Ddl Sacconi Equo compenso – cosa ne pensano i professionisti
Il disegno di legge equo compenso non convince tutti. Ecco le opinioni delle associazioni dei professionisti sul ddl Sacconi
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Scadranno martedì 10 ottobre i termini per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge sull'equo compenso per le professioni regolamentate, proposto dall'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e attualmente all'esame della commissione Lavoro del Senato.
Un'iniziativa criticata da quanti temono che possa favorire i contraenti più forti a danno dei piccoli professionisti, ma che non convince del tutto neanche i fautori di un intervento normativo in materia di remunerazione dei lavoratori autonomi.
Parallelamente, la Camera è al lavoro su un testo di iniziativa governativa sull'equo compenso per le prestazioni legali che definisce nulli gli accordi tra avvocati e committenti laddove la remunerazione non sia proporzionata alla quantità, alla qualità, al contenuto e alle caratteristiche del lavoro svolto.
Cosa dice il ddl Sacconi sull'equo compenso
Obiettivo del disegno di legge all'esame del Senato, in attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, è tutelare l'equità del compenso dei professionisti iscritti ad un ordine o collegio professionale e garantire certezza del diritto nei loro rapporti con il committente.
Il provvedimento stabilisce infatti la nullità delle clausole e dei patti che generano un eccessivo squilibrio contrattuale a favore del committente perché riconoscono un compenso non equo al professionista che svolge la prestazione.
Per arrivare a ciò, il ddl propone una definizione di compenso equo come “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale” e stabilisce che, fino a prova contraria, si presume come manifestamente sproporzionato e non equo un compenso di ammontare inferiore ai minimi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi già vigenti ma attualmente utilizzati solo per i contenziosi.
La nullità della clausola o del patto opera a vantaggio del professionista iscritto all'ordine o al collegio, che esercita la relativa azione giudiziaria, senza intaccare la validità del contratto nelle altre sue parti.
Infine, il ddl interviene in materia di responsabilità professionale. Il dies a quo a partire dal quale decorre il termine di prescrizione decennale per l'esercizio dell'azione di responsabilità professionale decorre dal giorno del compimento della prestazione, perchè si pone che il danno derivi direttamente dal contratto, e non dal momento in cui il cliente prende conoscenza del non corretto esercizio della prestazione e il danno diventa percepibile.
Acta, Alta Partecipazione, Colap: no a professionisti di serie B
Il primo nodo del contendere non è nuovo, se ne era discusso già in occasione del Jobs Act Partite Iva, attorno al tema della devoluzione alle professioni ordinistiche di una serie di compiti altrimenti svolti dalle PA, e ritorna ora nel dibattito sull'equo compenso: il ddl si rivolge esclusivamente agli iscritti ad ordini e collegi professionali, escludendo una larga fetta di professionisti dalle tutele nei rapporti con i committenti.
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“L’equo compenso deve essere un diritto di tutti i lavoratori autonomi, concretamente esigibile da ogni professionista”, denunciano in una nota congiunta Acta, Alta Partecipazione e Colap, avvertendo che l'attuale proposta rischia di produrre effetti opposti agli intenti dichiarati.
Non è tutto. Secondo le associazioni, il diritto all’equo compenso rischia di esistere solo sulla carta, “poiché diviene esigibile soltanto ex post, ovvero soltanto tramite l’esperimento di un'azione giudiziaria del professionista nei confronti del proprio committente”.
Un obbligo, osservano le associazioni, che scarica sulle spalle del professionista, oltre al rischio sulla futura committenza, anche “gli oneri della causa e l’incertezza dei tempi del processo civile che nel nostro Paese sono estremamente dilatati”, mentre impongono nuovi contenziosi a un sistema giudiziario già inflazionato.
Tra l'altro, sottolineano Acta, Alta Partecipazione e Colap, il testo non opera distinzioni tra tipologie di committenza che presentano rapporti di forza molto diversi tra loro, dalla Pubblica amministrazione alle imprese, dagli studi professionali ai singoli consumatori. Un'eterogeneità che richiederebbe risposte calibrate, ad esempio prevedendo un intervento normativo, con tutele ex ante, solo laddove esiste uno squilibrio significativo tra professionista e committente.
In sintesi, secondo le tre associazioni, il diritto all'equo compenso dovrebbe essere garantito a tutti i professionisti, ordinistici e associativi, innanzitutto nei rapporti con la Pubblica amministrazione e come un criterio inderogabile negli appalti, nei bandi, negli affidamenti e negli incarichi, e non ex post soltanto all’attivazione di un’azione giudiziaria. La tematica, a loro avviso, dovrebbe essere affrontata attivando immediatamente il Tavolo di confronto permanente sul lavoro autonomo previsto dall’articolo 17 della legge n. 81 del 2017.
