Appello delle regioni per la Politica di Coesione. Ma i fondi strutturali dovranno cambiare
Negli stessi giorni in cui oltre cento regioni europee, tra cui otto italiane, scrivono alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e ai commissari Ferreira, Schmit e Hahn, in difesa della Coesione, due pubblicazioni contribuiscono a porre i termini del dibattito sul futuro della politica di investimento con cui l'UE cerca di colmare i divari tra i territori europei: se i benefici dei fondi strutturali sono tangibili, e nei paesi di più recente adesione hanno funzionato come un motore di convergenza, il tasso di assorbimento delle risorse resta un fattore critico per molti Stati membri, con un ritardo che si aggrava programmazione dopo programmazione.
Al palo la spesa dei fondi europei 2021-2027
Nei giorni scorsi 110 regioni appartenenti a 15 Stati membri - tra cui le italiane Abruzzo, Provincia autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Puglia, Sardegna e Valle d'Aosta - hanno lanciato un appello alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e ai commissari Ferreira, Schmit e Hahn, in difesa dei caratteri essenziali della Politica di Coesione.
Sì a un riforma che faccia evolvere la Politica di Coesione, si legge nella lettera, a patto che le Regioni siano coinvolte nel processo, restino protagoniste della sua programmazione e attuazione e possano contare su un bilancio adeguato. Sì anche a un maggior rilievo del tema nell'Esecutivo europeo, con un nuovo vice presidente della Commissione che le regioni vorrebbero "responsabile della coesione economica, sociale e territoriale". No, invece, all'applicazione ai fondi strutturali del modello centralizzato del PNRR, che alla luce delle debolezze della Coesione potrebbe affermarsi come alternativa all'attuale approccio basato su gestione condivisa e governance multilivello, come ipotizzato dallo stesso direttore della DG Regio Nicola De Michelis in un recente evento organizzato dalle istituzioni UE in Italia in collaborazione con FASI.
Sarà però la prossima Commissione europea a presentare le proposte su cui si baserà il negoziato sui fondi europei 2028-2034 e ad indicare in che modo e in che misura la Coesione potrà continuare - come recita il titolo di un recente report pubblicato da Bruxelles – a colmare i gap tra le regioni europee. A pochi giorni dalle elezioni europee, la pubblicazione della Commissione intitolata “Bridging Gaps: EU Cohesion Policy 2014-2020 - Creating a better life for Europeans” mette infatti in fila gli investimenti per la riduzione dei divari territoriali realizzati in diversi ambiti grazie ai 405 miliardi del ciclo 2014-2020 (551 miliardi se si considera anche il cofinaziamento nazionale), di cui 47,7 andati all'Italia.
Negli stessi giorni il dibattito sul futuro della Coesione si arricchisce del paper sull'assorbimento dei fondi strutturali realizzato, su richiesta della commissione REGI del Parlamento europeo, da Andrea Ciffolilli, Marco Pompili, Anna Borowczak e Maja Hranilovic. Documento che, ancora una volta, denuncia i ritardi nell'avanzamento della spesa, segnalando però anche possibili azioni che, a livello UE e degli Stati membri, potrebbero aggredire il problema.
La spesa dei fondi europei parte lenta e i ritardi si accumulano
Pur con variazioni significative tra paesi e periodi di programmazione, il paper "Absorption rates of Cohesion Policy funds" sostiene che nella maggior parte degli Stati membri dell’UE l’assorbimento dei fondi della Politica di Coesione segue una tendenza nota, con una partenza molto rallentata e una forte accelerazione verso la fine del periodo di programmazione.
Durante il ciclo 2014-2020, ad esempio, se alla fine del 2018 era stato versato solo un quarto delle risorse totali e a fine del 2020 si era arrivati in media al 52,5% degli stanziamenti disponibili a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del Fondo di coesione (FC), del Fondo sociale europeo (FSE) e dall’Iniziativa per l’occupazione giovanile (IOG), alla fine del 2023 l’assorbimento è aumentato significativamente, raggiungendo quota 94,4% se non si considerano le risorse REACT-EU (sopraggiunte più tardi, nell'ambito di Next Generation EU) o 90,4% se si include REACT-EU.
Dentro questo quadro generale lo studio distingue tuttavia un gruppo di paesi, di cui diversi di più recente adesione (Polonia, Slovenia, Repubblica ceca, Estonia, Lituania, Ungheria, Cipro), con un tasso di assorbimento superiore alla media dell’UE, cui fanno da contraltare le performance sotto la media UE di grandi paesi come Italia e Spagna, che sono anche tra i maggiori beneficiari della Politica di Coesione.
