso il pagamento di cedole.
Come stanno andando le cose
Il meccanismo ha riscosso un buon successo, nonostante le condizioni di mercato particolarmente favorevoli per l’accesso al credito per canali ordinari. Secondo i numeri del Politecnico di Milano sono state, infatti, 222 (di cui 104 Pmi) le imprese che dal 2002 al 31 dicembre 2016 hanno collocato complessivamente 292 minibond nel nostro paese.
> Il mercato gradisce l'emissione di minibond
La crescita
Una tendenza che, a guardare i numeri, si sta rafforzando. Perché nel solo 2016 sono state registrate 88 imprese emittenti, 21 in più rispetto all’anno precedente. Stanno, poi, aumentando i soggetti che utilizzano questa opzione per la prima volta. In sostanza, la strada dei minibond comincia ad essere apprezzata su larga scala.