CUP: impossibile includere professionisti non ordinistici
Di diverso avviso la presidente del Comitato unitario delle professioni (Cup) e del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro Marina Calderone, che difende la scelta di escludere i professionisti che non appartengono ad ordini professionali e collegi.
“Vedo difficile far coesistere una strategia per il riconoscimento del diritto all’equo compenso per le categorie professionali non regolamentate perché si fa riferimento all’uso di parametri per misurare l’equità dei compensi che sono stati già definiti dai ministeri vigilanti” degli stessi ordini, dichiara Calderone.
Confprofessioni: più tutele nei rapporti con la PA
Per il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella il testo rappresenta un “segnale importante di apertura nei confronti della categoria dei liberi professionisti", ma presenta delle criticità se si guarda ai servizi professionali resi alle Pubbliche amministrazioni.
Nel mirino il “sistematico ridimensionamento dei compensi professionali, una pratica pessima che sfocia sempre più spesso in richieste di prestazioni professionali, anche estremamente qualificate, da svolgere a titolo gratuito”.
Da qui la richiesta di individuare parametri vincolanti al di sotto dei quali le PA non possono affidare incarichi, in linea con quanto sostenuto anche da Acta, Alta Partecipazione e Colap.
Confassociazioni: le tariffe minime danneggiano i pesci piccoli
A bocciare del tutto l'idea di un intervento normativo in materia di equo compenso è invece il presidente di Confassociazioni Angelo Deiana, che intervenendo su Il Sole 24 Ore definisce “iniquo” il tentativo di ripristinare il regime delle tariffe minime dei professionisti.
La critica poggia sull'idea che la norma finisca in ultima in analisi per danneggiare i professionisti più deboli: quando i grandi contraenti, per essere più competitivi, abbassano le parcelle al livello delle tariffe minime, che possono permettersi in virtù della forte capacità contrattuale e della massa critica dei loro clienti, i professionisti più deboli si trovano a dover svendere il proprio lavoro se vogliono sopravvivere.
Quanto ai rapporti con la PA, un eventuale vincolo a garantire l'equo compenso avrebbe anche un impatto sulla spesa pubblica per l'acquisizione di servizi professionali, in contraddizione con il divieto di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica previsto dal ddl.
Se invece avvenisse il contrario, ovvero una diminuzione della spesa pubblica, scrive Deiana, “il problema non sarebbe per i bilanci statali ma per quelli privati dei professionisti”.
Confcommercio: non ridurre professionisti a lavoratori parasubordinati
Raccomanda di non confondere l’equo compenso ai professionisti con il minimo tariffario, “con il rischio di ingessare il mercato e penalizzare i professionisti più giovani”, anche Confcommercio, sottolineando che soluzioni di questo tipo “ridurrebbero il professionista alla stregua di un lavoratore parasubordinato, minandone alla base l’indipendenza, la professionalità e l’autonomia contrattuale”.
Anche per Confcommercio l'ambito di intervento prioritario deve essere quello dei rapporti con la PA, viziati, per professionisti ordinistici e non ordinistici, dalla pratica delle gare al ribasso, ancora in corso nonostante il decreto di riordino del Codice degli Appalti, e da ritardi insostenibili nei pagamenti.
Rete Professioni Tecniche: mancano standard retributivi per nuove professioni
Le fonti normative richiamate dal ddl per individuare la soglia minima al di sotto della quale il compenso si considera iniquo non esauriscono la copertura di tutte le tipologie di prestazioni svolte dalle professioni ordinistiche, è invece l'osservazione della Rete Professioni Tecniche (RPT), che sottolinea come manchino i criteri per la definizione di una retribuzione adeguata per alcune nuove prestazioni in ambito ICT e nel settore industriale, o diffuse tra la committenza privata, come la redazione dell’Ape, l'Attestato di prestazione energetica.
RPT torna poi sul tema della certezza dei pagamenti, con la richiesta di introdurre forme di garanzia che non comportino esborsi in capo al lavoratore autonomo e/o libero professionista.
FLEPAR Inail: estendere conciliazione controversie a diritto lavoro
Una combinazione di elementi delle tipologie del lavoro autonomo, subordinato e parasubordinato è infine la strada suggerita dal segretario generale di FLEPAR Inail Tiziana Cignarelli per “ricostruire una tutela del professionista più equilibrata”, senza minacciarne le condizioni di autonomia intellettuale, di organizzazione e di gestione dell’attività lavorativa.
Tra le proposte, l'estensione della negoziazione assistita quale strumento alternativo di conciliazione delle controversie anche a materia fino ad ora escluse, come il diritto del lavoro e il diritto previdenziale.
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