I bilanci sul CETA a due anni dall’entrata in vigore provvisoria
Il CETA compie due anni e per la Commissione europea è tempo di bilanci sulle performance (positive) registrate dalle esportazione europee verso il Canada. Di parere diverso è, invece, Coldiretti che lancia l’allarme per il Made in Italy.
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Il 20 settembre di due anni fa entrava in vigore - in modalità provvisoria - il CETA, l'accordo economico e commerciale globale tra l’UE e il Canada.
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I risultati dell’export comunitario
Secondo i dati diffusi dalla Commissione europea in occasione della ricorrenza, il bilancio di due anni di CETA è positivo. Nonostante sia ancora molto presto per valutare definitivamente l'impatto dell’Accordo, secondo la Commissione i primi segnali registrati sono promettenti.
Nel 2018 - il primo anno intero di entrata in vigore dell’accordo - le esportazioni europee verso il Canada hanno infatti registrato un aumento medio del +15%.
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Un tasso di crescita, sottolinea la commissaria europea al Commercio, Cecilia Malmström, molto più marcato rispetto a quello ottenuto dal resto dell’export europeo verso altre aree del mondo e che si attesta su una media del +8%.
Particolarmente positivi sono stati i risultati portati a casa da una serie di settori tra cui:
- gli agrumi, che hanno visto aumentare il proprio tasso di esportazioni fino al 78%;
- la gioielleria, che registra un +65%;
- il settore delle ceramiche (+10%);
- il comparto ferroviario (locomotive ferroviarie e tranviarie) con un +87%.
Bene anche il nostro commercio bilaterale di servizi che è aumentato di oltre il 16%.
Grazie all'accordo, infatti, per le aziende europee adesso è più semplice inviare il personale tra le due sponde dell'Atlantico, ma anche presentare candidature per gli appalti pubblici e ridurre le pratiche burocratiche per operare in Canada.
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Coldiretti: il CETA è una minaccia per il Made in Italy
Di parere completamente opposto è, invece, la Coldiretti che - in occasione del secondo anniversario dell’accordo - ha redatto un’indagine sulle performance delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Canada.
Il quadro che ne emerge è quello di una complessiva contrazione dell’export agroalimentare legato al Made in Italy, con in testa i formaggi.
Al -32% di export registrato dal Parmigiano Reggiano - calcolato su dati Istat relativi al primo semestre del 2019 - fanno infatti eco una serie di altri numeri che non sono per niente confortanti. Al - 33% del Provolone, si affianca infatti il -48% del Gorgonzola, il -46% del Fiore sardo e del Pecorino romano e il -44% registrato dall'Asiago, dal Cacicavallo, dal Montasio e dal Ragusano.
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Secondo la Coldiretti si tratta di una situazione “in netta controtendenza rispetto a quello che avviene sui mercati mondiali dove il settore caseario nazionale fa registrare una crescita del 7% e raggiunge il massimo di sempre nel semestre considerato”.
La causa di questi livelli opposti di esportazioni deve essere rintracciata proprio nell'entrata in vigore del CETA colpevole, secondo Coldiretti, di aver “legittimato per la prima volta nella storia dell’Unione europea le imitazioni del Made in Italy a partire dal Parmigiano Reggiano, che può essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada con la traduzione di Parmesan”.
Coldiretti, infatti, stima che otto pezzi di Parmigiano su dieci, venduti in Canada, sono falsi e una situazione analoga si ha anche per gli altri formaggi italiani che hanno assistito ad un calo dei loro livelli di esportazione.
“Un precedente disastroso – continua la Coldiretti – che è stato riproposto negli altri accordi successivi, da quello con il Giappone a quello con il Messico fino al negoziato drammaticamente concluso con i Paesi del Mercosur che sono grandi produttori di formaggi italiani taroccati”.
Preoccupazioni arrivano anche sul fronte delle importazioni di prodotti canadesi, a cominciare dalle carni e dal grano che, secondo l'Associazione, non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti in Italia.
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Il problema dell’Italian Sounding
Il punto controverso della questione legata alla tutela delle indicazioni geografiche, risiede nella fattore “tempo”.
Come spiegato nel recente studio sul CETA dell’Università Roma Tre, infatti, l’Accordo tutela le Indicazioni Geografiche rispetto all'introduzione futura sul mercato canadese di imitazioni (inclusi quei prodotti che tendono ad adottare diciture italian sounding).
Il CETA, invece, non ha alcun effetto retroattivo rispetto a prodotti canadesi, presenti da anni in quel mercato che continueranno ad adottare quelle stesse denominazioni. Su questo fronte, l’unica notizia positiva riguarda i 143 prodotti IGP presenti nell’accordo, sui quali le aziende canadesi “non potranno pretendere l’uso esclusivo dei nomi contenuti nei marchi di fabbrica già depositati” negli anni passati in Canada.
Si tratta di un risultato che comprensibilmente non entusiasma l'agroalimentare italiano ma che deve essere contestualizzato, però, nel quadro giuridico complessivo. Per la prima volta, infatti, un paese di commmon law ha accettato di derogare al principio “first in time, first in right” che finora aveva dato il diritto alle imprese canadesi di pretendere l'esclusiva, come visto, sull'utilizzo di marchi depositati.
Questo andrà a beneficio soprattutto di cinque indicazioni geografiche - incluso il Prosciutto di Parma - che d’ora in avanti potranno usare la propria denominazione sul mercato canadese, senza il timore di essere considerati illegali perché in conflitto con marchi canadesi preesistenti.
> Consulta il discorso della Commissaria europea, Cecilia Malmström
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