Ma il rapporto evidenzia sopratutto un dato rilevante per il dibattito sul futuro della Coesione: i ritardi di assorbimento tendono ad accumularsi nel tempo. E quindi, se il tasso di assorbimento nel periodo 2014-2020 è stato costantemente inferiore a quello del periodo 2007-2013, vediamo già che le prime informazioni sull'avanzamento della programmazione 2021-2027 mostrano che l’assorbimento è inferiore rispetto ai primi anni 2014-2020 (in Italia al 31 dicembre 2023 la percentuali di impegni si attestava appena al 6,5% del totale).
E' questo un punto estremamente rilevante perché, se è vero che la qualità degli investimenti e la loro coerenza con i fabbisogni dei territori e con le priorità di policy dell'Unione sono fondamentali per l'efficacia della Politica di Coesione, è anche vero che i tempi sono una variabile che condiziona l'impatto degli investimenti pubblici. E quindi prevedere di stanziare decine di miliardi di euro per una serie di priorità politiche in un dato anno, ma poi non garantire un flusso costante di risorse a sostegno degli investimenti secondo un cronoprogramma prevedibile per i beneficiari finali, siano essi imprese o pubbliche amministrazioni, può pregiudicare alla fine i risultati.
Il paper lo dice chiaramente: “I bassi tassi di assorbimento rappresentano una sfida in quanto, tra l'altro, possono indebolire la pertinenza dei programmi e la capacità di raggiungere gli obiettivi previsti”.
Perché la spesa dei fondi europei della Coesione è cronicamente in ritardo
I fattori alla base del basso assorbimento sono classificati dallo studio in quattro categorie. Ci sono quelli relativi alla politica europea e al contesto giuridico, come i ritardi nell'adozione dei quadri giuridici e degli orientamenti dell'UE e, a cascata, l'adozione tardiva degli Accordi di Partenariato e dei Programmi, senza contare le sovrapposizioni tra le diverse programmazioni.
C'è il contesto istituzionale, politico e giuridico nazionale, e qui si va dall'incidenza della diversa qualità e adeguatezza del sostegno politico alla Politica di Coesione, fino a situazioni di clientelismo.
Poi pesa il contesto socio-economico nazionale, la capacità di assorbimento dei fondi da parte del sistema economico, la capacità delle amministrazioni di cofinanziare i Programmi, l'adeguatezza delle infrastrutture o dei livelli di investimento, con in più la variabile – sempre più frequente – delle crisi esterne.
Infine, come noto, la capacità amministrativa resta uno degli aspetti più discriminanti rispetto alla capacità di assorbimento, dove le istituzioni più solide e efficienti, che possono contare su risorse umane più competenti o su una maggiore digitalizzazione, vantano performance superiori alle altre. Anche qui il quadro italiano è già indicativo: la relazione sui fondi della Coesione allegata al DEF 2024 evidenzia come alcune regioni si posizionino ben al di sopra della media nazionale (basti a titolo di esempio il PR FESR Emilia-Romagna 21-27 che al 31 dicembre dello scorso anno aveva già impegni pari ad oltre il 34% delle risorse).
Cosa possono fare UE e Stati membri per accelerare la spesa
Se questi sono i maggiori problemi, il paper non manca di indicare anche alcune possibili soluzioni. A livello dell'UE, servono anzitutto iniziative di semplificazione e maggiore tempestività nell'adozione di linee guida e orientamenti sull’applicazione dei principi fondamentali e sulle norme di ammissibilità, anche tenendo conto del fatto che spesso i ritardi riflettono la difficoltà delle Autorità di gestione nell'adattarsi ai cambiamenti introdotti all'inizio di un nuovo ciclo di programmazione. E ancora, maggiore attenzione alle specificità dei contesti nazionali, sostegno alla capacità amministrativa, previsione di piani a supporto delle pipeline di progetto e di linee guida ed eventi informativi rivolti ai beneficiari.
Nell'insieme, i margini di miglioramento non mancano. Il quadro legislativo europeo post 2027 potrebbe iniziare ad affrontare questi aspetti, in combinazione con gli sforzi di riforma a livello nazionale che, secondo il paper, potrebbero concentrarsi, ad esempio, sull'efficienza delle procedure di selezione e delle modalità di erogazione dei fondi, sul coordinamento tra le parti interessate, su un uso più intensivo delle tecnologie digitali e sul rafforzamento delle risorse umane.
A quel punto il confronto tra i tassi di assorbimento registrati nei diversi periodi delle scorse programmazioni e della nuova potrebbe diventare uno dei criteri per verificare il successo delle innovazioni introdotte, come suggerito anche dal direttore dello Svimez Luca Bianchi in una recente audizione sul decreto Coesione, secondo cui per rendere monitorabile l’efficacia del nuovo modello di governance introdotto dal DL 60/2024 nel “conseguire l’obiettivo dell’accelerazione, gli obiettivi andrebbero fissati rispetto ai dati di attuazione del ciclo di programmazione 2014-2020”.
Per approfondire: Decreto Coesione, Svimez: attenzione ai meccanismi di attuazione